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MARTINO Francesco

Bari 14.07.1900 / Bari 10.10.1965

1924. Ginnastica Artistica. MEDAGLIA D’ORO Concorso a Squadre, MEDAGLIA D’ORO Anelli, 11° Sbarra, 13° p.m. Salita alla Fune, 15° Parallele, 16° Concorso Individuale, 28° Cavallo con Maniglie, 44° Salto Cavallo in Traverso, 57° p.m. Volteggio

Tesserato per la “Angiulli” fin da bambino, assieme ai fratelli maggiori Raffaele ed Angelo. A 12 anni è già nella prima squadra della sua società e partecipa ai concorsi di Torino e Genova: è il più giovane dei concorrenti e stupisce tutti per le sue buone qualità. A 15 anni “Ciccio”, come lo chiamano tutti, è Campione Regionale nella gara artistica, dimostrando già un’ottima padronanza degli attrezzi, in particolare degli anelli che diventeranno il suo pezzo forte. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, inizialmente, non blocca la sua attività agonistica: il 6 aprile 1916 difatti Martino vince a Bari la gara artistica juniores organizzata dalla sua “Angiulli”. Poi però vince lo spirito patriottico: ancorchè giovanissimo, incapace di attendere il suo turno, Martino si arruola volontario in Marina nel 1917. Viene impiegato nei MAS, con compiti di sminamento nello stretto dei Dardanelli e nel Mar Nero, ottenendo anche un’onorificenza. Terminato il servizio militare, rientra alle gare nel 1921, conquistando subito buoni risultati, bissati l’anno seguente: brilla a Trieste, Zara, Milano. Stupisce per la padronanza degli anelli di cui diventa protagonista principe, nel solco della già grande tradizione italiana. Sembra lanciato verso i vertici assoluti. Nel week-end tra il 25 ed il 26 agosto si svolge a Milano, sul campo del Milan in Viale Lombardia ed organizzata dalla Pro Patria, la prima fondamentale selezione preolimpica: è buon decimo nella gara artistica ma sulla sua prestazione pesano molto gli scarsi punteggi ottenuti al cavallo, attrezzo che mal digerisce. Entra comunque nella lista degli “azzurrabili”, primo passo verso i Giochi dell’anno seguente. Ma sul più bello accade il patatrac. Il 26 settembre a Milano, durante un allenamento agli anelli, si rompono le funi, staccandosi praticamente dal soffitto, e Martino cade violentemente a terra, procurandosi ferite e contusioni piuttosto serie a gambe e spalla. Sembra finita, ma Martino ha una tempra d’acciaio. Lotta contro il tempo per rimettersi in sesto, tra sacrifici e dolori. Dopo tre mesi non è ancora al 100%, ma è pronto per la sfida: una sorta di miracolo, considerando le cognizioni mediche e fisioterapiche del tempo. Il momento cruciale per Martino arriva il 5 e 6 gennaio 1924 a Monza, nella gelida palestra della “Forti e Liberi”, dove si svolge la decisiva preolimpica sotto lo sguardo attento e partecipe del neo CT Mario Corrias. Martino, definito piccolo e tarchiato, si disimpegna bene, con un esercizio fenomenale agli anelli anche se compie qualche errore di troppo al sempre poco amato cavallo. Comunque è nella lista dei 16 azzurrabili dalla quale usciranno gli otto titolari. Dopo l’infortunio, si tratta per lui di un grandissimo successo, ma non vuole certo fermarsi. Ogni giorno che passa riacquista tono muscolare e vigore atletico, la convocazione stimola al massimo le sue energie mentali. Nei primi mesi del 1924 si susseguono i ritiri collegiali, ancora a Monza, pure nel Parco Reale dove viene allestita un’apposita palestra all’aperto, per simulare le condizioni di gara parigine. Martino va sempre meglio, acquista una forma spettacolare, agli anelli è un fenomeno: soffre negli altri attrezzi, ma poco importa. Il CT Corrias non ha dubbi ed inserisce Martino tra gli otto titolari per Parigi.

Le prove olimpiche di ginnastica si svolgono dal 17 al 20 luglio allo stadio di Colombes, centro nevralgico di quell’edizione ed immortalato anche nel celebre film “Momenti di Gloria”. Vi sono due classifiche, individuale ed a squadre, ma gli esercizi si svolgono una volta sola. 9 le nazioni al via, ciascuna con otto atleti. Complessivamente si sviluppano 11 prove: su 4 attrezzi (sbarra, parallele, anelli e cavallo con maniglie) i ginnasti devono eseguire esercizi obbligatori e liberi mentre in tre circostanze (volteggio, salto del cavallo in traverso e salita alla fune) solo liberi. Inoltre vengono assegnati punti per la cosiddetta impressione generale e pure per la marcia di ingresso ed uscita dallo stadio dell’intera compagine schierata. Rispetto alle edizioni precedenti cambia molto: i ginnasti difatti non si esibiscono più insieme e vengono istituite anche le classifiche separate per ogni attrezzo, con conseguente aumento delle medaglie disponibili. I nostri dimostrano una grandissima coesione di squadra ed un’ottima compattezza su alti livelli: non vi sono individualità formidabili (come Braglia o lo Zampori del 1920), ma il rendimento medio degli azzurri è strepitoso. Difatti vincono la medaglia d’oro a squadre, ottenuta dalla semplice somma aritmetica dei punteggi degli otto rappresentanti per nazione. L’Italia risulta prima, con un totale di 839,058 punti davanti a Francia (820,528) e Svizzera (816,660), per il quarto trionfo olimpico consecutivo. L’andamento delle prove non è lineare, al contrario è da batticuore. Si comincia con la sbarra e dominano gli svizzeri, con i nostri superati anche dai francesi. Grande colpo di scena alle parallele dove due cecoslovacchi (Indruch e Kos) cadono e s’infortunano. Gli italiani intanto salgono in seconda posizione. Gli anelli, terza prova, sono da sempre la nostra specialità e dunque passiamo al comando. Al cavallo con maniglie elvetici sugli scudi, ma nei volteggi gli azzurri si riprendono il primo posto e, con esso, l’oro che non può certo sfuggire con l’ultima prova in programma, la fune. Martino fa ancora di più: risulta difatti il migliore agli anelli, guadagnando dunque un’altra medaglia d’oro. Se nel computo globale dell’Individuale chiude 16°, a 5 punti dal bronzo e dunque senza recriminazioni, agli anelli è spettacolare e convince pienamente la Giuria, soprattutto negli esercizi obbligatori, grazie anche alla sua splendida posizione “a croce”, detta anche “Cristo”, nella quale resiste ben più del tempo minimo regolamentare[1]. Negli obbligatori chiude comunque secondo, con 10,720 punti, alle spalle dell’altro italiano Lucchetti che totalizza 10,830. Tutto si deve ancora decidere ed i liberi ribaltano la situazione: Lucchetti va malissimo mentre Martino si difende bene, ottenendo il quinto posto, con 10,833. Basta ed avanza: Martino è oro con 21,553 punti davanti ai cechi Prazak (21,483) e Vacha (21,430, il migliore nei liberi).

Una prestazione eccellente, che fa il paio con lo strepitoso successo di Bottecchia al “Tour de France” (che termina proprio quello stesso giorno a Parigi), non accompagnata però da risultati altrettanto validi negli altri esercizi, ed è un vero peccato: se nella salita alla fune non va malissimo (13° p.m.), Martino delude fortemente al cavallo, sia esso con maniglie (28°), saltato di traverso (44°) o al volteggio (57° p.m.). A poco valgono le buone prestazioni a sbarra (11°) e parallele (15°): alla fine, come già detto, si piazza 16° nel computo globale della classifica individuale, influenzata negativamente dalle sue prestazioni al cavallo, veramente deludenti. Martino comunque porta punti decisivi alla causa azzurra. Nell’Individuale l’oro è del grande sloveno Stukely, che in realtà gareggia per la Jugoslavia, il quale precede per soli 17 centesimi di punto il ceco Prazak mentre terzo è l’altro ceco Supcik, per un trionfo della scuola est-europea. La Cecoslovacchia si dimostra la squadra più forte, piazzandone quattro nei primi sei, ma due atleti si infortunano e dunque non portano punti: per questo i cechi non vengono classificati e probabilmente è un bel colpo di fortuna per gli italiani. In ogni caso Martino è l’unico che esce da Parigi con due ori al collo tra i nostri ginnasti, una vera e propria impresa, costruita con tenacia, tecnica, forza e resistenza, coronando il sogno di quel bambino che a 9 anni entrò per la prima volta in una palestra. Oltre tutto è il primo pugliese che coglie l’oro olimpico. Dopo i Giochi, come “premio” per la sua straordinaria prestazione, Martino viene assunto all’Acquedotto Pugliese e dunque dirada i suoi impegni agonistici. Nel 1926 chiude al decimo posto i tricolori di Prato del 3 ottobre, vinti da Lucchetti, dove comunque Martino è ancora il migliore agli anelli, a pari merito con Paris. Dopo un anno in ombra, tenta di ritrovare la ribalta nel 1928 in vista dei Giochi. In effetti viene selezionato tra i “probabili olimpici”, i 12 che effettuano il collegiale a Gardone, ma alla fine rimane escluso e non va ad Amsterdam. Non demorde. Il 7 e 8 settembre 1929 guadagna un buon quinto posto nei tricolori di Brescia, disputati nella palestra della “Forza e Costanza” e vinti dal nuovo asso Neri. Il 17 novembre a Bologna, nel “GP Brunetti” vinto ancora da Neri, chiude quinto. Finisce invece 4° il 15 dicembre a Modena nella “Corona Braglia”, dominata di nuovo dall’imbattibile Neri. Il 22 dicembre è a San Gallo dove, con la Nazionale, affronta la forte compagine elvetica: va bene soltanto ai “suoi” anelli e nel computo generale individuale, dove si impone Mack su Neri, Martino è il peggiore dei nostri, finendo fuori dalle prime dieci posizioni. Gli azzurri perdono il confronto 435,25 a 456,25. Poi sparisce di scena. Nell’ottobre del 1931 si presenta ai tricolori di Roma che valgono come preolimpica: non va benissimo, ma il CT Braglia gli dà comunque una chance, inserendolo nella lista degli “azzurrabili”. Si susseguono poi vari stage, ma Martino non fornisce le giuste garanzie ed alla fine non viene inserito nella lista per Los Angeles dove peraltro vanno solo sette ginnasti. Poi sparisce di scena. Sofferente di asma, muore a 65 anni. Bari gli ha dedicato una strada ed il palazzetto dello sport, appunto il Palamartino.


[1] Martino mantiene la posizione per oltre un minuto, suscitando applausi a scena aperta dall’intero stadio


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