MANGIAROTTI Giuseppe
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Broni (PV) 27.05.1883 / Bergamo 24.10.1970
1908. Scherma. 4° Spada a Squadre (con Bertinetti, Nowak, Olivier). Eliminato Primo Turno Spada Individuale
Rampollo di una famiglia benestante (il padre è un famoso avvocato e la madre nota soprano[1]), inizia presto l’attività sportiva, privilegiando tennis e canottaggio. Ama anche scalare montagne. Pratica sollevamento pesi ed irrobustisce molto il suo fisico, soprattutto le braccia. Diplomato ragioniere, si dedica al commercio su vasta scala, anche di auto, e viaggia in mezza Europa, soggiornando spesso a Losanna. Incontra Roderico Rizzotti, maestro schermidore che scrive pure sulla “Gazzetta”. Mangiarotti ha già praticato la mensur[2], ma in senso schermistico classico è letteralmente alle prime armi. Rizzotti, dopo averlo affrontato in un incontro-scommessa, lo invita ad insistere, vedendo in lui buone prospettive. E Mangiarotti, come folgorato sulla via di Damasco, insiste, scegliendo come guida il noto maestro siciliano Lancia di Brolo: l’apprendimento va a gonfie vele ed in pochi mesi l’allievo si dimostra in grado di competere con chiunque. Il primo risultato significativo di Mangiarotti è un 7° posto nella poule di spada del prestigioso torneo di Trieste che gli dà lo slancio per proseguire la sua carriera al punto che nel 1906 conquista addirittura il titolo italiano di spada. L’anno seguente continua a gareggiare su buoni livelli e coglie il 6° posto nel torneo di Pavia, sempre nella spada che è la sua arma preferita. Viene selezionato in Nazionale per il prestigioso torneo di spada a Barcellona dove i nostri affrontano Francia, Spagna e Belgio. Non emerge, ma non delude nemmeno ed i nostri chiudono al secondo posto dietro i sempre forti transalpini, favoriti pure dalle giurie. Delude invece nel Campionato Lombardo di sciabola dove chiude solo ottavo, ma bissa il titolo italiano di spada. Quest’ultima è chiaramente la sua arma preferita: ad inizio stagione 1908 vince difatti il torneo del Club d’Armi Milanese, successo che lo conferma tra i più forti schermidori dilettanti del periodo.
È primo anche nel torneo di fioretto che si svolge a Roma presso la caserma di S. Caterina, preludio alle prove olimpiche per le quali viene selezionato da Masaniello Parise, incaricato di scegliere gli uomini per Londra. Prima della trasferta inglese, Mangiarotti coglie un bel secondo posto nel torneo di Praga con la spada, arma con cui è chiamato a gareggiare nei Giochi sia a livello individuale che di squadra. Nella capitale britannica il 18 luglio Mangiarotti giunge 4°, e primo degli esclusi dopo spareggio, nel girone eliminatorio, venendo subito estromesso dal torneo individuale. Va meglio a squadre: il 21 luglio gli italiani, nel quarto di finale, sconfiggono la Boemia 12-7, con Mangiarotti che vince due incontri e ne perde altrettanti, ma poi perdono la semifinale col Belgio, in un match incertissimo (8-9) e nel quale alla fine si rivela decisivo proprio il pareggio che Mangiarotti ottiene col belga Rom. L’Italia chiude al 4° posto poiché il regolamento è alquanto strano: l’argento (che va alla Gran Bretagna) è disputato tra le squadre che, nei vari turni, hanno perso contro la compagine medaglia d’oro (in questo caso la Francia). E l’Italia non è tra queste. Dopo Londra, Mangiarotti continua a gareggiare e vincere: in quel 1908 conquista il torneo di spada a Livorno e poi addirittura i titoli italiani sia nell’amata spada che nel fioretto. Trionfi dovuti grazie ad un nuovo modo di tirare. Dotato di un fisco possente, che ha saputo “costruire” anno dopo anno con appositi esercizi, inserisce negli assalti velocità e fisicità, sperimentando con successo pure nuovi metodi di allenamento, di stampo “moderno”, interdisciplinari e votati al culto dell’irrobustimento ma con elasticità e senza appesantimento.
Sfrutta queste caratteristiche, aggiudicandosi nel 1909, con la spada, il torneo di Vigevano mentre nel prestigioso torneo di Nizza vince alla grande la poule, senza ricevere una stoccata, ma poi cede in semifinale ai forti francesi, favoriti anche dalla giuria. Nel fioretto a Desenzano chiude al sesto posto e con la Nazionale partecipa al prestigioso torneo di Uriage-les-bains dove i nostri soccombono per pochi punti solo alla Francia cui le giurie di nuovo usano qualche riguardo di troppo. Stesso risultato nel 1910 al sempre prestigioso torneo di Montecarlo dove i nostri, secondi, precedono Svizzera e Paesi Bassi, con Mangiarotti in bella evidenza (Olivier e Nowak gli altri due azzurri). La spada è la “sua” arma: nel 1910 domina il torneo del Club d’Armi Milanese e quello di Verona. Intanto s’è trasferito a Torino, presso il locale ed aristocratico “Club di Scherma” dove segue le lezioni di Luigi Colombetti, suo cugino ma soprattutto un altro grandissimo maestro. Migliora ulteriormente la sua tecnica e si comporta bene anche nel prestigioso torneo internazionale di Ginevra dove chiude 3° nell’individuale e vince la prova a squadre, a pari merito con i padroni di casa, assieme a Sarzano e Poggio. Alla fine del 1911 passa professionista e si dedica all’insegnamento, aprendo la Sala Mangiarotti a Milano, inizialmente situata in Via Chiossetto, che in breve diventerà luogo di ritrovo di tutta l’alta società meneghina nonché fucina di campioni tra i quali sono presenti pure Rosetta Pirola, sua moglie, e soprattutto i figli Dario ed Edoardo, quest’ultimo vero e proprio Campionissimo. Partecipa ancora a qualche torneo per maestri (con la spada nel 1912 è 6° a Bucarest e nel 1913 vince a Vercelli), poi va a Budapest nella famosa scuola magiara guidata da Santelli. La guerra interrompe tutto, ma poi Mangiarotti riparte alla grande, vincendo a ripetizione il titolo italiano per maestri e portando avanti i dettami schermistici codificati da Renaud[3], rivoluzionando la tecnica, fino ad allora piuttosto statica, attraverso movimenti rapidi e velocità di esecuzione, togliendo l’iniziativa all’avversario, supportati da un fisico sempre ben allenato, agile e scattante. Elementi basilari che Mangiarotti porterà anche in Nazionale: dal 1924 al 1960 difatti sarà CT degli azzurri di Spada, conquistando numerosi allori olimpici. I figli Dario ed Edoardo, recordman di medaglie azzurre ai Giochi, sono tra gli spadisti italiani più importanti di tutti i tempi.
[1] Si tratta di Adelina Stehle, austriaca, nata a Graz il 30.06.1860. Figlia di un direttore d’orchestra, ha studiato e cantato in Italia, interpretando ruoli di primo piano in opere di Verdi (Nannetta nel “Falstaff”), Leoncavallo (Nedda nei “Pagliacci”), Mascagni e Puccini (“Boheme”). Ha avuto successo in tutto il mondo, da Parigi al Sud America, da Madrid a San Pietroburgo
[2] Sorta di duello rituale nato nelle comunità studentesche germaniche medievali, codificato nel XVII secolo, in cui a turno la spada viene calata dall’alto contro l’avversario che sta davanti, ad una distanza (“misura”, da qui il nome) ben definita e non modificabile. Pur indossando protezioni in testa, talora i contendenti subiscono ferite al volto: le relative cicatrici sono motivo di vanto
[3] Jean-Joseph Renaud, autore del trattato L’Escrime