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L’associazione sportiva che gestisce il campo di padel è custode e, come tale, risponde dei danni derivanti dalla caduta cagionata dall’improvviso sollevamento di un lembo del campo di gioco. (Commento a Tribunale di Roma n. 3210/2023)

Titolo

L’associazione sportiva che gestisce il campo di padel è custode e, come tale, risponde dei danni derivanti dalla caduta cagionata dall’improvviso sollevamento di un lembo del campo di gioco.

(Commento a Tribunale di Roma n. 3210/2023)

Estremi del provvedimento annotato

Tribunale di Roma, Sezione XIII, sentenza 24 febbraio 2023, n. 3210.

Massima

Sussiste la responsabilità, prevista dall’art. 2051 del codice civile, in capo all’associazione sportiva che gestisce l’impianto e il conseguente obbligo di risarcire i danni riportati dall’atleta che, durante lo svolgimento di una partita di padel, inciampa su di un lembo del tappeto sintetico improvvisamente rialzatosi e, per l’effetto, si frattura il polso.

 

La responsabilità ha natura oggettiva.

 

I danni risarcibili, una volta affermata la responsabilità del custode, attengono al “danno biologico”, alla inabilità temporanea, ove accertata, all’ulteriore danno non patrimoniale (se riconoscibile ex art. 2059 cod. civ.), al lucro cessante e al danno patrimoniale, se dimostrato.

Commento

Un atleta conveniva in giudizio la società sportiva dilettantistica titolare del campo di padel ove, per un improvviso ed inatteso distaccamento del tappetino in erba sintetica, questi inciampava e, cadendo, riportava la frattura del polso.

 

La decisione del Tribunale di Roma afferma la responsabilità della società sportiva, quale custode dell’impianto, per i danni riportati dall’attore, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, secondo cui “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

 

Il redigente ribadisce la natura oggettiva della responsabilità che incombe in capo al custode, illustrando, in particolare, il regime che regola l’onere della prova in tale fattispecie.

 

Come ricorda la decisione, che richiama numerosi precedenti della Corte di Cassazione, “l’attore deve provare il danno, la derivazione dello stesso dalla cosa e la qualità di custode del convenuto, mentre quest’ultimo ha l’onere di provare, non la mera osservanza della regola cautelare astrattamente volta a prevenire l’evento verificatosi, ma il caso fortuito, ossia il fatto, naturale o umano che, per i suoi caratteri di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità o inevitabilità, è idoneo a produrre autonomamente l’evento di danno”, con la precisazione che “nel caso in cui il fatto umano sia rappresentato dalla condotta del danneggiato, la stessa deve essere non solo colposa, ma anche imprevedibile da parte del custode”.

 

Nella sentenza si precisa che si considera “colposa” la condotta che diverge da quella che avrebbe tenuto il buon padre di famiglia, ovvero una persona normalmente avveduta, il cui comportamento deve essere posto in relazione con la natura più o meno insidiosa della cosa oggetto di custodia.

 

Deve escludersi la colpa qualora la condotta non si discosti da quella che avrebbe tenuto l’ “uomo medio”, ove la cosa è oggettivamente pericolosa e soggettivamente non percepibile; in caso contrario, tanto più la pericolosità sarà visibile, tanto più potrà ravvisarsi colpa nella vittima.

 

Sebbene non espressamente richiamato nella decisione, appare opportuno dare conto di quanto espresso dal codice civile all’art. 1227 (“Concorso del fatto colposo del creditore”), norma in materia di rapporti obbligatori, ma applicabile anche alla fattispecie risarcitoria da illecito per effetto dell’espresso richiamo dell’art. 2056, che pone la regola per cui il risarcimento è diminuito, secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, qualora il creditore abbia concorso a cagionare il danno, fino ad escludere il risarcimento per tutti i danni che questi avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

 

Nella vicenda in esame è stata affermata l’esclusiva responsabilità dell’associazione sportiva custode del campo e liquidato il danno patito dall’atleta.

 

La sentenza si segnala, altresì, per dedicare, in paragrafi separati, ampia trattazione alle tematiche dell’ “ambito della responsabilità e del risarcimento”, del “danno biologico”, dei “criteri di liquidazione del danno biologico e della inabilità temporanea”, del “danno morale”, della “personalizzazione del danno non patrimoniale”, ancora, del “danno da lucro cessante”, del “calcolo degli interessi” ed, infine, del “danno patrimoniale”, sulle quali il giudice redigente si intrattiene con sintetiche, ma al contempo apprezzabili, indicazioni e richiami dei principi e che ne regolano il rispettivo funzionamento ai fini della decisione.

 

Nella fattispecie, è stata riscontrata la sussistenza del danno biologico, di quello patrimoniale per le spese mediche sostenute, con il riconoscimento, altresì, del danno morale (“… tenuto conto della sofferenza presumibilmente subita in ragione dell’invalidità permanente riconosciuta, nella misura, calcolata in percentuale rispetto al danno biologico”) e degli interessi sulla somma complessivamente liquidata, mentre è stata esclusa una personalizzazione del danno, non ravvisandosi la sussistenza delle circostanze specifiche ed eccezionali che avrebbero dovuto giustificare una valutazione delle conseguenze del danno come più gravi rispetto a quelle ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età del danneggiato.

Autore

Andrea Caranci, Avvocato in Roma

 

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