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Alla Corte di giustizia UE la natura delle Federazioni sportive nazionali italiane

Devono essere rimesse alla Corte di giustizia UE le questioni se sulla base delle caratteristiche della normativa interna relativa all’ordinamento sportivo la Federazione calcistica italiana (e, in generale, qualsiasi Federazione sportiva nazionale) sia qualificabile come organismo di diritto pubblico, in quanto istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; se in particolare ricorra il requisito teleologico dell’organismo nei confronti della Federazione pur in assenza di un formale atto istitutivo di una pubblica amministrazione e malgrado la sua base associativa, in ragione del suo inserimento in un ordinamento di settore (sportivo) organizzato secondo modelli di stampo pubblicistico e del vincolo al rispetto dei principi e delle regole elaborate dal Comitato olimpico nazionale italiano e dagli organismi sportivi internazionali, attraverso il riconoscimento a fini sportivi dell’ente pubblico nazionale; se inoltre tale requisito possa configurarsi nei confronti di una Federazione sportiva quale la Federazione italiana giuoco calcio, dotata di capacità di autofinanziamento, rispetto ad un’attività non a valenza pubblicistica quale quella oggetto di causa, o se invece debba considerarsi prevalente l’esigenza di assicurare in ogni caso l’applicazione delle norme di evidenza pubblica nell’affidamento a terzi di qualsiasi tipologia di contratto di tale ente (1).

 

Deve essere rimessa alla Corte di giustizia UE la questione se sulla base dei rapporti giuridici tra il C.O.N.I. e la F.I.G.C.- Federazione Italiana Giuoco Calcio il primo disponga nei confronti della seconda di un’influenza dominante alla luce dei poteri legali di riconoscimento ai fini sportivi della società, di approvazione dei bilanci annuali e di vigilanza sulla gestione e il corretto funzionamento degli organi e di commissariamento dell’ente; se per contro tali poteri non siano sufficienti a configurare il requisito dell’influenza pubblica dominante propria dell’organismo di diritto pubblico, in ragione della qualificata partecipazione dei presidenti e dei rappresentanti delle Federazioni sportive negli organi fondamentali del Comitato olimpico (1). 

 

(1) Ha osservato la Sezione che è pacifico il possesso del requisito della personalità giuridica ex art. 4, par. 1, n. 4), lett. b), della direttiva n. 2014/24/UE [e 3, comma 1, lett.  d), n. 2), del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016], è invece controverso se ricorrano nei confronti della Federazione calcistica gli altri due requisiti dell’organismo di diritto pubblico, e cioè: - il c.d. elemento teleologico, consistente nell’essere la stessa Federazione istituita «per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale» [artt. 4, par. 1, n. 4), lett. a), della citata direttiva n. 2014/24/UE, e 3, comma 1, lett. d), n. 1), d.lgs. n. 50 del 2016]; - il requisito dell’“influenza pubblica dominante”, declinato nei confronti della F.I.G.C. nell’essere la «gestione» di quest’ultima «posta sotto la vigilanza» del Comitato olimpico [artt. 4, par. 1, n. 4), lett. c), della citata direttiva n. 2014/24/UE, e 3, comma 1, lett. d), n. 3), d.lgs. n. 50 del 2016].

 

A quest’ultimo riguardo va infatti precisato che è pacifico in base ai fatti di causa che la Federazione calcistica italiana non beneficia di un finanziamento maggioritario da parte del C.O.N.I. – a differenza di altre Federazioni espressive di movimenti sportivi non in grado di mobilitare le risorse economiche che gravitano nel mondo del calcio, primo sport nazionale per diffusione presso il pubblico – né tanto meno i suoi organi sono nominati per «più della metà» dal Comitato olimpico nazionale italiano.

 

Sul requisito teleologico l’impiego del concetto di istituzione specifica e il vincolo funzionale ad interessi di carattere generale rimanda ad un atto autoritativo dei pubblici poteri (legge o sentenza) che nel caso delle Federazioni sportive non sembra ravvisabile, nella misura in cui in base alla legge di riordino del C.O.N.I. a tali enti è attribuita la natura di enti a base associativa, con personalità giuridica di diritto privato, soggetti in via residuale alle norme del codice civile (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 242 del 1999).

 

La scelta così operata in sede legislativa, antitetica a quella invece espressa in sede di istituzione del Comitato olimpico (con l’art. 5 della sopra citata legge n. 426 del 1942), sembra muovere dal postulato per cui l’organizzazione delle singole discipline sportive, dei praticanti e delle competizioni ad essere relative è espressione propria della società civile, di cui lo Stato si limita a riconoscere le strutture appositamente costituite, secondo gli schemi procedimentali del riconoscimento della persone giuridiche private (di cui al citato d.P.R. n. 361 del 2000), sulla base di requisiti interamente predefiniti dalla legge, il cui riscontro da parte dell’autorità competente sia limitato ad un’attività di stretta ricognizione ed accertamento, senza ponderazione di interessi orientata al perseguimento delle finalità di interesse generale.

 

Nella sua massima applicazione, elemento sintomatico di quest’impostazione è ricavabile dall’enunciato secondo cui la «valenza pubblicistica» delle attività svolte dalle Federazioni sportive, ai sensi del sopra citato art. 23 dello statuto del C.O.N.I., per la cura di interessi di carattere generale propri del mondo sportivo ed attribuiti in via istituzionale al C.O.N.I. (ex art. 1 del d.lgs. n. 242 del 1999) «non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse» (art. 23, comma 1-bis, dello statuto).

 

Questa previsione statutaria richiamata è da collegare all’ambito della generale autonomia degli enti istituiti dalla legge ed è conseguenza immediata della loro distinta esistenza rispetto allo Stato.

 

Ma qui si inserisce un primo elemento di incertezza. Anche in quest’autonomia, l’ente resta dalla legge tenuto al perseguimento di fini di pubblico interesse indicati dalla legge stessa, che sono alla base della sua istituzione e causa dei suoi poteri autoritativi.

 

Dunque la qualificazione formale ex lege resta in realtà non determinante per davvero attribuire o negare la natura pubblica al soggetto che è dalla legge stessa istituito. E tanto meno lo è dal punto di vista dell’applicazione degli istituti di diritto sovranazionale, in primis l’organismo di diritto pubblico, che infatti per le esigenze di uniforme applicazione nell’Unione Europea del diritto dei contratti pubblici prescinde dall’eventuale carattere privato del soggetto affidante, ed attraverso il requisito teleologico in esame impone il riguardo alla sostanza effettiva delle sue attribuzioni.

 

Sotto il profilo in esame deve allora sottolinearsi che le attività di «valenza pubblicistica» demandate ai sensi dell’art. 23 dello statuto del C.O.N.I. alle Federazioni sportive nazionali - ammissione e affiliazione di società, associazioni sportive e singoli tesserati; controllo sul regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; utilizzo dei contributi pubblici e gestione degli impianti sportivi; contrasto al doping; preparazione olimpica e formazione dei tecnici - al là della loro formale qualificazione, hanno rilevanza di carattere generale, connessa con l’organizzazione dello sport a livello nazionale istituzionalmente attribuita al Comitato olimpico nazionale (ex art. 1 della legge di riordino n. 242 del 1999).

 

Si tratta inoltre di compiti che sembrano esaurire l’intero ambito di operatività delle Federazioni e le ragioni stesse della loro costituzione. Ogni ulteriore attività, ivi compreso il servizio di facchinaggio per le selezioni calcistiche nazionali oggetto del presente giudizio, appare in rapporto di strumentalità rispetto ai compiti di «valenza pubblicistica» definiti dallo statuto del Comitato olimpico nazionale, fino ad esservi attratta.

 

In questo senso può essere pertinente il principio affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 15 gennaio 1998, C-44/96 (Mannesmann), per cui va considerato  organismo di diritto pubblico un’impresa titolare di diritti speciali ed esclusivi cui la legislazione nazionale attribuiva compiti di interesse generale anche se costituivano solo una parte delle attività dell’impresa, a sua volta già operante per la restante parte sul mercato.

 

Deve ancora sottolinearsi che, nello svolgimento di tali compiti, le Federazioni sono tenute a conformarsi alle «deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle Federazioni internazionali e del CONI» e che, prima ancora, esse sono soggette al riconoscimento «a fini sportivi» del Comitato olimpico, pregiudiziale rispetto a quello di associazioni di diritto privato (art. 15, commi 1, 5 e 6, d.lgs. n. 242 del 1999, citati). Il riconoscimento a fini sportivi potrebbe dunque essere assimilato all’istituzione prevista nell’ambito del requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico.

 

Nella prospettiva finora descritta, va poi evidenziato che nello svolgimento delle attività di «valenza pubblicistica» le Federazioni debbono a conformarsi «agli indirizzi e ai controlli del CONI»; ed in modo immanente sono vincolate al rispetto dei principi - di tipico ordine pubblicistico - della «imparzialità e trasparenza» (art. 23, comma 1-bis, dello statuto del Comitato olimpico), i quali manifestano rivolti a finalità di carattere generale che trascendono l’interesse corporativo dell’ente nel complesso della sua operatività, in linea con quanto espresso dalla Corte di giustizia nel precedente poc’anzi richiamato.

 

Come inoltre emerso dalla ricognizione normativa sopra svolta, nella veste di ente pubblico preposto al settore il C.O.N.I. dispone di poteri di vigilanza nei confronti delle Federazioni sportive che sono in realtà assimilabili a quelli delle relazioni interorganiche interne alla persona giuridica di diritto pubblico, estrinsecantesi principalmente nell’approvazione del bilancio annuale e nel controllo sulla gestione e sul rispetto dell’ordinamento sportivo, fino al commissariamento dell’ente federale (artt. 15, comma 3, d.lgs. n. 242 del 1999 e 23, comma 3, dello statuto del C.O.N.I., parimenti sopra richiamati).

 

Dal complesso di tali previsioni si ricava che a dispetto della loro qualificazione ex lege come associazioni di diritto privato e del sottostante modello di organizzazione corporativa incentrato sulla libera disponibilità del fine perseguito dall’ente collettivo, nel caso delle Federazioni sportive sembra difettare quest’ultimo elemento caratteristico, a favore del carattere in realtà istituzionale ed eterodeterminato, per legge o atto dell’autorità (o degli organismi sportivi internazionali), non solo dei profili strutturali essenziali, ma anche degli ambiti principali di azione e delle modalità con cui questa deve essere svolta: con simmetrica eliminazione o riduzione degli spazi e della libertà organizzativa che sono propri dell’autonomia privata, la quale invece caratterizza per sua natura le effettive persone giuridiche private.

 

Nondimeno, potrebbe porsi il dubbio che le norme in esame siano nel complesso strettamente funzionali ad assicurare il buon svolgimento dei compiti di valenza pubblicistica affidati alle Federazioni sportive sulla base di un’elencazione tassativa, e che per le restanti attività, tra cui quella strumentale di affidamento del servizio di facchinaggio (come nel caso oggetto del presente giudizio), si riespanda una generale generale capacità di diritto privato, senza vincoli di perseguire esigenze di interesse generale e pertanto senza vincolo al rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza enunciati nello statuto del C.O.N.I.. Questa considerazione potrebbe a fortiori essere predicabile nei confronti della Federazione calcistica italiana in virtù della (incontestata) sua capacità di autofinanziamento, tale da indurre a ritenere che nei suoi confronti non si pongano le esigenze del rispetto delle norme di evidenza pubblica, finalizzate a garantire l’imparziale contrattazione con il mercato di soggetti pubblici operanti secondo logiche non concorrenziali.

 

Torna a quest’ultimo riguardo in rilievo il precedente di cui alla sentenza del 15 gennaio 1998, C-44/96 (Mannesmann) della Corte di giustizia, in cui è stata invece negata la qualità di organismo di diritto pubblico ad una società partecipata da quella cui erano stati attribuiti diritti speciali o esclusivi, sulla base del rilievo che gli interessi di carattere generale realizzati attraverso tale società partecipata avevano carattere commerciale.

 

Trasposti i principi al caso di specie, occorre verificare se la peculiare relazione tra il C.O.N.I. e le Federazioni sportive nazionali – relazione definita dalla legge, anziché sulla base di un rapporto di controllo societario o simile – attragga alla sfera istituzionale pubblicistica del primo l’intero complesso delle attività svolte dalle seconde; e se ciò possa in particolare valere per la F.I.G.C., data la prevalenza di risorse proprie rispetto alla quota di finanziamento del C.O.N.I..

 

(Fonte:www.giustizia-amministrativa.it)

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