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MAGNOZZI Mario

Livorno 20.03.1902 / Livorno 25.06.1971

1924. Calcio. Eliminato Quarti di Finale

1928. Calcio. MEDAGLIA DI BRONZO

Livornese purosangue, nasce in una famiglia modesta. Fin da bambino si segnala per vivacità e dinamismo, sempre in movimento, saltella di qui e di là al punto che viene soprannominato “crognolo” ovvero girino. Si appassiona al calcio, lo sente nel sangue, e gioca infinite partite con i coetanei per le strade. Nei bui anni della Prima Guerra Mondiale gioca in una miriade di squadrette, alcune pure fondate da lui, tra le quali la “Juventus Boys” dove è il migliore, pur essendo non troppo alto. La sua forza è, e sarà sempre, il movimento: come un motorino instancabile, sembra dappertutto anche se in realtà è un attaccante dai piedi buoni, un “numero 10” capace di concludere con successo a rete. Il Livorno non se lo lascia scappare e gli inizi sono fantasmagorici. La sua prima partita in maglia amaranto, da lui amatissima tutta la vita, coincide con un sonoro successo per 4-1 contro la Libertas Firenze nella “Coppa Olivo”: Magnozzi ha appena compiuto i 17 anni, ma l’inesperienza per lui non è un fattore negativo. Nel Campionato 1919-20 difatti Magnozzi è spettacolare e trascina il Livorno fino alla finalissima con l’Inter. In 18 partite Magnozzi segna la bellezza di 29 gol e ne realizza sette tutti in una volta, nel 9-1 inflitto alla Gerbi Pisa. Conferma le sue qualità: vivace, un peperino, ma con un buon destro ed un gran sinistro capace di sorprendere i portieri anche da 20/25 metri. Magnozzi dà spettacolo anche nelle partite conclusive: il 13 giugno nella finale di Lega Sud il Livorno a Bologna supera 3-2 la Fortitudo Roma ed i tre gol sono proprio di Magnozzi. Nella finalissima, giocata sette giorni dopo sullo stesso campo, il risultato è lo stesso ma a favore dell’Inter che però soffre non poco. Approfittando dell’infortunio al livornese Innocenti, i nerazzurri si portano sul 3-0 e credono di avere partita vinta. Non è così: Magnozzi suona la carica, segna di testa (lui che non è un marcantonio!) su azione d’angolo e poi raddoppia[1] nei minuti finali. Sconfitta che viene salutata da tutti come una mezza vittoria. Magnozzi diventa improvvisamente un personaggio di spicco, ma il fatto di essere livornese gli preclude molte possibilità: in quel periodo il calcio è dominato dagli squadroni del Nord e, per quanto in ascesa, Magnozzi viene poco considerato a livello generale. Inoltre è ancora giovane: insomma, rimane fuori dal giro che conta. Non può che parlare sul campo e si ripete nel 1920-21: 19 presenze e 27 reti. Per tre volte realizza una quaterna[2] ma la vena realizzativa di Magnozzi stavolta non basta: il 3 luglio a Bologna la finale della Lega Sud, in un derby da “OK Corral”, è appannaggio del Pisa che supera gli amaranto per 1-0. Nel 1921-22 una novità di non poco conto: la scissione del calcio italiano in due leghe. Magnozzi rimane fedele alla FIGC e si tessera con la Pro Livorno, ma è chiamato in Marina ad espletare il servizio militare e dunque non ha modo di giocare molto: realizza solo 3 presenze con una rete.

Si riparte nel 1922-23, Magnozzi rientra nel Livorno[3], trasferito intanto nella Lega Nord ed è protagonista di un altro buon campionato, considerando che il livello tecnico del girone settentrionale è ben più elevato di quello meridionale: gioca 22 partite e segna 14 gol, spesso decisivi come nelle gare contro Novara e Savona, vinte entrambe 2-1 con una sua doppietta. Stessa situazione l’anno seguente: 21 partite e 14 reti. Il Livorno, imbattibile sul campo di Villa Chayes ma debole fuori casa, chiude al quarto posto il suo girone, con una perla: il 3-1 inflitto al Genoa (che poi vincerà il titolo), con doppietta di un grande Magnozzi che, tra andata e ritorno, ne rifila cinque alla Virtus Bologna. Segna due gol anche nell’ultima partita, il 13 aprile 1924, contro l’Alessandria che perde 2-1 e per la quale realizza Baloncieri, un altro grandissimo “numero 10”. Non è escluso che proprio questa doppietta incida in maniera non trascurabile su Vittorio Pozzo che dal febbraio 1924 è tornato alla guida della Nazionale, in veste di Commissario Unico. Le partite di preparazione ai Giochi, uno stentato 0-0 con la Spagna a Milano e una sconfitta memorabile a Budapest contro l’Ungheria (1-7!), hanno alimentato molti dubbi. Pozzo ha le idee ancora confuse ed organizza due match non ufficiali con squadre di club, terminati entrambi 1-1, contro i cechi del Makkabi di Brenn (composta esclusivamente da giocatori ebrei) ed il Wiener Amateur di Vienna partite in cui prova diversi giocatori “nuovi”, tra cui il potentissimo attaccante Levratto e pure Magnozzi. I due, giovani emergenti ma che non hanno ancora vestito l’azzurro, sono i ripescati dell’ultimo momento: i loro nomi sono difatti nella lista dei 22 selezionati, diramata il 3 maggio. Al torneo olimpico di calcio partecipano 22 nazioni, col criterio dell’eliminazione diretta e ripetizione della partita in caso di parità dopo i tempi supplementari. Pochi lo sanno, ma questo torneo ha valenza, per la FIFA, di Campionato del Mondo. Sotto la supervisione di Pozzo, gli italiani fanno le cose per bene al punto che il CU si avvale della collaborazione di due allenatori di primo piano come gli inglesi Garbutt e Burgess, rispettivamente mister di Genoa e Padova. Ma non tutto fila per il verso giusto: l’alloggio scelto per i nostri, una lussuosa villa nei pressi della Porte Maillot, ha i letti...troppo piccoli. Si trova dunque in fretta e furia un albergo, l’Hotel St. Georges, che può accogliere l’intera comitiva ma è situato nella zona di Pigalle dove certamente non mancano le “distrazioni”. Memore dei misfatti di Stoccolma, Pozzo esercita sui calciatori una ferra sorveglianza cui nessuno riesce a sottrarsi. I nostri sembrano in forma e c’è moderata fiducia intorno a loro, ma il sorteggio non è benevolo visto che ci presenta al primo turno la Spagna, guidata dal celebre Zamora in porta. Il 25 maggio alle 15.30, allo stadio di Colombes, di fronte a 19mila spettatori, arbitro il francese Slawick, affrontiamo dunque gli iberici, con Magnozzi che esordisce in Nazionale proprio in questa circostanza. Non si può dire che a Pozzo, da buon vecchio cuore alpino, non manchi il coraggio perchè accanto a Magnozzi esordisce pure Levratto.

Come previsto, non è una partita facile, risulta maschia, come si diceva in quel tempo, ricca di contrasti, falli, mischie. Incontro equilibrato che solo un episodio può decidere. Non lo fa l’espulsione dello spagnolo Larraza, autore di un fallaccio. Gli iberici si rintanano in difesa. L’episodio arriva all’84’ e ci è favorevole. In piena area di rigore, nel tentativo di fermare l’avanzata proprio di Magnozzi che sta per tirare a colpo sicuro, Vallana colpisce il pallone con violenza ma in modo scomposto e la sfera termina in rete. Autogol! Italia 1, Spagna 0. I nostri resistono al disperato assalto iberico e passano il turno, seppur con fatica e fortuna. Il 29 giugno tocca agli ottavi di finale e stavolta l’avversario appare più abbordabile, il Lussemburgo. Si gioca allo stadio Pershing, teatro dei “Giochi Interalleati” del 1919. Solo 4mila gli spettatori, per un incontro poco interessante. Si parte alle 14.15. Solo due cambi nel nostro undici: entrano De Vecchi e Baldi, escono Caligaris e Burlando, entrambi acciaccati. Dunque Magnozzi, che ha convinto tutti, di nuovo in campo. La partita si mette subito bene: il primo gol è di Baloncieri, 20’ dopo il fischio iniziale del francese Richard. Al 38’ raddoppia Della Valle ed i nostri controllano agevolmente la partita sino alla fine. Siamo nei quarti e qualcuno fa un pensierino alla medaglia. Il 2 giugno si gioca contro la Svizzera allo stadio Bergeyre di fronte ad 8mila spettatori, arbitra l’olandese Mutters. In campo gli stessi del match con la Spagna e dunque terza presenza consecutiva per Magnozzi. Non sembra una partita impossibile, ma i nostri hanno perso intensità ed il primo tempo scorre via scialbo, con pochi sussulti, fermo sullo 0-0. Il rientro dagli spogliatoi è scoppiettante: al 47’ Sturzenegger sorprende gli azzurri e segna. Dopo cinque minuti pareggia Della Valle. Poi una disattenzione difensiva di Caligaris regala la palla agli svizzeri, un cross ed Abegglen, appostato in piena aria, di testa infila il 2-1. Proteste dei nostri per un fuorigioco che però non viene riscontrato dall’arbitro. È la rete decisiva: gli svizzeri si difendono con ordine, gli azzurri non recuperano e vengono eliminati. Gli svizzeri comunque saranno protagonisti di un grande torneo, ottenendo l’argento dopo aver perso 3-0 la finale contro i formidabili uruguaiani ai quali spetta il primo titolo di “Campioni del Mondo” (con tanto di stella sulla loro maglia, approvata dalla FIFA). Il bronzo va alla Svezia che, dopo il primo match chiuso 1-1, supera 3-1 i Paesi Bassi nell’apposito replay. Per gli azzurri una partecipazione olimpica non eccezionale ma che permette al CU Pozzo e ad alcuni giocatori (tra questi Magnozzi) di accumulare una fondamentale esperienza che poi, col tempo, si riverbererà sull’intero movimento calcistico italiano. Sulla spinta dei Giochi difatti nel 1924-25 Magnozzi si aggiudica niente meno che la classifica cannonieri del Campionato, con 19 gol anche se negli anni seguenti il Livorno non è certo squadra di prima fascia e nel girone eliminatorio non va al di là di un 4° posto ottenuto nel 1925-26[4]. Magnozzi però segna a ripetizione, andando sempre in doppia cifra[5], confermandosi calciatore di talento e diventando famoso. In una vignetta del mitico “Guerin Sportivo” il grande De Vecchi in persona, “il figlio di Dio”, lo indica come “il nipote di Dio”, sancendo in pratica la successione a “fenomeno” del calcio italiano.

Difatti si segnala anche in Nazionale: il 16 novembre 1924 segna una bella doppietta nel 2-2 contro la Svezia a Milano. Segna un gol anche nel 1926 contro Cecoslovacchia (1-1), Irlanda (3-0) e Svizzera (1-1), divenendo perno fondamentale del nostro attacco. Evidente che il CT Rangone lo inserisca nella lista dei 22 per i Giochi di Amsterdam anche perchè il 1 gennaio 1928 Magnozzi realizza un’altra rete, nel 3-2 con cui gli azzurri domano la Svizzera a Genova. Nelle ultime partite di preparazione comunque Magnozzi non gioca e sembra aver perso il posto di titolare. Andiamo in Olanda con speranze di ben figurare. Al torneo olimpico di calcio, con la formula ad eliminazione diretta, partecipano 17 nazioni e, data la complessità, è la prima competizione ad iniziare, addirittura il 27 maggio. Gli azzurri, con Magnozzi in panchina, esordiscono il 29 maggio negli ottavi, contro la Francia e non è una partita facile. Si gioca alle 14 all’Olympisch Stadion di fronte a 2500 spettatori, arbitra il belga Christophe. L’inizio è sconvolgente: dopo 20 minuti siamo sotto 2-0 causa una doppietta dello scatenato Brouzes. La reazione dei nostri è veemente: al 21’ accorcia Rossetti ed al 39’ pareggia Levratto. All’ultimo minuto del primo tempo rovesciamo il risultato con Banchero. Si va al riposo sul 3-2. Dopo un quarto d’ora della ripresa Baloncieri mette il suo sigillo, ma c’è ancora da soffrire perchè un minuto dopo accorcia Dauphin. Manca mezz’ora alla fine ma i nostri controllano e vincono 4-3. Il 1 giugno altro incontro difficile e complicato: nei quarti affrontiamo la Spagna. Si rigioca all’Olympisch Stadion, stavolta con inizio alle 19, di fronte a 3388 spettatori paganti. Arbitra l’uruguaiano Lombardi (di chiare origini italiane). Magnozzi ancora assente. La Spagna è avversario ostico: al 21’ passa in vantaggio con Zaldua. Si va al riposo sullo 0-1. Nella ripresa ci pensa ancora Baloncieri che pareggia al 63’. Il risultato non cambia, neanche dopo i supplementari. In quel tempo non sono previsti i rigori e la partita si ripete tre giorni dopo, il 4 giugno, nella stessa sede, con inizio alle 14, davanti a 4770 spettatori. Arbitro l’olandese Boekman. Stavolta Magnozzi è in campo e rimarrà titolare sino alla fine del torneo. Non c’è partita, la Spagna è annientata: vinciamo 7-1. Il primo tempo termina 4-0 per le reti di Magnozzi al 10’, Schiavio al 15’, Baloncieri al 18’ e Bernardini al 40’. La Spagna accorcia alla prima azione della ripresa con Yemo, ma nel finale i nostri dilagano: al 73’ segna Rivolta e poi Levratto chiude con una doppietta (82’ e 84’). Siamo in semifinale e la medaglia pare vicina. Il 7 giugno, all’Olympisch Stadion, con inizio alle 19, ci tocca però il fortissimo Uruguay, campione in carica. 15.290 spettatori, arbitra l’olandese Eijmers.

Baloncieri (ancora lui) ci fa sognare e segna dopo 9’. Il sogno dura appena nove minuti perchè Cea pareggia. Gli uruguayani sono forti e tessono con abilità la loro trama offensiva: al 28’ Campolo ed al 31’ Scarone sembrano mettere la parola fine alla disfida. I nostri si rinfrancano nel riposo e ci provano: dopo un quarto d’ora della ripresa Levratto ci porta sul 2-3. L’impresa pare possibile, ma il risultato non cambia. L’Uruguay vince 3-2, ma non abbiamo demeritato. Siamo così relegati alla “finalina” per il bronzo dove troviamo il sorprendente Egitto. Sulla carta l’avversario sembra malleabile (ne ha presi sei dall’Argentina nell’altra semifinale). Si gioca il 9 giugno all’Olympisch Stadion, con inizio alle 16, arbitro il belga Langenus, spettatori paganti 6378. In effetti vinciamo facile anche se gli africani non sono così sprovveduti ed all’inizio ci fanno soffrire. Dopo sei minuti segna Schiavio, ma dopo altri sei minuti pareggia Riadh. Al 14’ Baloncieri riporta avanti gli azzurri ma ancora Riadh pareggia due minuti dopo. Una doppietta di Banchero, al 19’ ed al 39’, indirizza la partita nel verso giusto. Schiavio, al 42’, e di nuovo Banchero, al 44’, chiudono i conti. La ripresa ha poca storia: Baloncieri (al 52’) e Schiavio (al 58’) arrotondano il punteggio, con El-Ezam (al 60’) a salvare la bandiera. Una tripletta dello scatenato Magnozzi (72’, 80’ e 88’) fissa definitivamente il risultato in un clamoroso 11-3 che ci regala un bel bronzo, a dimostrazione della crescita internazionale sviluppata dal nostro movimento calcistico. L’oro va di nuovo all’Uruguay che così si laurea nuovamente “Campione del Mondo”: difatti, come quattro anni prima, anche questo torneo olimpico ha valenza di Mondiale, secondo quanto stabilito dalla FIFA. Ma che fatica per la “celeste”! La finale tra Uruguay e Argentina del 10 giugno termina difatti 1-1 ed è necessaria la ripetizione, tre giorni più tardi, che va agli uruguagi per 2-1. Quegli stessi uruguagi che due anni dopo, superando di nuovo i tradizionali rivali argentini, guadagneranno anche il primo “vero” Campionato del Mondo. Intanto l’Italia inizia ad emergere, rinfrancata dal bronzo olimpico, il primo alloro intercontinentale del nostro calcio. Per Magnozzi un bel torneo: partito in sordina, escluso dai due match iniziali, ha trovavo poi verve e spunti da fuoriclasse. Tre partite, 4 gol ed una medaglia in più al collo. Dopo i Giochi effettua una tournée col Brescia in USA, segnando a più riprese.

Accade lo stesso nel 1928-29 e 1929-30 quando rispettivamente Magnozzi gioca 25 e 34 partite nel Livorno, realizzando 18 e 15 gol. Ha trovato pure il modo di realizzare una piccola-grande impresa: nell’estate del 1929 va in tournée col Bologna in Sud America e realizza la rete della vittoria (1-0) contro i grandi campioni olimpici dell’Uruguay, in un match memorabile nella storia felsinea. Magnozzi meriterebbe certo una squadra da scudetto: sempre richiesto dagli squadroni del Nord, ha sempre rifiutato ogni offerta. Si decide al grande passo nel 1930-31 quando arriva al Milan dove in tre stagioni consegue 97 presenze con 31 reti anche se neppure i rossoneri, in tornei dominati dalla formidabile Juventus, riescono ad emergere. Continua altresì a vestire l’azzurro, vincendo la “Coppa Internazionale” e segnando altri 3 gol[6]. Chiude la sua esperienza azzurra l’8 maggio 1932, nell’1-1 che gli azzurri colgono a Budapest contro l’Ungheria. Alla fine totalizza con la Nazionale 29 presenze e 13 gol, non male. Nel 1933-24 torna quindi al Livorno per chiudere la carriera con la retrocessione in serie B dove gioca tre partite (con una rete) nel 1935-36, l’ultima sua annata da calciatore. In maglia amaranto ha giocato 277 partite nella massima divisione, con la bella cifra di 184 gol. Intraprende subito l’attività di allenatore, proprio nell’amatissimo Livorno che riporta immediatamente in Serie A. Quindi torna nel Milan, ma la guerra interrompe tutto. Non ha grande fortuna nella seconda metà degli anni ’40 e finisce in panchine di secondo piano: Viareggio, di nuovo Livorno, Lecce, Catania, perfino una puntata in Grecia nell’Aek. Certamente è stato più forte da calciatore, indubbiamente uno dei migliori azzurri tra le due guerre mondiali. Fedelissimo del Livorno ed amatissimo dai tifosi, ha voluto la tomba rivolta verso lo stadio dell’Ardenza, “in modo da essere sempre vicino ai ragazzi”. La città, grata, gli ha dedicato una via ed ancora oggi lo considera probabilmente il calciatore più rappresentativo nella storia della società labronica.


[1] L’azione è concitata. Mischia in area e carambole. Magnozzi tira, il pallone batte addosso al portiere e si infila in rete. Con i criteri di oggi probabilmente il gol sarebbe considerato un’autorete del portiere (e difatti in alcune fonti viene citata in questo modo)

[2] Nelle seguenti partite: 11-0 contro la Gerbi Pisa, 7-2 contro il Viareggio e 4-0 contro la Lazio

[3] Nel frattempo fusosi con la Pro Livorno

[4] Nel 1924-25 il Livorno chiude al 5° posto il girone eliminatorio, nel 1926-27 è 5° e nel 1927-28 termina 9°

[5] Nel 1925-26 segna 11 gol come l’anno seguente mentre nel 1927-28 arriva a 15 reti

[6] Magnozzi realizza una rete nel 1930 contro Svizzera (vittoria per 4-2 a Roma) ed Ungheria (strepitoso 5-0 a Budapest), nel 1932 contro la Francia (successo per 2-1 a Colombes)


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