MARCHINI Libero Turiddo
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Castelnuovo Magra (SP) 31.10.1913 / Trieste 01.11.2003
1936. Calcio. MEDAGLIA D’ORO
Proviene da una buona famiglia: il padre Umberto è un architetto e noto anarchico (da qui il simbolico nome del figlio). Tira i primi calci giovanissimo nella Sarzanese, poi a 18 anni passa alla Carrarese in Prima Divisione, la Serie C dell’epoca. Si segnala subito come una promettente mezzala offensiva, impiegabile anche all’ala destra, un po’ dribblomane e fantasista, con un bel tiro, capace di seminare il panico nelle difese. Unica pecca: il carattere estroverso, guascone, ribelle, legato anche alle idee di famiglia che certo non rinnega, anzi esalta, non piegandosi alla volontà del regime fascista (cercherà in tutti i modi, soprattutto sul campo di calcio, di non eseguire il saluto romano). Qualità tecniche dunque interessanti che nel 1933-34 gli permettono di arrivare in Serie A, alla Fiorentina con cui gioca 10 partite e realizza tre reti, ottenendo un buon sesto posto finale in Campionato. L’anno seguente è in B, al Genoa (o Genova 1893 come si chiama allora), ottenendo la promozione. Rimane però nella serie cadetta anche nel 1935-36, con la Lucchese ed è nuovamente artefice del primo posto, ispirando l’attacco ma talora segnando in prima persona. Le sue qualità non sfuggono al CT Pozzo che sta cercando di allestire la squadra olimpica non senza difficoltà. Il regolamento difatti esclude i professionisti e soprattutto coloro che abbiano già giocato in Nazionale; oltre tutto bisogna essere iscritti all’Università. Marchini lo è, per mera volontà del padre che intende farne un altro architetto, anche se poi abbandonerà gli studi. Dunque Pozzo convoca Marchini per la prima partita di preparazione, disputata a Venezia il 21 maggio 1936 contro l’Ungheria “dilettanti”. Sotto pioggia e vento, vinciamo 2-0 e la compagine, che gioca in maglia nera anzichè azzurra, sembra già a buon punto: Marchini segna il secondo gol, dopo una bella azione corale, e guadagna in pratica il viaggio a Berlino. Marchini difatti figura tra i convocati per il tradizionale ritiro collegiale preolimpico, tenuto a Merano dall’8 luglio. Pozzo, coadiuvato da Angelo Mattea, assembla col solito impeto gagliardo una squadra cui dà la sua impronta ferrea e determinata. Gli azzurri (o i neri visto che il colore della maglia è quello tanto caro ai fascisti...) segnano caterve di gol ad alcune squadre minori che fungono da sparring partner: 18-1 al Bolzano, 7-1 allo Spezia e 9-1 al “fascio italiano” di Berlino, raggiunta in treno con partenza da Verona il 27 luglio. I nostri sembrano pronti anche se molti, stampa compresa, appaiono piuttosto scettici alla vigilia. Il torneo olimpico di calcio si gioca interamente a Berlino, nei vari stadi della città.
Al via 16 nazioni, con eliminazione diretta. L’Italia esordisce alle 17.30 del 3 agosto contro gli Stati Uniti, al “Poststadion”, situato nel sobborgo di Moabit, nella parte nord-occidentale della capitale tedesca. Arbitro il tedesco Weingartner, spettatori 9mila. La partita sembra scontata, ma gli azzurri la affrontano con poca determinazione e gli americani non sono poi così sprovveduti come si pensava. Così il primo tempo termina 0-0. La sfuriata di Pozzo negli spogliatoi sembra avere effetto ed i nostri tornano in campo grintosi e dinamici, ma al 53°, a seguito di un brutto fallo proprio di Piccini si genera un parapiglia generale. L’arbitro, un po’ a caso, espelle Rava che in questo modo stabilisce un record poco esemplare: è difatti il primo azzurro mai espulso in una gara internazionale. Sembra un brutto colpo per gli azzurri, ma passano appena due minuti e segna Frossi. Gli americani tentano inutilmente di realizzare il pareggio, i nostri controllano ed alla fine, soffrendo un po’ troppo, vinciamo 1-0. Mai visto Pozzo infuriato coi suoi giocatori come nei giorni che seguono quel primo match. La strigliata però funziona. Il 7 agosto, al “Mommenstadion” di Grunewald (periferia occidentale di Berlino), affrontiamo il Giappone che a sorpresa ha eliminato i quotati svedesi (3-2). Di fronte ad 8mila spettatori e con arbitro proprio uno svedese, Olsson, stavolta non la prendiamo sottogamba e strapazziamo i nipponici 8-0. Biagi ne segna addirittura quattro (32°, 57°, 81° e 82°)[1], Frossi tre (14°, 75° e 80°) mentre chiude il conto Cappelli (89°) che poi si infortuna malamente causa l’inutile e proditorio fallo di un avversario. Entriamo dunque nei quarti a vele spiegate. Il 10 agosto tocca alla Norvegia ed il gioco si fa duro: gli scandinavi difatti hanno portato in pratica la loro Nazionale maggiore. Si gioca all’Olympiastadion di fronte a ben 95mila spettatori, arbitra l’ungherese Hertzka. Cominciamo bene ed al 15° Negro ci porta in vantaggio. Il primo tempo si chiude 1-0, ma i norvegesi sono tosti e pareggiano con Brustad al 58°. Il risultato non cambia, si va ai supplementari ed al 96° decide tutto Frossi che si sta rivelando il nostro goleador. La difesa regge l’assalto finale scandinavo e ci guadagnamo il passaggio del turno. Siamo già andati al di là di ogni aspettativa, ma Pozzo tiene sulla corda i nostri, cerca di gasarli psicologicamente, di non farli mollare. A sdrammatizzare l’attesa ci pensa niente meno che Jesse Owens, l’eroe afroamericano di quei Giochi con 4 medaglie d’oro (100, 200, 4x100 e lungo), il quale al Villaggio Olimpico è diventato amico degli azzurri con cui passa le serate a suonare la chitarra, cantare e ballare.
La vigilia passa così senza troppo stress ed il 15 agosto i nostri sono pronti a giocarsi l’oro con la temibile Austria. Si rigioca ovviamente all’Olympiastadion, arbitra il tedesco Bauwens di fronte a 85mila spettatori. Incontro equilibrato e teso, non si sblocca: il primo tempo finisce 0-0. Ci pensa, guarda caso, ancora Frossi che al 70° porta in vantaggio l’Italia. Qualcuno pensa che sia fatta, ma l’Austria è forte, si riversa in attacco e pareggia dieci minuti dopo con Kainberger. Si va, di nuovo, ai supplementari. Pozzo rincuora i nostri da par suo, li stimola per l’ultima volta all’impresa: il morale è alto, nessuno trema, la “squadra” non molla. Si torna in campo col piglio vincente e dopo due minuti segna, ovviamente, Frossi. Poi è tempo solo di resistere e la difesa non tradisce. Il risultato non cambia: Italia-Austria 2-1, medaglia d’oro! Il bronzo va alla Norvegia che supera 3-2 la Polonia nella “finalina”. Il sogno s’è realizzato: una squadra di universitari, molti dei quali non avranno carriere eccezionali, ha vinto i Giochi. Il momento è talmente storico che...non si ripeterà più. Marchini in questo contesto è stato grande protagonista, giocando tutte e quattro le partite, fornendo assist ai compagni e gestendo ottimamente l’attacco. Un gran bel torneo, il suo, che gli permette di continuare la carriera su buoni livelli. Nel 1936-37 rimane alla Lucchese, in Serie A, che ottiene un buon settimo posto finale, grazie anche ad un Marchini in grande spolvero (30 partite, 2 gol): ritrova difatti pure la Nazionale il 13 dicembre 1936 a Genova contro la Cecoslovacchia (2-0), per il suo ultimo match in azzurro. Passa quindi alla Lazio dove, dopo un ottimo inizio (16 partite, 5 reti), riaffiora il suo carattere ribelle, ha un forte diverbio con la società e viene messo fuori rosa. Nel 1939-40 Marchini si accasa al Torino, giocando il suo ultimo torneo nella massima serie (18 presenze, 1 gol). Torna quindi alla Lucchese, in Serie B, e termina poi la carriera, complice la guerra, alla Carrarese, in Serie C. Quindi apre un ristorante, ma i tempi sono difficili e si trasferisce a Torino dove gestisce a lungo un’edicola. Calciatore di buone qualità cui non ha giovato il carattere ed il background familiare, soprattutto in un’epoca dove chi non si piegava, veniva osteggiato. D’altra parte il suo motto parla chiaro: “sono Libero di nome e di fatto”, amava infatti ripetere.
[1] In tutta la storia della Nazionale sono sei i calciatori che hanno realizzato 4 gol in una sola partita: con Biagi troviamo Riva, Bettega, Pernigo, Sivori ed Orlando