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SEMENYA C. SVIZZERA (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 11 luglio 2023), di Stefano Bastianon

Titolo/Oggetto

SEMENYA C. SVIZZERA

Estremi provvedimento

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 11 luglio 2023

Keywords

Divieto di discriminazione – Diritto ad un ricorso effettivo – TAS – Tribunale federale svizzero – Ordine pubblico

Commento/Sintesi

Caster Semenya è un’atleta (mezzofondista e velocista) sudafricana affetta da disordini/differenze dello sviluppo sessuale (Disorders/Differences of Sex Development, DSD). Con il termine di SDS si fa riferimento ad una condizione congenita nella quale vi è stata un’alterazione dello sviluppo sessuale. Nell’ambito dei DSD, l’espressione 46 XY DSD indica varie tipologie di disordini/differenze dello sviluppo sessuale nelle quali un soggetto con cariotipo maschile normale (46 XY) presenta un sesso cromosomico non conforme rispetto agli usuali processi di sviluppo dei genitali con la conseguenza che questi ultimi si presentano in disaccordo con il cariotipo. Per effetto di tale condizione, il corpo dell’atleta sudafricana produce spontaneamente una quantità di ormoni maschili (in particolare, il testosterone) di gran lunga superiore a quella ordinariamente prodotta da un’atleta con cariotipo tipicamente femminile (46 XX) non affetta da DSD.

 

Al fine di tutelare la parità delle armi e la regolarità delle competizioni sportive nell’interesse di tutte le atlete donne, la IAAF - l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera, oggi World Athletics (WA) -, nel 2018 ha adottato un regolamento (il Regolamento DSD) in forza del quale le donne affette da sindrome 46 XY DSD, al fine di poter partecipare alle competizioni femminili in talune specialità (400 metri, 400 metri ostacoli, 800 metri, 1500 metri, 1 miglio),  sono tenute a sottoporsi a una terapia ormonale per abbassare la produzione di ormoni androgeni, ritenuti in grado di attribuire un vantaggio fisico e, di conseguenza, di falsare le competizioni sportive.

 

Il Regolamento DSD è stato impugnato dall’atleta sudafricana davanti al TAS di Losanna il quale, con lodo del 30 aprile 2019, ha respinto l’appello sottolineando che, sebbene il Regolamento DSD presentasse un carattere discriminatorio, costituiva uno strumento necessario, ragionevole e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, ossia l’equità delle competizioni sportive.

 

Il 28 maggio 2019 l’atleta ha impugnato il lodo arbitrale davanti al Tribunale federale svizzero sostenendo che il Regolamento DSD introduceva una forma di discriminazione fondata sul sesso (e sulle caratteristiche sessuali) e pregiudicava la dignità umana e i diritti della personalità e per tali motivi doveva ritenersi contrario all’ordine pubblico.

 

Nella propria sentenza, dopo aver sottolineato che il controllo sostanziale di un lodo arbitrale internazionale da parte del Tribunale federale è limitato alla questione della compatibilità del lodo con l'ordine pubblico, il Tribunale federale ha precisato che:

 

(i) un lodo è incompatibile con l'ordine pubblico se disconosce i valori essenziali e ampiamente riconosciuti che, secondo le concezioni prevalenti in Svizzera, dovrebbero costituire il fondamento di ogni ordinamento giuridico. Tale è il caso quando viola principi fondamentali di diritto sostanziale al punto da non essere più conciliabile con l'ordinamento giuridico e il sistema di valori determinante;

 

(ii) anche quando il Tribunale federale è chiamato a statuire su un ricorso avverso un lodo reso da un tribunale arbitrale con sede in Svizzera e autorizzato ad applicare in via integrativa il diritto svizzero, esso è tenuto ad osservare, quanto alle modalità di attuazione di tale diritto, la stessa distanza che essa imporrebbe all'applicazione fatta di qualsiasi altro diritto e che non deve cedere alla tentazione di esaminare con cognizione di causa se le pertinenti norme di diritto svizzero sono state interpretate e/o applicate correttamente, come farebbe se fosse investito di un ricorso in materia civile contro una sentenza statale;

 

(iii) la violazione delle disposizioni della CEDU o della Costituzione svizzera non rientra tra le doglianze tassativamente elencate dall'art. 190 par. 2 della legge federale svizzera sul diritto internazionale privato (PILA). Non è quindi possibile invocare direttamente tale violazione. I principi sottesi alle disposizioni della CEDU o della Costituzione svizzera possono, tuttavia, essere presi in considerazione nell'ambito dell'ordine pubblico per dare concreta espressione a tale nozione.

 

Sulla scorta di tali premesse, il Tribunale federale ha condiviso l’analisi svolta dal TAS e, pur ritenendo il Regolamento DSD discriminatorio, l’ha considerato uno strumento necessario, ragionevole e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, escludendo qualsiasi contrarietà del lodo all’ordine pubblico.

 

Il 18 febbraio 2021 l’atleta ha impugnato la sentenza del Tribunale federale davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli artt.  3 (proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti), 6 (diritto ad un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 13 (diritto ad un ricorso effettivo) et 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione.

 

Con sentenza dell’11 luglio 2023 la Corte ha accertato la violazione da parte della Svizzera degli artt. 13 (diritto ad un ricorso effettivo) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione.

 

Nello specifico, i punti di maggior interesse della pronuncia della Corte europea riguardano i seguenti aspetti.

 

(a) La competenza della Corte

 

Secondo il governo svizzero, la Corte non sarebbe competente a pronunciarsi sul ricorso presentato dall’atleta sudafricana in quanto:

 

(i) il presente caso riguarda un'atleta domiciliata in Sudafrica e la sua federazione nazionale, costituita in forma di associazione di diritto privato sudafricano, che hanno impugnato dinanzi al TAS, ente non statale, la validità di un regolamento emanato dalla WA, associazione di diritto privato monegasco. Inoltre, nell'ambito del procedimento dinanzi ad esso pendente, il TAS non ha esaminato la validità del regolamento contestato rispetto al diritto svizzero, poiché ha applicato il regolamento interno della WA, la Carta olimpica e, in subordine, il diritto monegasco:

 

(ii) in tale contesto, in conformità alle disposizioni interne in materia e alla prassi ad essa relativa, la missione del Tribunale federale, investito di un ricorso in materia civile avverso un lodo arbitrale internazionale, non consiste nel pronunciarsi con pieno potere di controllo, come una corte d'appello, ma solo nell’esaminare se, nei limiti dei motivi giuridicamente ammissibili contro tale lodo, e cioè quelli elencati nell'art. 190, par. 2 PILA, le doglianze invocate avverso il lodo in questione sono fondate o meno;

 

(iii) conseguentemente, il Tribunale federale non può statuire materialmente sul contenuto del lodo impugnato ma solo esaminare, sulla base dei fatti accertati in tale lodo, se il risultato cui esso conduce sia contrario o meno ai valori essenziali che, secondo le concezioni prevalenti in Svizzera, dovrebbero costituire il fondamento di ogni ordinamento giuridico.

 

Pur riconoscendo che la Svizzera non ha avuto alcun ruolo nell'adozione del regolamento contestato, emanato dalla WA, un'associazione di diritto privato monegasco, la Corte ricorda che l’articolo 1 della Convenzione stabilisce che “Le Alte Parti contraenti garantiscono a tutti coloro che rientrano nella loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti nel Titolo I della (...) Convenzione”. Inoltre, la Corte ricorda che dal momento in cui un soggetto propone un'azione dinanzi ai giudici civili di uno Stato, sussiste incontestabilmente un "vincolo giurisdizionale" tra tale soggetto e lo Stato, nonostante l'eventuale extraterritorialità dei fatti all'origine dell'azione. Nel caso dell’atleta sudafricana, pertanto, l'impugnazione avverso il lodo arbitrale del TAS con cui l’atleta ha adito il Tribunale federale ha, a priori, messo in gioco la giurisdizione della Svizzera ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione. Inoltre, la Corte ricorda che nel caso di specie si è in presenza di un arbitrato obbligatorio che priva la ricorrente della possibilità di adire i tribunali ordinari nel suo paese o altrove. In tale contesto,  pur riconoscendo i vantaggi di un tale sistema "centralizzato" per le controversie relative allo sport, in particolare al fine di garantire una certa coerenza e uniformità della giurisprudenza TAS a livello internazionale, la Corte  ritiene che, qualora si dichiarasse incompetente a conoscere di questo tipo di ricorsi, essa correrebbe il rischio di precludere l'accesso alla Corte ad un'intera categoria di soggetti, vale a dire gli sportivi professionisti, il che non può essere coerente con lo spirito, l’oggetto e lo scopo della Convenzione, posto che una tale conclusione sarebbe difficilmente conciliabile con l'idea della Convenzione quale strumento costituzionale di ordine pubblico europeo, di cui gli Stati parti sono tenuti a garantire almeno i fondamenti a tutti i soggetti sottoposti alla loro giurisdizione.

 

Inoltre, come già affermato nella causa Mutu e Pechstein, sebbene il TAS non sia né un tribunale statale né un'altra istituzione di diritto pubblico svizzero, ma un ente emanante dall'International Council of Arbitration for Sport (“l'ICAS”), vale a dire da una fondazione svizzera di diritto privato che, in quanto tale, non applica direttamente la Convenzione, nel momento in cui il Tribunale federale respinge un ricorso avverso un lodo del TAS, il Tribunale federale finisce inevitabilmente per  attribuire forza di cosa giudicata nell'ordinamento giuridico svizzero al lodo arbitrale.

 

Per quanto riguarda, invece, l'argomento del governo svizzero, secondo cui il potere di controllo del Tribunale federale è limitato in tali procedimenti, la Corte ammette che il controllo esercitato dal Tribunale federale è limitato alla compatibilità del lodo arbitrale impugnato con l'ordine pubblico e che tale nozione è interpretata in modo molto restrittivo dal Tribunale federale. Tuttavia, dalla giurisprudenza del Tribunale federale risulta che la nozione di ordine pubblico, in senso materiale, include, inter alia, il divieto di discriminazione e il rispetto della dignità umana e, in una certa misura, il diritto al libero esercizio di una professione quale emanazione dei diritti della personalità, vale a dire i medesimi diritti che sono al centro del ricorso dell’atleta. Inoltre, poiché il Tribunale federale ha esaminato le doglianze formulate dalla ricorrente dal punto di vista della discriminazione, dei diritti della personalità e della dignità umana, non si può sostenere che tali doglianze non possano essere esaminate dalla Corte.

 

(b) Il divieto di discriminazione (anche in rapporto al diritto alla vita privata e familiare) – Artt. 14 e 8 della Convenzione

 

(b1) Il potere di controllo del TAS e del Tribunale federale

 

Secondo la Corte il TAS, nonostante una pronuncia molto dettagliata resa a seguito di un’udienza durata cinque giorni durante i quali sono stati ascoltati numerosi esperti e periti, quando ha affrontato il tema del carattere necessario, ragionevole e proporzionato del Regolamento DSD non ha fatto alcun riferimento all’articolo 14 della Convenzione ed alla giurisprudenza della Corte. Con riferimento, invece, al Tribunale federale, la Corte ritiene che il controllo molto limitato esercitato dal Tribunale federale possa essere giustificato nel campo dell'arbitrato commerciale, dove le società, generalmente su un piano di parità, concordano su base volontaria di devolvere le loro controversie ad un collegio arbitrale. Al contrario, la portata limitata del controllo del Tribunale federale può essere più problematica in materia di arbitrato sportivo, dove gli individui si trovano a confrontarsi con organizzazioni sportive spesso molto potenti. Infatti, lo stesso Tribunale federale ha riconosciuto nella sua sentenza riguardante la ricorrente che “lo sport agonistico è caratterizzato da una struttura molto gerarchica, sia a livello internazionale che nazionale. Stabiliti su un asse verticale, i rapporti tra gli atleti e le organizzazioni che si occupano delle diverse discipline sportive si distinguono in questo senso dai rapporti orizzontali tra le parti di un rapporto contrattuale”.

 

(b2) I dubbi scientifici relativi al carattere giustificato del Regolamento DSD

 

La Corte rileva che la serietà delle doglianze della ricorrente circa la violazione del divieto di discriminazioni fondate sul sesso e sulle caratteristiche sessuali non è mai stata messa in discussione dal TAS. Quest’ultimo, infatti, nel proprio lodo, ha sottolineato che gli effetti collaterali del trattamento ormonale erano "significativi"; che un'atleta, pur seguendo scrupolosamente il trattamento ormonale che le era stato prescritto, poteva trovarsi nell'impossibilità di soddisfare le prescrizioni del Regolamento DSD; e che l'evidenza di un concreto vantaggio atletico a favore di atleti 46 XY DSD nelle discipline dei 1.500 metri fosse debole. Nonostante ciò, la Corte osserva che queste gravi preoccupazioni non hanno indotto il TAS a sospendere il Regolamento DSD, come aveva fatto qualche anno prima nella causa Dutee Chand, omettendo di considerare che lo stesso Regolamento DSD prevede che il beneficio del dubbio debba andare a vantaggio dell'atleta. Per quanto riguarda il Tribunale federale, invece, la Corte rileva che quest’ultimo non ha tentato di respingere i dubbi espressi dal TAS circa l'applicazione pratica e la base scientifica del regolamento DSD. In particolare, al Tribunale federale viene rimproverato di non aver tenuto nella giusta considerazione i recenti rapporti di organismi competenti nel campo dei diritti umani (in particolare, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani) che sollevano serie preoccupazioni circa la discriminazione nei confronti delle donne nello sport, comprese le atlete intersessuali, sulla base di norme come quella in esame nel caso di specie.

 

(b3)Il bilanciamento degli interessi e valutazione degli effetti secondari del trattamento ormonale prescritto dal Regolamento DSD

 

A tale proposito, la Corte ricorda che in base all’articolo 14 della Convenzione una disparità di trattamento è discriminatoria se non si basa su una giustificazione obiettiva e ragionevole, vale a dire se non ha uno scopo legittimo o se vi è non un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. In altre parole, per soddisfare i requisiti dell'articolo 14 della Convenzione, il Tribunale federale avrebbe dovuto soppesare gli interessi invocati da WA, in particolare quello della concorrenza leale, con quelli invocati dal ricorrente, in particolare quelli relativi alla sua dignità e reputazione, la sua integrità fisica, la sua sfera privata, comprese le sue caratteristiche sessuali, e il suo diritto all'esercizio della professione. Tuttavia, il Tribunale federale non l'ha fatto poiché, secondo la sua giurisprudenza, tale esame non rientra nella nozione di ordine pubblico. Nello specifico, la Corte rimarca le seguenti lacune nella sentenza del Tribunale federale:

 

(i) il Tribunale federale è partito dal principio secondo cui il Regolamento DSD offriva alla ricorrente una vera e propria "scelta", rilevando che le pillole contraccettive non sono obbligatoriamente prescritte alle atlete 46 XY DSD poiché tali atlete conservano sempre la possibilità di rifiutarsi di seguire tale “trattamento”. Sennonché, la Corte rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale federale, la ricorrente non dispone di una reale scelta: o si sottopone a un trattamento farmacologico, suscettibile di nuocere alla sua integrità fisica e psicologica, al fine di ridurre il suo livello di testosterone e di poter esercitare la sua professione, oppure rifiuta questo trattamento, con la conseguenza di dover rinunciare alle sue competizioni preferite, e quindi all'esercizio della sua professione. In altri termini, qualunque sia la scelta dell’atleta, la soluzione adottata implica comunque una rinuncia ad alcuni diritti garantiti dall'art. 8 della Convenzione. In tale contesto, per ritenere soddisfatti i requisiti della Convenzione, il Tribunale Federale avrebbe dovuto affrontare il dilemma che si poneva alla ricorrente;

 

(ii) il Tribunale Federale non ha tenuto sufficientemente conto dell'argomento degli effetti collaterali legati all'uso di contraccettivi orali, nonostante il TAS avesse sottolineato che tali effetti sono “significativi”. In particolare, il Tribunale federale, pur riconoscendo che le cure mediche somministrate contro la volontà di un individuo costituiscono una “grave ingerenza” nella libertà personale e vanno al cuore stesso della dignità della persona interessata, ha avallato il lodo del TAS secondo cui questi effetti non differiscono in natura dagli effetti collaterali sperimentati da migliaia, se non milioni, di altre donne con cariotipo XX che assumono contraccettivi orali. Tuttavia, la Corte non è convinta da tale argomento, che non tiene conto del fatto che, in particolare a causa degli effetti collaterali del trattamento ormonale, molte donne non assumono contraccettivi orali. Né tiene conto del fatto che gli effetti collaterali, così come vissuti dalle donne che esercitano un'attività sportiva fuori competizione, possono avere un impatto ancora maggiore sull'organismo e sull'equilibrio fisico e mentale di un atleta di alto livello e quindi influenzare negativamente le sue prestazioni sportive.

 

(b4) Gli effetti orizzontali della discriminazione

 

Secondo il Tribunale federale la garanzia del divieto di discriminazione previsto dalla Costituzione svizzera riguarda esclusivamente lo Stato e non produce, in linea di principio, alcun effetto orizzontale diretto sui rapporti tra privati. Infatti, secondo il Tribunale federale è tutt'altro che scontato ritenere che il divieto di discriminazione emanato da un soggetto di diritto privato sia uno dei valori essenziali e ampiamente riconosciuti che, secondo le concezioni prevalenti in Svizzera, dovrebbero costituire la base di qualsiasi ordinamento giuridico.

 

Per contro, dalla giurisprudenza della Corte discende che gli Stati sono tenuti ad adottare misure per proteggere le persone sotto la loro giurisdizione da trattamenti discriminatori, anche se il trattamento discriminatorio è somministrato da privati. In altre parole, secondo la Corte i giudici nazionali sono tenuti a garantire una reale ed effettiva tutela anche contro le discriminazioni commesse da singoli. Nel caso di specie, per contro, il Tribunale federale non ha ritenuto che il divieto di discriminazione emanato da soggetti di diritto privato rientrasse nell'ambito della nozione di ordine pubblico, ai sensi dell'art. 190, par. 2 e) PILA e, di conseguenza, non ha sottoposto il Regolamento DSD emanato dalla World Athletics, atto non statale, al controllo di conformità alla Costituzione o alla Convenzione richiesto dall’atleta.

 

Per tali motivi la Corte ha ritenuto che la ricorrente non abbia beneficiato in Svizzera di garanzie istituzionali e procedurali sufficienti che le avrebbero consentito di far valere efficacemente le sue doglianze, Pertanto, e tenuto conto del rilevante interesse personale per la ricorrente, vale a dire la sua partecipazione a competizioni atletiche a livello internazionale e quindi l'esercizio da parte sua della sua professione, la Svizzera ha superato il ridotto margine di discrezionalità di cui godeva nel caso di specie , che riguardava una discriminazione fondata sul sesso e sulle caratteristiche sessuali, che può essere giustificata solo da “considerazioni molto forti”. Le significative poste in gioco nella causa per l’atleta e il ridotto margine di discrezionalità dello Stato convenuto avrebbero dovuto comportare un controllo istituzionale e procedurale approfondito, di cui l’atleta non ha beneficiato. Ne consegue che la Corte non è in grado di affermare che il regolamento contestato, come applicato alla ricorrente, possa essere considerato una misura oggettiva e proporzionata allo scopo perseguito.

 

(c) Il diritto ad un ricorso effettivo

 

La Corte ritiene che nel caso dell’atleta sudafricana ci sia stata una violazione anche del diritto a un ricorso effettivo, ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione, per le stesse ragioni che l'hanno indotta a constatare una violazione dell'articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 8 della Convenzione, vale a dire l'assenza di sufficienti garanzie istituzionali e procedurali in Svizzera. A tale proposito, la Corte ricorda che, nell'ambito di un arbitrato che le era stato imposto dal regolamento sportivo pertinente e che escludeva il diritto di adire qualsiasi tribunale ordinario, la ricorrente non aveva avuto altra scelta che rivolgersi al TAS per contestare la validità del Regolamento DSD. Tuttavia, nel ritenere che fosse certamente discriminatorio, ma che tuttavia costituisse un mezzo necessario, ragionevole e proporzionato per raggiungere gli scopi perseguiti dalla WA, il TAS non ha valutato la validità del regolamento in questione alla luce dei requisiti del Convenzione e, in particolare, non ha risposto alle accuse di discriminazione alla luce dell'articolo 14 della Convenzione, nonostante le doglianze ben fondate e credibili della ricorrente. Per quanto riguarda il Tribunale federale, il suo potere di controllo era molto limitato nella presente causa, poiché si trattava di arbitrato in materia sportiva, ed era quindi limitato alla questione se il lodo impugnato fosse contrario all'ordine pubblico all'interno del significato dell'articolo 190, par. 2, e) PILA.

Autore

Prof. Avv. Stefano Bastianon

 

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