SANTAMARIA Aristodemo Emilio
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Genova 09.02.1892 / Genova 10.12.1974
1920. Calcio. 4°
Noto anche come Emilio, suo secondo nome all’anagrafe. Fratello maggiore di Stefano[1], altro calciatore. A 16 anni Aristodemo è già tesserato per l’Andrea Doria con la quale rimane fino al 1913, segnando 21 gol in 62 presenze. È particolarmente ricordato per la rete inflitta al Genoa nel derby vinto 3-0 il 30 gennaio 1910, anno in cui la Doria, con Santamaria in attacco e goleador, vince il Campionato Italiano della FGNI, nel cosiddetto “calcio ginnastico”. Santamaria s’è già dimostrato un attaccante di razza, possente e statuario, forte di testa ed in acrobazia, che sa destreggiarsi bene nelle mischie in area di rigore, in quel calcio “eroico” dove conta molto la vigoria fisica più che la tecnica. L’Andrea Doria tuttavia, pur ottenendo ottimi risultati nel calcio “ginnastico”[2], a livello di FIGC non è altrettanto vincente e Santamaria, che inizia ad essere soprannominato “Maja”, cerca altri lidi dove emergere definitivamente. Li trova sulla sponda opposta di Genova, nella squadra più blasonata di quel calcio “eroico”, quel Genoa che ha già vinto sei Campionati. Ma accade un fatto clamoroso che scuote le fondamenta dell’intero movimento calcistico italiano. Il trasferimento di Santamaria (e del compagno Sardi) avviene tramite il passaggio di denaro sottobanco e questo non è permesso dai rigidissimi regolamenti dell’epoca anche se qualche escamotage, sotto forma di rimborsi-spese o addirittura un lavoro retribuito in qualche azienda compiacente (ma con la società calcistica che si fa carico dello stipendio), si trova sempre. In sostanza siamo già in presenza, soprattutto nelle squadre più forti, di un professionismo “mascherato”, fortemente osteggiato dalla FIGC. Tuttavia stavolta si va oltre, anche in maniera ingenua. Geo Davidson[3], alto dirigente del Genoa, firma due assegni da 1500 lire, uno per Santamaria ed uno per Sardi, a mo’ di ingaggio. I due, come se niente fosse, si recano in banca[4] a depositare gli assegni. Ma il cassiere è un tifoso doriano, astuto e intelligente, che capisce tutto e, per vendetta, fa scoppiare la bomba.
La FIGC manda a processo il Genoa e i due calciatori. Il Genoa si difende con una tesi ai limiti del ridicolo[5] ed addossando la responsabilità a Davidson, ma se la cava con una multa, anche per i suoi grandi trascorsi sul campo mentre i due calciatori vengono squalificati per due anni di cui uno condonato per amnistia. Alla fine la sorte peggiore tocca proprio al cassiere, così impara ad impicciarsi, licenziato per violazione del segreto bancario. Santamaria perciò è costretto a stare fermo un anno, ma rientra alla grande nella stagione 1914-15 quando letteralmente “esplode”, segnando in 20 partite ben 26 gol di cui sei nella sola gara contro il Venezia vinta 9-1. Quel Campionato però ha un finale alquanto particolare e viene sospeso praticamente all’ultima giornata, il 23 maggio, quando le squadre sono pronte all’ingresso in campo, causa l’entrata in guerra dell’Italia (le ostilità belliche difatti inizieranno il giorno seguente). Il torneo non sarà più ripreso ed anni dopo la FIGC attribuirà la vittoria al Genoa, in quel momento al comando del Girone Nord, anche se mancava ancora una partita e teoricamente i rossoblu avrebbero potuto essere ancora raggiunti dagli inseguitori. Inoltre mancava anche la finale con la vincente del Girone Centro-Sud (la Lazio). Un’attribuzione che ancora oggi, pure negli ambienti laziali, suscita qualche polemica, figuriamoci allora. Ma la guerra incombe e l’attività si blocca. Anche Santamaria (che sembra attirare su di sè situazioni ingarbugliate) deve fermarsi, semplice soldato di fanteria: peccato, perchè ha pure già esordito in Nazionale, il 31 gennaio 1915, a Torino contro la Svizzera, nel match vinto 3-1 dagli azzurri. Di Campionato se ne riparla solo nel 1919-20, con Santamaria che, ancora col Genoa, gioca 19 partite e segna 11 gol. Il Genoa chiude terzo il girone finale Nord, ma Santamaria ha confermato buone qualità anche se il “gemello del gol” Sardi, suo compagno d’attacco in rossoblu, ha realizzato il doppio delle sue reti. I due sono immancabilmente tra i 22 selezionati per i Giochi da Giuseppe Milano: l’ex colonna della Pro Vercelli, con la quale ha vinto cinque campionati, dal marzo 1920 è stato difatti designato come CT della nostra Nazionale da un’apposita Commissione Tecnica la quale, incaricata dalla FIGC, ne segue e dirige ogni mossa.
È comunque Milano ad andare in panchina, a scegliere la formazione ed a far partire titolari sia Sardi che Santamaria (all’esordio assoluto n Nazionale!) nella prima partita del torneo olimpico, contro l’Egitto. Il torneo è ad eliminazione diretta: ottavi, quarti, semifinale e finale che assegna la medaglia d’oro. Per le altre medaglie, in maniera macchinosa, è previsto un mini-torneo di consolazione tra tutte le perdenti dai quarti in avanti. Al via 14 nazioni visto che Svizzera e Polonia, invitate, rinunciano all’ultimo momento, permettendo a Francia e Belgio, le loro avversarie designate, di accedere subito ai quarti di finale. L’Italia invece deve giocarsela ma il sorteggio è stato benevolo: l’Egitto non sembra un avversario temibile. La partita si gioca all’Ottenstadion di Gand e si mette subito bene: al 25’ segna Baloncieri. Ma da questo momento iniziano i problemi: gli egiziani masticano calcio discretamente, non si disuniscono e dopo appena cinque minuti Osman pareggia. Si va al riposo sull’1-1, tra la sorpresa generale. Ci pensa Brezzi a salvare la baracca, realizzando al 57’. I nostri tengono, non senza fatica, il risultato fino alla fine ed accedono ai quarti di finale. Il giorno seguente, all’Olympisch Stadion di Anversa, alle ore 15.00 di fronte a circa diecimila spettatori, affrontiamo la Francia e Santimaria rimane al suo posto. Sembra sulla carta un altro ostacolo non impossibile, visto che otto mesi prima, sul terreno del Velodromo Sempione di Milano, abbiamo strapazzato i “galletti” transalpini 9-4. Invece stavolta è tutta un’altra storia: dopo 10’ Bard rompe il ghiaccio ed al 14’ Boyer raddoppia. Al quarto d’ora siamo già sotto 2-0, altro che goleada. Ci svegliamo un po’, ma è necessario un rigore di Brezzi al 33’ per ridarci speranza. Dopo 45’ si rimane sul 2-1 per la Francia. C’è ancora tempo e spazio per rimediare, ma al 54’ di nuovo Bard chiude il conto. Gli azzurri accusano il colpo e lasciano ai transalpini l’onore della semifinale. Il torneo ha un esito clamoroso. La finale 1°-2° posto è giocata da Belgio e Cecoslovacchia. I padroni di casa sono sostenuti da un tifo fin troppo scalmanato e l’enorme pubblico viene a stento contenuto dalle forze dell’ordine. Si gioca in un clima intimidatorio per i cechi, con offese e minacce, anche da parte di molti soldati del cordone di polizia (!). L’arbitro fa il resto, favorendo sfacciatamente i padroni di casa che vanno rapidamente sul 2-0. Per protesta i cechi abbandonano il campo: vengono squalificati e non possono accedere al torneo di consolazione per le altre medaglie. Nessuno ovviamente osa togliere l’oro al Belgio nè tanto meno pensare ad una ripetizione della gara. Nel torneo di consolazione c’è anche l’Italia che scende in campo il 31 agosto alle 10 di mattina, all’Olympisch Stadion contro la Norvegia che, a sorpresa, ha eliminato la Gran Bretagna (la quale ha peraltro inviato una compagine di scarsa qualità).
Gioca in pratica chi non ha giocato i turni precedenti e Santamaria va in panchina. Vinciamo ma con grandissima fatica: al 40’ Andersen porta in vantaggio gli scandinavi e si rientra negli spogliatoi sullo 0-1. Ad inizio ripresa pareggia Sardi, uno dei migliori goleador del periodo, e ci vogliono i supplementari per derimere la questione: all’inizio del terzo extra-time (in quel periodo difatti ne sono previsti quattro!) Badini ci regala la qualificazione. Siamo dunque in corsa per una medaglia, ma bisogna vincere con la Spagna, avversario tosto e la cui porta è difesa dal giovanissimo ma già portentoso Zamora. Santamaria è di nuovo in panchina. Il 2 settembre alle 16.00, all’Olympisch Stadion, purtroppo non c’è partita: una doppietta di Sesumaga (43’ e 72’) ci rimanda a casa con la “medaglia di legno”. Difatti veniamo classificati quarti, grazie anche alla squalifica della Cecoslovacchia. La Spagna guadagna l’argento, superando nella “finalina” i Paesi Bassi (bronzo) per 3-1. L’Italia torna a casa con due vittorie e due sconfitte, un bilancio mediocre per un movimento calcistico in ascesa e che a livello nazionale sta suscitando sempre più attenzione su stampa e tifosi, ma ancora lontano dai vertici europei. Santamaria invece i vertici, almeno quelli italiani, li tocca. Passato alla Novese, nel 1921-22 vince addirittura il Campionato FIGC, superando in finale la Sampierdarenese 2-1: è tuttavia un torneo privato delle squadre principali che hanno fondato una propria Lega. Poi a 30 anni, ormai maturo ed esperto, torna al Genoa ed è apoteosi: due titoli italiani consecutivi (1922-23 e 1923-24) conditi da 30 reti, pure nelle finali di Campionato[6]. Santamaria non si smentisce e segna anche in Nazionale: un gol nelle partite contro Francia (a Marsiglia, vittoria azzurra 2-1) il 20 febbraio 1921, Austria (3-3 a Milano) il 15 gennaio 1922 e Germania (3-1 a Milano) il 1° febbraio 1923. L’ultima partita in azzurro la gioca nella sua Genova il 4 marzo 1923 contro l’Ungheria (0-0). Chiude la sua carriera nel 1926 col Genoa con cui totalizza 114 presenze e 81 gol. Se aggiungiamo le 11 partite con la Nazionale e le 3 reti, otteniamo un palmares di altissimo livello, per uno dei più forti attaccanti italiani negli anni a cavallo della Prima Guerra Mondiale.
[1] Stefano Santamaria, nato a Genova il 02.02.1904. Cresciuto calcisticamente nel Balilla Genova, passa alla Novese assieme al fratello Aristodemo: i due nel 1921-22 vincono il titolo italiano FIGC nell’anno della famosa scissione in cui i club più importanti fondano una loro Lega, la CCI. Nel 1925-26 è nel Genoa, di nuovo col fratello ma senza molta fortuna (7 presenze e 3 reti). Passa poi a squadre minori come Carrarese e Rivarolese
[2] Per calcio “ginnastico” si intende quello giocato sotto l’egida della FGNI, la Federazione Ginnastica, applicando tra l’altro regole leggermente diverse da quello di matrice britannica. L’Andrea Doria, espressione calcistica di una società essenzialmente ginnica, vince il titolo italiano in ben 4 occasioni: 1902 (a pari merito col Milan), 1910, 1912 e 1913. Nelle ultime tre occasioni tra i protagonisti c’è anche Santamaria. Il torneo FGNI aveva comunque una caratura tecnica e quantitativa assai più modesta rispetto a quello FIGC
[3] Vero nome di battesimo George, detto Geo. Nato a Leethan, in Scozia, il 06.09.1865. Vero gentleman e sportsman anglosassone, di famiglia benestante. Arrivato bambino a Genova al seguito dei genitori che in città hanno importanti affari nel settore navale, vi rimane tutta la vita, inserendosi alla perfezione nel mondo sportivo italiano. Tra i primi ciclisti d’Italia, nel 1886 vince il titolo italiano su strada dei bicicli mentre l’anno seguente si aggiudica il GP Busalla e la Coppa Duca di Genova. Oltre ad essere Presidente del Genoa, sarà anche Presidente dell’UVI dal 1915 al 1927
[4] Per la precisione alla filiale di Via Roma della Banca di Credito Cooperativo Genovese
[5] Il Genoa asserisce che gli assegni sarebbero serviti per rimpinguare la società “Stadium”, in cattive acque, il cui dirigente è il colonnello Spinelli, guarda caso superiore di Santamaria e Sardi, allora militari
[6] Nel 1922-23 Santamaria segna in entrambe le partite di finale con la Lazio (4-1 a Genova e 2-0 a Roma). Nel 1923-24 realizza una rete nel 3-1 che il Genoa infligge in casa al Savoia mentre a Torre Annunziata è 1-1