MENEGHETTI Mario
-
Novara 04.02.1893 / Novara 24.02.1942
1920. Calcio. 4°
Studente di ragioneria, inizia come ginnasta ma già a 15 anni gioca a calcio a buon livello, nella “Voluntas” gestita dai salesiani nella sua città natale: da lì è facile passare nelle file del Novara[1] dove si segnala sin dall’età di 18 anni. Dopo una breve esperienza all’ala, trova il suo ruolo perfetto: centrocampista difensivo o, come si diceva allora, centromediano. Dotato di grande resistenza, non molto alto (1,66m) ma robusto, è una sorta di inesauribile motorino di centrocampo, che lotta su ogni pallone con foga e slancio, con energia e grinta, un trascinatore in campo e fuori. Inoltre è un gran colpitore di testa e, indossando sempre un fazzoletto annodato sulla nuca che gli circonda il capo, è il più riconoscibile in campo. Facendo un riferimento ai nostri giorni, è una sorta di Furino o Gattuso trasportati in un calcio che ha ancora tratti “eroici”, pur evolvendosi verso una certa “modernità”. La carriera di Meneghetti, come del resto tante altre, è fragorosamente interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Ufficiale di Fanteria, combatte dapprima in Trentino, poi col 153° Reggimento è spostato nella valle dell’Isonzo, nei pressi di Oslavia. Qui viene catturato dagli austriaci il 14 gennaio 1916. Da lì inizia la sua odissea che egli stesso racconterà più volte anche sulle riviste sportive. Trasferito a Gorizia e Lubiana, viene internato nel campo di Mauthausen dove i prigionieri tentano di far trascorrere il tempo anche ritornando ai loro sport preferiti. Esiste difatti un’apposita associazione, “Presto Liberi”, che si occupa di organizzare perfino partite di calcio dove, ovviamente, Meneghetti è in prima fila. Però Meneghetti ha un tarlo che lo rode, la libertà e prova ripetutamente a fuggire dal campo senza esito. La fuga diviene la sua ragione di vita e si finge pure pazzo in modo da farsi allontanare da quella prigione. Vi riesce, ma solo per essere trasferito ancora più lontano dall’Italia: finisce a Dunaszerdahely[2]. Ma non si perde d’animo e progetta un’altra fuga mentre riesce pure a giocare qualche altra partita con gli altri prigionieri. Trascorre mesi interi a pianificare l’azione: trova alcune divise di soldati austriaci dagli altri prigionieri italiani, falsifica documenti, impara qualche parola di tedesco, si trasforma in una recluta tirolese. Assieme ad altri due compagni, la notte dell’8 gennaio 1918 evade dal campo, mescolandosi alla scorta austriaca di altri prigionieri. I tre, tra mille rischi di essere scoperti, viaggiano in treno, dormono all’addiaccio, attraversano l’intera Austria e dopo una settimana entrano in territorio svizzero. Sono salvi e liberi, finalmente! Col rientro a casa, Meneghetti, anzi Miniga come tutti lo chiamano, riprende a giocare seriamente, ancor meglio di prima.
Nella primavera del 1920 è adocchiato da Giuseppe Milano, l’ex colonna della Pro Vercelli con la quale ha vinto cinque campionati, che è appena stato designato CT della nostra Nazionale da un’apposita Commissione Tecnica la quale, incaricata dalla FIGC, ne segue e dirige ogni mossa. È comunque Milano ad andare in panchina, a scegliere la formazione ed a far esordire Meneghetti il 13 maggio 1920 a Genova nel match pareggiato 1-1 con i Paesi Bassi, tra l’altro assieme al suo compagno novarese Reynaudi. Il pareggio non è certo il miglior viatico alla trasferta olimpica cui i nostri si avvicinano non da favoriti. Il torneo è ad eliminazione diretta: ottavi, quarti, semifinale e finale che assegna la medaglia d’oro. Per le altre medaglie, in maniera macchinosa, è previsto un mini-torneo di consolazione tra tutte le perdenti dai quarti in avanti. Al via 14 nazioni visto che Svizzera e Polonia, invitate, rinunciano all’ultimo momento, permettendo a Francia e Belgio, le loro avversarie designate, di accedere subito ai quarti di finale. L’Italia invece deve giocarsela ed il sorteggio è benevolo: il 28 agosto, alle 15.20, all’Ottenstadion di Gand, affrontiamo l’Egitto, con Meneghetti in campo. Non sembra un avversario temibile e la partita si mette subito bene: al 25’ segna Baloncieri. Ma da questo momento iniziano i problemi: gli egiziani masticano calcio discretamente, non si disuniscono e dopo appena cinque minuti Osman pareggia. Si va al riposo sull’1-1, tra la sorpresa generale. Ci pensa il centravanti Brezzi a salvare la baracca, realizzando al 57’. I nostri tengono, non senza fatica, il risultato fino alla fine ed accedono ai quarti di finale. Il giorno seguente (!), all’Olympisch Stadion di Anversa, alle ore 15.00, di fronte a circa diecimila spettatori, affrontiamo la Francia e Meneghetti è di nuovo in campo. Sembra sulla carta un altro ostacolo non impossibile visto che a gennaio, sul terreno del Velodromo Sempione a Milano, l’abbiamo battuta 9-4. Stavolta è tutta un’altra storia: dopo 10’ Bard rompe il ghiaccio ed al 14’ Boyer raddoppia. Al quarto d’ora siamo già sotto 2-0, altro che goleada. Ci svegliamo un po’, ma è necessario un rigore di Brezzi al 33’ per ridarci speranza. Dopo 45’ si rimane sul 2-1 per la Francia. C’è ancora tempo e spazio per rimediare, ma al 54’ di nuovo Bard chiude il conto. Gli azzurri accusano il colpo e lasciano ai transalpini l’onore della semifinale. Il torneo ha un esito clamoroso. La finale per il primo posto è giocata da Belgio e Cecoslovacchia. I padroni di casa sono sostenuti da un tifo fin troppo scalmanato e l’enorme pubblico viene a stento contenuto dalle forze dell’ordine. Si gioca in un clima intimidatorio per i cechi, con offese e minacce, anche da parte di molti soldati del cordone di polizia (!). L’arbitro fa il resto, favorendo sfacciatamente i padroni di casa che vanno rapidamente sul 2-0. Per protesta i cechi abbandonano il campo: vengono squalificati e non possono accedere al torneo di consolazione per le altre medaglie. Nessuno ovviamente osa togliere l’oro al Belgio nè tanto meno pensare ad una ripetizione della gara.
Nel torneo di consolazione c’è anche l’Italia che scende in campo il 31 agosto alle 10 di mattina, all’Olympisch Stadion contro la Norvegia che, a sorpresa, ha eliminato la Gran Bretagna (la quale ha peraltro inviato una compagine di scarsa qualità). Gioca in pratica chi non ha giocato i turni precedenti e Meneghetti va in panchina. Vinciamo ma con grandissima fatica: al 40’ Andersen porta in vantaggio gli scandinavi e si rientra negli spogliatoi sullo 0-1. Ad inizio ripresa pareggia Sardi, uno dei migliori goleador del periodo, e ci vogliono i supplementari per dirimere la questione: all’inizio del terzo extra-time Badini ci regala la qualificazione. Siamo dunque in corsa per una medaglia, ma bisogna vincere con la Spagna, avversario tosto e la cui porta è difesa dal giovanissimo ma già portentoso Zamora. Stavolta Meneghetti torna in campo. Il 2 settembre alle 16.00, all’Olympisch Stadion, purtroppo non c’è partita: una doppietta di Sesumaga (43’ e 72’) ci rimanda a casa con la “medaglia di legno”. Difatti veniamo classificati quarti, grazie anche alla squalifica della Cecoslovacchia. La Spagna guadagna l’argento, superando nella “finalina” i Paesi Bassi (bronzo) per 3-1. L’Italia torna a casa con due vittorie e due sconfitte, un bilancio mediocre per un movimento calcistico in ascesa e che a livello nazionale sta suscitando sempre più attenzione su stampa e tifosi, ma ancora lontano dai vertici europei. Meneghetti chiude qui non solo la sua esperienza olimpica ma anche le sue presenze in Nazionale: non vestirà più difatti la maglia azzurra. Rimane però, almeno per un decennio, un buon protagonista del nostro calcio, giocando a lungo nella massima serie. Fino al 1924-25 è nel Novara dove totalizza una settantina di presenze e segna 20 reti, bottino non trascurabile per un centrocampista. Poi passa alla Juventus che proprio in quel periodo vede la famiglia Agnelli al timone, con Edoardo (figlio del fondatore della Fiat Giovanni), e sta risalendo ai vertici del nostro calcio. Nel 1925-26 infatti, con Meneghetti grande protagonista (22 presenze ed un gol[3]), la Juventus vince lo scudetto, il secondo della sua storia, strapazzando nella finale l’Alba Roma[4]. Nella stagione successiva Meneghetti totalizza altre 21 presenze in bianconero, poi torna a Novara dove rimane fino al 1930, con 61 presenze e 4 gol. Dopo due stagioni al Seregno, nel 1932-33 chiude la carriera nel suo Novara in serie B dove ricopre il ruolo di allenatore e giocatore (peraltro con una sola presenza). Negli anni ’30 si dedica ad allenare nelle serie minori (Seregno, Pro Patria), dividendosi tra calcio ed il lavoro alla stazione di Novara. Qui però il 24 febbraio 1942 è vittima di un incidente, venendo travolto da un treno che lo uccide sul colpo, a 49 anni. Tutta Novara lo piange e ricorda ancora oggi il suo esempio di calciatore-modello.
[1] Per la precisione Novara Football Club. Nasce il 1 ottobre 1910 dalla fusione di varie società cittadine, con Meneghetti in prima fila
[2] Città allora situata in Ungheria, oggi in Slovacchia e nota come Dunajskà Streda
[3] Meneghetti realizza la rete del 3-0 nell’incontro che la Juventus vince a Mantova 5-0 il 14.02.1926
[4] 7-1 a Torino e 5-0 a Roma i punteggi delle larghe vittorie della Juventus nell’atto conclusivo del Campionato di Prima Divisione