NEGRO Alfonso
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Brooklyn - New York (USA) 27.06.1915 / Firenze 07.11.1984
1936. Calcio. MEDAGLIA D’ORO
Nato a New York da genitori campani, di Angri: dopo pochi anni, terminata la Prima Guerra Mondiale, la famiglia torna al paese di origine. Già a 15 anni Negro è nella prima squadra dell’Angri, in Prima Divisione ovvero una sorta di Serie C. Mancino naturale, si segnala come buon attaccante, schierato preferibilmente all’ala. Nel 1933-34 passa alla Catanzarese, in Serie B. Ha la fortuna di essere adocchiato dalla Fiorentina che lo ingaggia per il 1934-35: fortuna doppia perchè Negro a Firenze frequenta la facoltà di medicina. Non gioca molto: tre partite il primo anno, quando la Viola coglie un ottimo terzo posto, e tre nel 1935-36. Tuttavia viene scovato dal CT Pozzo che sta cercando di allestire la squadra olimpica non senza difficoltà. Il regolamento difatti esclude i professionisti (anche se molti ricevono compensi che vengono fatti passare per “rimborsi-spese”) e soprattutto coloro che abbiano già giocato in Nazionale; oltre tutto bisogna essere iscritti all’Università. Negro lo è e difatti viene schierato titolare nella prima partita di preparazione, disputata a Venezia il 21 maggio 1936 contro l’Ungheria “dilettanti”. Sotto pioggia e vento, vinciamo 2-0 e la compagine, che gioca in maglia nera anzichè azzurra, sembra già a buon punto. Negro dunque figura tra i convocati per il tradizionale ritiro collegiale preolimpico, tenuto a Merano dall’8 luglio. Pozzo, coadiuvato da Angelo Mattea, assembla col solito impeto gagliardo una squadra cui dà la sua impronta ferrea e determinata. Gli azzurri (o i neri visto che il colore della maglia è quello tanto caro ai fascisti...) segnano caterve di gol ad alcune squadre minori che fungono da sparring partner: 18-1 al Bolzano, 7-1 allo Spezia e 9-1 al “fascio italiano” di Berlino, raggiunta in treno con partenza da Verona il 27 luglio. I nostri sembrano pronti anche se molti, stampa compresa, appaiono piuttosto scettici alla vigilia. Il torneo olimpico di calcio si gioca interamente a Berlino, nei vari stadi della città. Al via 16 nazioni, con eliminazione diretta. L’Italia esordisce alle 17.30 del 3 agosto contro gli Stati Uniti, al “Poststadion”, situato nel sobborgo di Moabit, nella parte nord-occidentale della capitale tedesca. Arbitro il tedesco Weingartner, spettatori 9mila. Negro è in panchina dato che il titolare all’ala sinistra è Cappelli. La partita sembra scontata, ma gli azzurri la affrontano con poca determinazione e gli americani non sono poi così sprovveduti come si pensava. Così il primo tempo termina 0-0. La sfuriata di Pozzo negli spogliatoi sembra avere effetto ed i nostri tornano in campo grintosi e dinamici, ma al 53°, a seguito di un brutto fallo di Piccini si genera un parapiglia generale. L’arbitro, un po’ a caso, espelle proprio Rava che in questo modo stabilisce un record poco esemplare: è difatti il primo azzurro mai espulso in una gara internazionale. Sembra un brutto colpo per gli azzurri, ma passano appena due minuti e segna Frossi. Gli americani tentano inutilmente di realizzare il pareggio, i nostri controllano ed alla fine, soffrendo un po’ troppo, vinciamo 1-0. Mai visto Pozzo infuriato coi suoi giocatori come nei giorni che seguono quel primo match. La strigliata però funziona. Il 7 agosto, al “Mommenstadion” di Grunewald (periferia occidentale di Berlino), affrontiamo il Giappone che a sorpresa ha eliminato i quotati svedesi (3-2). Negro siede di nuovo in panchina. Di fronte ad 8mila spettatori e con arbitro proprio uno svedese, Olsson, stavolta non la prendiamo sottogamba e strapazziamo i nipponici 8-0. Biagi ne segna quattro (32°, 57°, 81° e 82°), Frossi tre (14°, 75° e 80°) mentre chiude il conto Cappelli (89°) che poi si infortuna malamente causa l’inutile e proditorio fallo di un avversario. Entriamo dunque nei quarti a vele spiegate. L’infortunio di Cappelli apre le porte a Negro che dunque debutta in azzurro. Il 10 agosto tocca alla Norvegia ed il gioco si fa duro: gli scandinavi difatti hanno portato in pratica la loro Nazionale maggiore. Si gioca all’Olympiastadion di fronte a ben 95mila spettatori, arbitra l’ungherese Hertzka. Cominciamo bene ed al 15° Negro ci porta in vantaggio. Il primo tempo si chiude 1-0, ma i norvegesi sono tosti e pareggiano con Brustad al 58°. Il risultato non cambia, si va ai supplementari ed al 96° decide tutto Frossi che si sta rivelando il nostro goleador. La difese regge l’assalto finale scandinavo e ci guadagnamo il passaggio del turno. Siamo già andati al di là di ogni aspettativa, ma Pozzo tiene sulla corda i nostri, cerca di gasarli psicologicamente, di non farli mollare. A sdrammatizzare l’attesa ci pensa niente meno che Jesse Owens, l’eroe afroamericano di quei Giochi con 4 medaglie d’oro (100, 200, 4x100 e lungo), il quale al Villaggio Olimpico è diventato amico degli azzurri con cui passa le serate a suonare la chitarra, cantare e ballare. La vigilia passa così senza troppo stress ed il 15 agosto i nostri sono pronti a giocarsi l’oro con la temibile Austria. Negro però viene sostituito da Gabriotti. Si rigioca ovviamente all’Olympiastadion, arbitra il tedesco Bauwens di fronte a 85mila spettatori. Incontro equilibrato e teso, non si sblocca: il primo tempo finisce 0-0. Ci pensa, guarda caso, ancora Frossi che al 70° porta in vantaggio l’Italia. Qualcuno pensa che sia fatta, ma l’Austria è forte, si riversa in attacco e pareggia dieci minuti dopo con Kainberger. Si va, di nuovo, ai supplementari. Pozzo rincuora i nostri da par suo, li stimola per l’ultima volta all’impresa: il morale è alto, nessuno trema, la “squadra” non molla. Si torna in campo col piglio vincente e dopo due minuti segna, ovviamente, Frossi. Poi è tempo solo di resistere e la difesa non tradisce. Il risultato non cambia: Italia-Austria 2-1, medaglia d’oro! Il bronzo va alla Norvegia che supera 3-2 la Polonia nella “finalina”. Il sogno s’è realizzato: una squadra di universitari, molti dei quali non avranno carriere eccezionali, ha vinto i Giochi. Il momento è talmente storico che...non si ripeterà più. Negro in questo contesto non è stato certo grande protagonista, ma la sua unica presenza ne fa un campione olimpico a tutti gli effetti: ha comunque fornito il suo contributo alla causa e non tornerà più in Nazionale. Dopo i Giochi, continua in Serie A con la Fiorentina[1] e studia, specializzandosi in ginecologia. Nel 1938 passa al Napoli dove rimane tre stagioni, non giocando moltissimo (25 presenze e 3 reti), ottenendo un bel 5° posto nel 1938-39. Chiude la sua carriera su alti livelli nel 1940-1941 quando, ormai laureato, si installa ad Ercolano. Ma lo scoppio della guerra lo chiama al fronte: viene inviato in Grecia come Ufficiale Medico, dapprima al seguito del 37° Battaglione Mortai Divisione Modena e poi negli ospedali da campo di Giannina ed Atene. Terminato finalmente il conflitto, torna ad Ercolano dove sviluppa la professione medica, alternandola ancora al calcio, giocando per pura passione nella squadra locale in Serie C sino ai 37 anni.
[1] Nel 1936-37 gioca 21 partite e segna 2 gol, l’anno seguente consegue 24 presenze con 2 reti ma la squadra retrocede