Seleziona la tua lingua

Image

IL DOVERE DI INFORMARSI E L’AUTO-RESPONSABILITÀ NEL DIRITTO PENALE, Commento alla richiesta di archiviazione della Procura di Genova di data 27.11.2023 (Archiviazione disposta dal GIP del Trib. di Genova in data 4.04.2024), di Riccardo Crucioli.

images/rivista-1.jpg

 

Sommario: 1. Il fatto e lo stato dei luoghi - 2. La posizione di garanzia. I c.d. “gestori del rischio”. -

3. La criticità del tratto esposto. La causalità della colpa. - 4. Il dovere di informazione. - 5. Il pericolo tipico, il pericolo atipico e la loro valutazione. - 6. L’informazione nel caso del Passo del Bacio e l’auto-esposizione al pericolo. - 6.1. La tipologia del sentiero (classificato EE) e la presenza di un pericolo tipico (burrone). - 6.2. La corretta informazione all’utenza. - 6.3. L’assenza di responsabilità per i gestori del rischio.

 

1.  Il fatto e lo stato dei luoghi

Il 12 marzo 2023, sul promontorio di Portofino, una coppia di escursionisti decide di visitare la parte più selvaggia dell’omonimo Parco, che si estende da Camogli a Santa Margherita Ligure. Sulle mappe escursionistiche, sopra punta Chiappa, è segnato un sentiero (detto delle “batterie”) che conduce fino alle tombe dei Doria, costruite dai genovesi a San Fruttuoso e nascoste in una caletta unica al mondo. Percorrendo il sentiero, però, è necessario attraversare un centinaio di metri di terreno scavati nel conglomerato tipico del monte di Portofino: sopra c’è solo roccia, sotto solo mare; in mezzo un burrone. Il sentiero è stretto e l’Ente Parco ha posizionato alcune catene di ferro molto vecchie; si tratta di catene del tutto inadeguate e non idonee a consentire un passaggio in sicurezza con imbraghi. Il tracciato sembra adatto a tutti perché, inizialmente, attraversa un antico borgo posto a mezza costa; poi, lasciato l’asfalto, si cammina sull’acciottolato e sulla terra: si tratta di una via pianeggiante priva di difficoltà, tranne quelle tipiche di un qualsiasi percorso naturale. Si arriva, poi, ad alcuni edifici: “casematte” destinate a contenere cannoni antinave, costruite per proteggere la costa ligure fino al porto di Genova durante gli scontri militari (ormai abbandonati, i manufatti sono oggetto di visite guidate anche per bambini e dalla loro cima si può osservare un panorama magnifico).

Il sentiero, tuttavia, non si ferma: prosegue verso il Passo del Bacio, la Cala dell’oro e la spiaggia di San Fruttuoso; piano piano si restringe, si incassa nella costa del promontorio avvicinandosi, contemporaneamente, allo strapiombo sul mare.

 

La coppia di escursionisti affronta il passaggio, disponendo dell’attrezzatura consigliata sul sito dell’Ente Parco: berretto contro il sole, acqua e scarponcini.

Uno dei due ragazzi, ad un tratto, perde l’equilibrio e cade; il burrone è lì sotto e il ragazzo non fa in tempo ad agganciarsi ad alcunché; precipita nel vuoto e muore.

Dopo aver ipotizzato il reato di omicidio colposo, la Procura di Genova ha richiesto l’archiviazione per i due soggetti iscritti nel registro delle notizie di reato (il Presidente ed il Direttore dell’Ente Parco), ripercorrendo in modo preciso e del tutto condivisibile i profili giuridici e fattuali della vicenda.

Si tratta di un provvedimento pregevole, che permette di sviscerare le tematiche proprie dei reati omissivi colposi in ambiente montano; ovvero, l’individuazione dei soggetti sui quali grava la posizione di garanzia (c.d. “gestori del rischio”), la colpa omissiva, la causalità della colpa, l’evitabilità e la prevedibilità. Quasi un trattato di diritto connesso al fatto descritto, da mihi factum, dabo tibi jus. Soprattutto, ed è questo il pregio del provvedimento, la richiesta di archiviazione tratta per la prima volta, in modo chiaro ed esaustivo, il rapporto tra auto-responsabilità, informazione e diritto penale.

 

2.  La posizione di garanzia. I c.d. “gestori del rischio”

Prima di passare ad esaminare i profili di responsabilitàricerca, pare opportuno verificare quali persone fisiche, in ipotesi, avrebbero dovuto rispondere di eventuali omissioni.

A tale fine, è stata effettuata l’analisi dei soggetti dotati dell’onere di gestione del rischio e dei correlati poteri impeditivi.

 

La “nuova” teoria normativa della colpa2 ha, infatti, consentito di chiarire che la posizione di garanzia (certamente presente nei reati omissivi) forma parte della più generale categoria della gestione dei rischi; inoltre, tale elemento di per sé non è sufficiente al fine di ritenere presente la responsabilità penale.

La posizione di garanzia è un concetto che la teoria generale del reato associa alle fattispecie omissive improprie (e, pertanto, all’art. 40 cpv. c. p.), identificandolo nella titolarità di un dovere (di protezione, di controllo) che si concreta nell'obbligo di impedire un evento (tipico, in rapporto alla pertinente fattispecie incriminatrice).

Chi è titolare di una posizione di garanzia non assume un obbligo di risultato, ma di mezzi: per quanto estesi siano i suoi poteri e, quindi, il dovere precauzionale, essi sono “finiti” e ciò implica la possibilità che l'evento si sia verificato nonostante l'esercizio del potere secondo le modalità prescritte dal sapere cautelare del tempo. Detto altrimenti, la posizione di garanzia non è un concetto da solo sufficiente a identificare quale comportamento si sarebbe dovuto porre in essere; l'indagine va estesa, pertanto, alle pertinenti regole comportamentali che si impongono, nel caso concreto, per la loro riconosciuta efficacia cautelare.

 

Dunque, si deve ricercare innanzi tutto un “dovere di diligenza” e, con tale termine, si intende fare riferimento ad una situazione giuridica soggettiva di dovere e più precisamente al “dovere di adottare le cautele opportune per evitare il verificarsi degli eventi dannosi”. Ciò è posto da norme che vietano di agire in modo imprudente, oppure che impongono di agire in modo diligente; nella forma concettuale, tali norme, però, non specificano le concrete modalità comportamentali che valgono a soddisfare la prescrizione di astenersi da un agire imprudente o di agire in modo diligente.

Individuata tale posizione di garanzia, si deve, quindi, ricercare la presenza di una “diligenza doverosa”, che null’altro è se non il contenuto della predetta situazione giuridica soggettiva.

Ebbene, nel caso in esame, il PM ha correttamente individuato, in forza delle norme della legge Regione Liguria n. 12 del 22.2.1995, i soggetti garanti nel Presidente e nel Direttore del Parco (che avevano il “dovere di diligenza”) ed i correlati poteri di intervento (la “diligenza doverosa”) sul tratto di sentiero nel quale si è verificato l’incidente mortale.

Si noti che tali figure apicali dell’Ente Parco avevano non solo la rappresentanza legale, ma anche i concreti poteri per gestire, dirigere, coordinare e sorvegliare tutta l’attività.

Tenendo presente – come si vedrà – che il sentiero che transita nel Passo del Bacio è noto per il tratto esposto e per la correlativa pericolosità, pare evidente che i due vertici dell’Ente avrebbero dovuto intervenire (perché avrebbero potuto farlo) per ovviare ad ogni e qualsiasi elemento di pericolo ivi presente.

Corre l’obbligo di specificare che non si tratta affatto di “mettere in sicurezza tutta la montagna”, ma di porre in (relativa) sicurezza quei tratti di percorsi o di territorio nei quali è nota la presenza di fonti di pericolo, naturali o create dall’uomo, per gli utenti.

 

La probabile interazione tra visitatori, escursionisti o sportivi e fonti di pericolo abnormi (e cioè “atipiche”, usando un lessico ormai “normativizzato”), che siano conosciute da chi gestisce il Parco, è evidente innesco per la responsabilità penale nella misura in cui non siano presi provvedimenti per eliminare, o quantomeno mitigare, tale rischio.

Invero, il caso del “Parco di Paneveggio”3 avrebbe dovuto già funzionare da pungolo per gli amministratori disattenti.

La vera novità della richiesta di archiviazione in commento consiste proprio nell’individuare uno dei contenuti (forse il più importante) dei provvedimenti che gli amministratori sono chiamati ad assumere: ovvero, fornire un’informazione corretta all’utenza.

Si tratta di un primo e rilevante assunto che dovrebbe essere tenuto presente da chi amministra Parchi o comunque territori nei quali sono presenti pericoli di tal fatta.

 

3.  La criticità del tratto esposto. La causalità della colpa

Accertata pacificamente la causa della morte, l’esistenza di una fonte di pericolo (anch’essa evidente) e identificati i soggetti che avrebbero dovuto gestire il rischio presente, in relazione alla tipologia di evento dannoso, il provvedimento esamina l’adeguatezza dei presidi posti a tutela di coloro che con tale fonte di pericolo entrano in contatto.

Conferito incarico ad un consulente esperto, si accertava che la catena posizionata lungo il tratto esposto non era adatta, poiché troppo sottile; che la manutenzione non era adeguata, essendo la catena ossidata ed innestata su ancoraggi vetusti e piegati; che anche la lunghezza della catena non era adeguata, essendo tale (tra alcuni ancoraggi) da sollecitare in modo eccessivo i punti di appoggio, così da permettere un’oscillazione troppo ampia.

 

Veniva accertato non solo il difetto di manutenzione della catena, ma anche un altro elemento di grave pericolosità presente sul luogo.

Infatti, dalla sommità del costone roccioso cadevano dei sassi proprio sul sentiero e, dunque, sarebbe stato necessario consentire l’accesso unicamente a soggetti dotati di casco protettivo.

Tuttavia, tali evidenti carenze nella sicurezza non sono da porre in concatenazione causale con la morte dell’escursionista che, al momento della caduta, non si stava tenendo alle catene né era stato colpito o sbilanciato da un masso proveniente dall’altro.

Con ciò si vuole dire che, anche se la catena fosse stata adeguata e l’escursionista avesse calcato il casco protettivo, l’evento morte si sarebbe ugualmente verificato.

Orbene, si tratta di elementi che riguardano la causalità della colpa.

È ormai jus receptum che, in tema di reati colposi, per escludere il nesso di causalità tra condotta ed evento, è necessario accertare se quest’ultimo, nei termini di effettivo accadimento, si sarebbe ugualmente verificato ove dal giudicabile fosse stata posta in essere una condotta diligente, perita, prudente, nonché conforme alle pertinenti prescrizioni imposte da leggi e regolamenti4.

 

In termini ancora più espliciti, si è affermato che, una volta che sia stata accertata una condotta colposa inseritasi nel processo determinativo dell’evento, va verificato, in particolare, che proprio quella violazione della regola cautelare abbia cagionato (o abbia contribuito a cagionare) l’evento medesimo, non essendo sufficiente l’accertamento della causalità materiale e neppure che la condotta abbia in parte, o in tutto, prodotto il fatto delittuoso, ma occorrendo estendere l’indagine al nesso di causalità giuridica5.

In un’articolata ricostruzione della fattispecie colposa (di evento) è stato ribadito il principio per cui non soltanto l’evento dannoso deve essere prevedibile, ma, altresì, evitabile dall’agente, con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito)6.

Pertanto, non si può che concordare con il PM laddove afferma che: “i rilevanti difetti manutentivi non hanno partecipato causalmente alla produzione dell’evento fattuale…[si deve] escludere dal novero delle cause possibili dell’incidente mortale, oltre ad un difetto di equipaggiamento della vittima, che questo specifico evento sia avvenuto a causa di un difetto di manutenzione delle catene…parimenti il rischio di caduta di massi dall’alto, anch’esso imputabile ad un eventuale difetto di pulizia/manutenzione…non rileva nel caso in esame”.

 

4.  Il dovere di informazione

Se la mancata messa in sicurezza dei luoghi non ha causato la morte dell’escursionista, quale profilo di responsabilità residua?

Molto semplice: i gestori del rischio devono fornire un’informazione corretta dell’esistenza di un pericolo non atteso; se tale informazione non è data e l’escursionista affronta in modo inconsapevole un rischio inatteso, perché “atipico” in relazione al luogo che si percorre, e da tale inconsapevolezza deriva un evento lesivo, ebbene è possibile configurare un profilo di responsabilità penale.

 

Questo è il vero punto nodale che sfugge a molti commentatori ed alla platea degli amministratori – pubblici o privati, nulla cambia – di zone aperte al pubblico.

Non è richiesto mettere in sicurezza sempre e comunque la fonte del pericolo, anche perché spesso si tratta di una materiale impossibilità di provvedere a tanto.

È, però, necessario adoperarsi per mitigare i pericoli o, qualora anche tale attività sia difficoltosa o impossibile, fornire un’adeguata informazione a tutti coloro che possono entrare in contatto con tali pericoli.

Si tenga presente, al riguardo, che questo orientamento è entrato, lentamente, prima nelle aule universitarie, poi nei testi normativi e, infine, nei provvedimenti giurisdizionali.

Si assiste, dunque, ad un aumento progressivo della funzione dell’auto-responsabilizzazione, fondata sull’informazione.

Esempio lampante della positivizzazione del dovere di informazione è costituito dal d.lgs. n. 40/21, recante misure in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali, laddove impone ai gestori delle aree sciabili di informare gli utenti della presenza di pericoli “atipici” e comunque della situazione delle piste.

Per essere chiari: l’informazione non è fine a sé stessa, ma è funzionale a dotare i destinatari di tutti gli elementi di conoscenza necessari per affrontare consapevolmente il pericolo.

Solo trasformando il “pericolo” (inteso come elemento oggettivo esistente in rerum natura) in “rischio” (inteso come decisione individuale di affrontare il pericolo) è, infatti, possibile dare importanza alla scelta dell’utente, che decide di auto-esporsi al pericolo in modo consapevole, tanto da “liberare” il garante dalla responsabilità penale.

Il dovere di informare, ben lungi dal costituire un onere gravoso per i gestori, costituisce, anzi, una formidabile fonte di garanzia.

 

5.  Il pericolo tipico, il pericolo atipico e la loro valutazione

Si vedrà nel prossimo paragrafo quali sono le modalità e il contenuto dell’informazione.

È, però, necessaria una precisazione in ordine alla “tipicità” del pericolo, argomento scivoloso e da circoscrivere in modo accurato.

Pur essendo netta la tendenza della Suprema Corte ad “oggettivizzare” la colpa e tutti gli elementi che vi ruotano attorno, non sempre i concetti sono definibili da norme astratte e con generalizzazioni valide a priori.

 

Uno di tali concetti “mobili” riguarda proprio la “tipicità” dei pericoli insiti nelle attività outdoor. La descrizione dei pericoli “attesi” da chi pratica attività in mare, in montagna, o in un particolare contesto, non può essere contenuta in testi normativi, tenuto conto – peraltro – della estrema variabilità delle condizioni rinvenibili in ciascun momento della stagione, della giornata e financo nei singoli minuti in cui si dividono le ventiquattro ore.

È, allora, necessario che tale valutazione sia rimessa al magistrato (requirente, prima, giudicante, poi) che deve porsi nella stessa condizione del soggetto che ha compiuto l’azione. Normalmente, tale processo mentale viene declinato, nelle aule di giustizia, con riferimento all’imputato che ha fatto o ha omesso di fare una determinata azione. Per esempio, per poter affermare che un medico è in colpa, nell’aver compiuto o non compiuto una determinata operazione, è necessario porsi nel suo stato mentale prima dell’evento lesivo e comprendere cosa egli sapeva o avrebbe potuto sapere; parimenti, per poter giudicare la condotta del conducente di un autoveicolo che ha cagionato la morte di un pedone, è necessario valutare quale era la situazione da lui conosciuta o conoscibile, quale la condotta da lui esigibile e cosa avrebbe potuto fare per evitare la collisione.

Nel caso in esame, invece, la valutazione ex ante deve essere compiuta con riferimento al percepito o al percepibile da parte della vittima.

Cosa sapeva o cosa avrebbe potuto sapere l’escursionista che è caduto dal Passo del Bacio? Questa è la domanda rilevante da porsi per capire se, e in che modo, egli ha accettato il rischio, rivelatosi poi mortale.

 

E non solo: quel pericolo era o non era atteso, prevedibile, “tipico” per quella particolare attività che l’escursionista ha compiuto?

Il giudizio si deve, dunque, articolare in due distinti e successivi passaggi, verificando:

  • se il pericolo che ha dato origine all’evento dannoso era “tipico”, proprio di quella particolare attività;
  • se il soggetto passivo era al corrente che l’attività lo avrebbe esposto a quel particolare pericolo o a quella tipologia di pericoli.

Come si vede, sono due aspetti non perfettamente congruenti del medesimo quesito.

Pur essendo entrambi passibili di interpretazioni soggettive, pare necessario ancorare la valutazione ad elementi il più possibile oggettivi.

Pertanto, il secondo profilo (la consapevolezza dell’utente) può essere traguardato attraverso quei particolari dati oggettivi costituiti dalle informazioni inserite in appositi momenti di contatto tra il gestore del rischio e l’utente; si tratta, in sostanza, dell’informazione all’utenza, di cui si parlerà nel paragrafo successivo.

Per il primo profilo (la tipicità del pericolo), il discorso appare più complesso, non potendo tale tipicità essere valutata sull’esclusiva base esperienziale del giudicante.

La “normale esistenza” di un pericolo, insito in una specifica attività sportiva, deve essere giudicata sulla base degli elementi esistenti in disciplinari, manuali, regole tecniche di ciascuna disciplina.

 

Paradigmatico, in tal senso, il caso dei disciplinari del CAI, che forniscono le regole di condotta basilari e le definizioni connesse alle attività sportive praticate dai soci. A tali disciplinari ed a tali definizioni viene fatto spesso riferimento nelle segnaletiche poste, ad esempio, sui sentieri e sulle mappe, nei libri e nelle brochure che descrivono singoli itinerari.

Solo ove siano assenti regole scritte o valutazioni generalizzanti precostituite sarà possibile fare ricorso alle massime di esperienza.

Al riguardo, si ricorda che le massime di esperienza sono caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dall’esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione (mentre le congetture sono ipotesi fondate sulle possibilità non verificate in base all’id quod plerumque accidit, suscettibili, quindi, di verifica empirica)7.

Dunque, sintetizzando, il pericolo si può definire “tipico” quando è connaturato alla particolare tipologia di attività svolta.

Non può dolersi di essersi bagnato o di sbattere contro i sassi colui che svolge attività di rafting, né di prendere freddo o di cadere sulla neve colui che scia, né, ancora, di cadere sul sentiero o di inciampare in radici colui che corre in montagna.

Sono pericoli impliciti nell’attività scelta da chi accetta di affrontare quello specifico rischio, anche in assenza di una informazione al riguardo.

Al contrario, è certamente un pericolo “atipico” quello che lo sportivo non può attendersi di trovare nel particolare ambito da lui scelto.

La valanga all’interno del comprensorio sciistico gestito, un palo di ferro a pelo d’acqua nel torrente per chi fa rafting, un ponte rotto sul burrone per chi partecipa ad una gara di trail runnig.

Non si tratta di pericoli intrinseci all’attività sportiva affrontata; non sono elementi accettati dallo sportivo, se non nella misura in cui di essi sia stata fornita un’adeguata informazione che renda edotti gli utenti della loro esistenza.

 

Questa è la differenza sostanziale tra le due tipologie di pericoli.

Qualunque attività all’aria aperta (il c.d. outdoor) contiene un quid di pericolosità ineliminabile. Si tratta di un sintagma tanto ripetuto quanto vero. Chi scia sa di dover affrontare il freddo, la neve, il fondo gelato, altri sciatori, la velocità, le discese e anche alcune piccole anomalie sul percorso. Si tratta dei pericoli normalmente insiti nella pratica sportiva.

Tali pericoli sono “tipici” dell’attività e, come tali, sono per definizione consapevolmente accettati da chi sceglie di praticare quella specifica attività.

Di essi, il gestore del rischio non deve fornire alcun avvertimento.

Discorso diverso per i pericoli “atipici”, quei pericoli che non sono attesi da chi pratica l’attività sportiva.

È proprio questa la definizione contenuta nel d.lgs. n. 40/21: il pericolo “atipico” è quello difficilmente evitabile anche per uno sciatore responsabile lungo il tracciato sciistico8.

Nel caso dell’escursione, pare di poter affermare che la presenza di un burrone e di un tratto esposto è pericolo “atipico” se posto in sentieri, all’interno di parchi gestiti, contraddistinti dalla T (turistico), mentre è certamente pericolo “tipico” se posto in un sentiero contraddistinto dalla sigla EE (Escursionisti Esperti).

 

In proposito, è opportuno segnalare che il CAI, nella circolare n. 22 del 2021, identifica l’itinerario classificato dalla sigla EE, destinato ad escursionisti esperti, con queste precisazioni: “caratteristiche: percorsi quasi sempre segnalati che richiedono capacità di muoversi lungo sentieri e tracce su terreno impervio e/o infido (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, roccette o detriti sassosi), spesso instabile e sconnesso. Possono presentare tratti esposti, traversi, cenge o tratti rocciosi con lievi difficoltà tecniche e/o attrezzati, mentre sono escluse le ferrate propriamente dette. Si sviluppano su pendenze medio-alte…

Abilità e competenze: necessitano di ottima esperienza escursionistica, capacità di orientamento, conoscenza delle caratteristiche dell’ambiente montano, passo sicuro e assenza di vertigini, capacità valutative e decisionali nonché di preparazione fisica adeguata.

Attrezzatura: richiedono equipaggiamento e attrezzatura adeguati all’itinerario programmato”.

Su tale struttura del pericolo, come si è detto e come si dirà meglio nel prossimo paragrafo, si inserisce l’informazione che, se adeguata, lo trasforma in un rischio elettivo e, quindi, passibile di accettazione da parte dell’escursionista.

 

6.  L’informazione nel caso del Passo del Bacio e l’auto-esposizione al pericolo

Si è affermato che l’auto-esposizione al pericolo (o, se si preferisce, il rischio elettivo) ha rilievo unicamente allorché chi si espone ha una piena consapevolezza derivante dalla corretta informazione fornita dal gestore del rischio.

Rimane da verificare in cosa consiste tale informazione.

 

È possibile declinare il dovere di informare correttamente l’utenza sotto almeno due distinti profili.

  • Il primo profilo riguarda i contenuti dell’informazione: il gestore del rischio deve fornire all’utenza una descrizione del luogo da lui gestito, indicando la tipologia di attività in essa Il gestore deve avvisare i soggetti, che potenzialmente vi entrano in contatto, che esiste un pericolo; deve descriverlo, darne una definizione adeguata, fornire una informazione completa in modo che sia possibile scegliere in modo consapevole se affrontare quel rischio.

Il secondo profilo del dovere di informazione riguarda le modalità con le quali il messaggio viene veicolato: è, infatti, necessario che l’informazione relativa all’esistenza di un pericolo sia portata a conoscenza dell’utenza in modo corretto, esaustivo, penetrante, e sia facilmente intelleggibile per chiunque.

Non è sufficiente un cartello posizionato in un luogo non visibile o magari in un punto del percorso ove non è possibile tornare indietro. Non è sufficiente, neppure, un’informazione veicolata con modalità non accessibili a tutti (si pensi agli avvisi inseriti in siti specializzati, raramente consultati dalla platea generalista degli utenti).

Anche in questo caso, è paradigmatico in contenuto del d.lgs. 40/21 laddove vengono indicati, in modo specifico, gli avvisi che i gestori delle aree sciabili devono fornire agli utenti e dove debbono essere posizionati i cartelli9.

Alla luce del percorso normativo, dottrinale e giurisprudenziale descritto, spicca la decisione assunta dal PM di Genova, sia per chiarezza che per correttezza.

Di seguito, in estrema sintesi, il percorso logico.

 

6.1.  La tipologia di sentiero (classificato EE) e la presenza di un pericolo tipico (burrone)

Dal provvedimento in commento emerge che:

  • il sentiero delle “batterie” è inserito nella carta dei sentieri della Regione Liguria e, dunque, per esso, a norma dell’art. 4 R. n. 24/09, gli Enti Parco (soggetti preposti a provvedere al monitoraggio ed alla manutenzione dei sentieri) “sono tenuti a segnalare all’utenza eventuali pericoli”. L’art. 11 prevede che “i percorsi escursionistici sono utilizzati tenuto conto dei rischi oggettivi e soggettivi che tale uso comporta. L’utilizzatore deve essere in grado di rilevare situazioni di rischio o pericolo percepibili o prevedibili con l’ordinaria diligenza, regolando di conseguenza la propria condotta. L’utilizzatore deve, altresì, essere in grado di valutare la propria forma fisica e le proprie capacità tecniche in base alla difficoltà del percorso prescelto”;
  • l’ente gestore è tenuto, a norma degli artt. 7 e 25 L.R. n. 12/1995, ad elaborare le norme d’uso dell’area protetta mediante appositi regolamenti, che riguardano anche le modalità di fruizione del Parco;
  • il tratto del sentiero delle “batterie”, denominato “Passo del Bacio”, è certamente esposto, difficile, e da affrontare con cautele differenti rispetto al restante tracciato, poiché si trova “su una parete di roccia pressoché verticale ed uno strapiombo di decine di metri tale da non lasciare, con elevato grado di probabilità, scampo a chi malauguratamente dovesse da lì precipitare” (in tale tratto non sono mai stati registrati eventi mortali, ma ben diciassette interventi di soccorso nel solo anno 2017);
  • si tratta di un tratto nel quale è prevedibile la possibilità di incidenti gravi per gli escursionisti e “ne deriva che l'evento infausto era senz'altro prevedibile, ma si tratta di un rischio per così dire intrinseco e "tipico", sia per le caratteristiche del tracciato sia per la conformazione dei luoghi (sentiero impervio)”;

 

6.2.  La corretta informazione all’utenza

Dal provvedimento in commento emerge, altresì, che:

  • residua da verificare, ai fini della valutazione del cd. principio di affidamento in capo alla vittima, se l'elevata difficoltà del sentiero sia stata correttamente indicata e pubblicizzata;
  • la pericolosità del Passo del Bacio era stata comunicata, dall’Ente Parco, mediante tre diverse modalità: sul sito internet (viene indicato come il percorso più difficile di tutto il comprensorio); sulla cartellonistica apposta in loco (sentiero indicato come molto impegnativo); sulla brochure e sulle mappe dei percorsi disponibili per l’utenza presso la sede dell’Ente (con espressa indicazione di difficoltà EE).

 

6.3.  L’assenza di responsabilità per i gestori del rischio

Il PM conclude in questi termini:

posto che si è acclarato che la vittima risultava in buono stato psicofisico ed adeguatamente attrezzato e che nella causalità del fatto in esame vanno escluse responsabilità derivanti da un difetto di progettazione/manutenzione, occorre, quindi, appuntare l'attenzione sull'idoneità e sul grado di informazione fornito all'utente escursionista e, quindi, sulla conoscenza/conoscibilità del pericolo, difficoltà ed insidie insiti nel tratto e la conseguente, corretta, valutazione del rischio da parte di questi nel percorrere il tratto.

Ebbene, come detto, la cartellonistica apposta in loco evidenzia a più riprese trattarsi di un percorso "molto impegnativo"; stessa cosa può dirsi per la descrizione (in allora) presente sul sito, e su quanto indicato - più in generale - sul cd. vademecum dell'escursionista.

 

Soltanto nelle brochure messe a disposizione nella sede dell'Ente ed in particolare in quella riportante la Carta dei Sentieri, è effettivamente indicata la sigla EE, ossia che si tratta di tracciato riservato agli Escursionisti Esperti, il che implica che colui o colei che si accinge a percorrere un sentiero EE bene sa (o dovrebbe sapere) che si tratta, fra le altre cose, di un sentiero "impervio e/o infido" (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, roccette o detriti sassosi), spesso instabile e sconnesso". Che i sentieri EE possono presentare tratti esposti, traversi, cenge o tratti rocciosi con lievi difficoltà tecniche e/o attrezzati" [...], che "necessitano di ottima esperienza escursionistica, capacità di orientamento, conoscenza delle caratteristiche dell'ambiente montano, posso sicuro e assenza di vertigini, capacità valutative e decisionali nonché di preparazione fisica adeguata".

È questo il passaggio decisivo della motivazione, posto a conclusione del ragionamento logico- giuridico. L’informazione, sebbene in parte lacunosa, è stata ritenuta sufficiente per veicolare un messaggio agli escursionisti: il tratto del Passo del Bacio è difficile, esposto, adatto esclusivamente ad escursionisti esperti. Se è vero che l’unico cartello apposto in loco (e cioè il luogo nel quale inserire il più importante avviso, giacché è ben possibile che gli escursionisti si fidino di ciò che trovano esposto nei pressi del luogo da superare) indica unicamente che il sentiero è “molto impegnativo”, è, altresì, vero che:

  • tale dizione ricalca quella contenuta nella circolare del CAI;
  • sia nel sito internet del Parco10, che nelle brochure e nelle mappe11 disponibili presso l’Ente Parco, il sentiero viene indicato come EE.

Come detto, pur nella opinabilità della valutazione sottesa a tale decisione, pare del tutto corretto ritenere che l’informazione sia stata esaustiva e che il messaggio sia stato veicolato con modalità opportune.

Ovviamente, la conclusione sarebbe stata ben diversa se nel decorso causale che ha condotto al decesso dell’escursionista fosse stato inserito uno dei difetti di cui si è detto (inadeguatezza manifesta del sistema delle catene, omessa manutenzione, mancanza di informazione circa la caduta di pietre dall’alto). Di ciò i gestori del rischio devono essere consapevoli, data la prevedibilità di eventi dannosi della stessa tipologia di quello verificatosi.

 

Da tutto quanto esposto deriva la richiesta di archiviazione, accolta dal GIP del Tribunale di Genova in data 4.4.2024, che può essere così massimata:

“l’escursionista che decide di intraprendere un determinato percorso ha l’onere di informarsi sulle difficoltà del tracciato, in primis avvalendosi della carta dei sentieri, e di conseguenza conformare il comportamento alle proprie capacità psicofisiche, ivi compreso desistere dalla decisione di percorrere il tratto (ed anche eventualmente di ritornare sui suoi passi non appena percepito il pericolo di caduta sul tratto esposto), così come, per fare una analogia, lo sciatore è tenuto, prima di accedere alle piste, a consultare la cartina degli impianti delle piste, verificandone il grado di difficoltà, e accedere solo a quelle adatte alle proprie abilità sciistiche.

La responsabilità dell’Ente Parco è insussistente in quanto l’informazione fornita sul grado difficoltà del percorso è nel suo complesso esaustiva.

 

Scarica il provvedimento in formato .pdf

 

 

 

 

1 Giudice penale del Tribunale di Genova; componente del Comitato Editoriale di questa Rivista.

2 Si veda la chiara, quanto complessa, sentenza sui fatti di Viareggio, emessa dalla della Corte di Cassazione, Sez. IV, 8.01.2021 (dep. 6.09.2021) n. 32899.

3 Si rinvia alle sentenze Corte di Cassazione, Sezione civile, 19.01.2018, n.1257 e Corte Appello di Trento, Sezione civile, 9.05.2019, n. 214, con le quali si è stabilito, tra l’altro, che la possibilità di effettiva custodia non deve essere valutata in relazione a tutto il bene demaniale in gestione, bensì unicamente ai sentieri segnati (“in merito ai quali non possono sussistere dubbi di sorta, data la loro estensione relativamente limitata e la loro destinazione alla percorrenza da parte dei visitatori in condizioni di sicurezza”) e “alle aree immediatamente limitrofe, in cui risultano allocati i reperti di interesse per gli escursionisti, che è ragionevole presumere che questi ultimi possano intendere raggiungere nel corso della visita (almeno in mancanza di espresse limitazioni adeguatamente segnalate)”. Pertanto, le condizioni di sicurezza devono essere valutate sia per i sentieri segnalati, che per le zone immediatamente circostanti che “costituiscono la ragione di interesse (turistico, naturale, storico o di altro tipo) della visita, almeno nei limiti in cui risulti sussistere uno stretto vincolo funzionale tra il percorso segnalato e le aree a questo circostanti”.

4 cfr. Cass., Sez IV, 16 giugno 1989, n. 10340.

5 cfr. Cass., Sez. IV, 19 maggio 2005, n. 28564.

6 cfr. Cass., Sez. IV, 11 marzo 2010, n. 16761.

7 Cfr., tra le tante, Cass., sez. V, 24.5.2019, n. 25616 l.

8 Cfr. d.lgs 28.2.2021 n. 40, art. 2, lett. d).

9 Si vedano le disposizioni dettate dal d.lgs. 40/2021 agli artt. 5, commi 5 e 6; 10, comma 2; 11; 12, comma 2; 13 e, soprattutto, 16 per cui “è fatto obbligo ai gestori delle aree sciabili attrezzate di cui all’art. 4 di rendere adeguatamente visibili, oltre alle informazioni di cui all’art. 5 comma 5, anche quelle relative alla segnaletica e alle regole di condotta previste nel presente decreto, mediante collocazione nella biglietteria centrale e nella stazione di partenza dei principali impianti”.

10 Dettagli del sentiero san Rocco – San Fruttuoso. Difficoltà: percorso per Escursionisti Esperti. Tempo di percorrenza: 3 h. Il sentiero, consigliato ad escursionisti esperti per la presenza di alcuni tratti esposti ed attrezzati con catene…” segue descrizione del tragitto.

11 Sentiero con indicazione di difficoltà EE.