LEQUIO DI ASSABA Tommaso
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Cuneo 21.10.1893 / Roma 17.12.1965
1920. Equitazione. MEDAGLIA D’ORO Concorso ad Ostacoli
1924. Equitazione. MEDAGLIA D’ARGENTO Concorso ad Ostacoli, MEDAGLIA DI BRONZO Concorso Completo a Squadre, Ritirato Concorso Completo
1928. Equitazione. Ritirato Concorso Completo, 4° Gara a Squadre Concorso ad Ostacoli, 24° Gara Individuale Concorso ad Ostacoli
Figlio del Generale Clemente[1], vive la fanciullezza a stretto contatto con i migliori ufficiali della Scuola di Cavalleria di Pinerolo dove il padre è di stanza. Inevitabilmente assorbe la passione, quasi maniacale, per i cavalli e l’ammirazione per i cavalieri più forti dai quali rimane pressochè ammaliato. In particolare il suo maestro è Gaspare Bolla, il migliore dell’epoca, che lo segue come un figlio, imponendogli un duro allenamento fisico prima di permettergli di montare a cavallo[2]. Lequio è in sella per la prima volta solo nel 1907, a 13 anni, sotto lo sguardo attento di Bolla che ne diventa il mentore. La sua maturazione è lenta ma costante e lo porta ad assorbire pienamente i dettami del cosiddetto “sistema naturale”, una sorta di rivoluzione copernicana per l’equitazione dovuta alle idee, rivoluzionarie quanto efficaci, del livornese Caprilli, applicate nella Scuola di Pinerolo, proprio laddove si trova Lequio, sin dal 1902. Lequio, fin da ragazzo, impara come l’aspetto principale dell’equitazione debba essere sviluppare la massima armonia nel binomio cavaliere-cavallo, lasciando libero l’animale di saltare senza forzature innaturali, nel più perfetto equilibrio possibile. Lequio è il classico scolaro che supera il maestro, ma la Prima Guerra Mondiale interrompe la sua ascesa: inquadrato nel 6° reparto Arditi, si guadagna una Medaglia di Bronzo al Valor Militare per essere tra i primi ad entrare a Susegana durante la vittoriosa avanzata finale. Terminata finalmente la guerra, Lequio riprende a gareggiare nei concorsi, e vince. Il 27 giugno 1920 a Genova (Marassi) è primo nella gara di estensione, a pari merito con Martellini, saltando 7.30 m. La sua qualità è indiscutibile. Cavaliere definito “insuperabile” per senso dell’assieme col cavallo, è armonico ed elastico, dotato di grande senso dell’equilibrio, capace di guidare con successo anche animali poco docili, utilizzando sempre movimenti fini quanto impercettibili e decisivi, nello spirito più puro ed efficace del “sistema”. A detta dei tecnici, pochi come Lequio hanno saputo assorbire ed interpretare, sviluppandoli ai massimi livelli, i dettami di Caprilli. Un cavaliere da prendere come riferimento, completo e quasi mai a disagio, capace di spaziare dai raid alle prove di elevazione anche se la sua specialità rimane il concorso ad ostacoli. La capacità di improvvisare è un suo punto forte come il coraggio. Evidente che un simile campione non potesse rimanere fuori dalla lista per Anversa, stilata dall’Ispettorato Ippico. Ai Giochi, Lequio si presenta il 12 settembre, al concorso individuale di salto ad ostacoli che si svolge all’Olympisch Stadion ed è l’ultima gara in programma di quell’edizione. Partecipano 25 atleti di 6 nazioni: essendo previsti punti per ogni penalità commessa, vince chi ottiene il punteggio minore. Lequio, in sella a Trebecco, un baio irlandese, dà spettacolo: pur non essendo impeccabile e commettendo due errori, coi suoi relativi due punti totali, è il migliore di tutti e conquista uno splendido oro. Grandissima prova anche di Valerio che monta Cento, sbaglia tre volte e chiude immediatamente alle sue spalle.
Un trionfo assoluto per i cavalieri azzurri mentre il bronzo va invece allo svedese Lewenhaupt con 4 punti. Lequio dimostra dunque appieno tutte le sue qualità che ne fanno uno tra i più grandi cavalieri di tutti i tempi: maestro di stile, grande coraggio, perfetto nell’immediata comprensione delle caratteristiche e, in un certo senso, del “carattere” del cavallo col quale spesso costituisce un binomio empatico di rara efficacia. Nella gara olimpica gli altri italiani finiscono lontani: Santorre di Santarosa è 7° a pari merito; Spighi 10° a pari merito; l’atteso Ubertalli, capo-squadra della spedizione, delude e si piazza solo 17° mentre Benini, ultimo dei nostri, è 19°. Nel complesso comunque un risultato che mostra appieno la forza del nostro intero movimento equestre, ormai riconosciuto a livello internazionale e di cui Lequio rappresenta il vertice principale. Un vertice che ovviamente continua a primeggiare. Il 22 aprile 1921 si aggiudica il “GP des Haras” a Nizza con Dolly ed il 15 ottobre a Pallanza vince in sella ad Io. Nella “Coppa delle Nazioni” a Londra è secondo. L’anno seguente si ripete: a Nizza vince il “GP Bandiere” su Trasimeno, l’8 ottobre a Stresa si impone nella gara di elevazione, a pari merito con Cremoni, montando Fortunello e saltando due metri. Nel 1923 Lequio non si smentisce: vince la “Coppa delle Nazioni” a Londra e Nizza con Trebecco col quale nella cittadina francese si impone pure nel “GP di Monaco”, a Roma con Ombrello. Non ci sono dubbi: il francese Bizard, ufficiale di cavalleria tra i più prestigiosi, lo definisce “il più grande cavaliere del mondo”. E se lo dice un francese di un italiano, gli si può credere. Anche se comunque pure Lequio non è imbattibile: il 30 settembre a Stresa è secondo su Stefania, battuto da Piazzoli (su Cento). Tuttavia, è chiaro, quando arriva il momento dei Giochi di Parigi, il CT della Nazionale, il col. Starita, non può tralasciare Lequio che anzi è il punto di forza della nostra spedizione, l’uomo-faro. A Parigi Lequio esordisce nel cosiddetto “Campionato Equestre” o “evento dei tre giorni”: oggi si direbbe “concorso completo”. In effetti si tratta di una competizione molto articolata che si sviluppa su tre giorni e tre gare: dressage (allo stadio di Colombes), cross-country (con steeple-chase e galoppo tra Bois de Boulogne e Villacoublay) e salto (di nuovo a Colombes). Partecipano 44 cavalieri di 13 nazioni. Lequio, su Torena, scende in campo il 21 e 22 luglio nel dressage ma non va troppo bene, anzi finisce lontanissimo, soltanto 37°. Niente di seriamente compromesso, comunque, perchè il cross-country fornisce in pratica il 70% del punteggio complessivo. Questa prova, disputata il 24 luglio, con partenza alle 5 di mattina, si rivela alquanto caotica, con errori di cronometraggio, cadute, incidenti vari. La competizione inoltre è veramente complessa e difficile, prevedendo marce in campagna, un vero e proprio steeple-chase all’Ippodromo di Auteuil, cross e galoppo. Solo due concorrenti su 45 terminano nel tempo-limite stabilito. Lequio addirittura cade, vede il suo cavallo rifiutarsi per tre volte di saltare e per questo viene escluso di gara, perdendo ogni possibilità. I nostri però sono grandi nell’ultima prova, il salto: Alvisi è primo, Lombardi quinto e Beraudo settimo. Questo permette alla squadra di risalire posizioni nell’apposita classifica per nazioni dove l’Italia, che totalizza 4512,5 punti, guadagna un bel bronzo dietro all’Olanda (5297,5) ed alla Svezia (4743,5).
Una bella conferma per il nostro movimento equestre, con Lequio che, poichè ha comunque partecipato alla competizione, ottiene un’altra medaglia sia pure, per la verità, senza faticare molto. Lequio ci riprova il 27 luglio nel concorso ad ostacoli che si svolge nello stadio di Colombes e stavolta compie un altro capolavoro. Partecipano 43 cavalieri di 11 nazioni. Il percorso di gara si rivela molto ostico e difficile al punto che nessuno ottiene il “netto”. Il migliore è lo svizzero Gemuseus, in sella a Lucette, che ottiene 6 punti di penalità, ma Lequio, sul fido Trebecco, è subito dietro, accusando 8,75 punti e guadagnando uno splendido argento. Bronzo al polacco Krolikiewicz. Purtroppo gli altri italiani non si comportano altrettanto bene: Valle è 15°, Alvisi solo 26° e Beraudo addirittura ritirato. Ciò compromette per i nostri la classifica a squadre: chiudono solo quinti, con 57,5 punti, sopravanzati nell’ordine da Svezia, Svizzera, Portogallo (53 punti) e Belgio (57). Bastava poco di più per ottenere il bronzo: un brusco passo indietro per i nostri in una specialità che il nostro movimento ha contribuito molto a sviluppare sotto il lato tecnico. Ed in questo movimento, di primaria importanza a livello internazionale, Lequio è stato uno dei massimi protagonisti, con un oro, un argento ed un bronzo olimpici anche se a Parigi, tutto sommato, da un campionissimo come lui ci si poteva aspettare anche di più. Ma la sua carriera non finisce certamente qui. Nel 1925 Lequio vince la “Coppa delle Nazioni” a Londra con Trebecco. L’anno seguente è altalenante a Nizza. Dopo una pessima prestazione il 20 aprile che lo relega all’11° posto, Lequio ritrova sé stesso due giorni dopo quando, in sella a Falistra, si aggiudica il “GP Vittoria”, con percorso netto, davanti allo svizzero Miville ed al francese Montergon. È ancora un cavaliere di alto livello. La conferma arriva dai successi nella “Coppa delle Nazioni” a Napoli e Roma, ancora in sella a Trebecco. Con Urfè il 4 ottobre a Stresa vince il “Premio Contessa Jolanda” ed il “Premio Mottarone”. Nel 1927 si vede poco: alla “Coppa delle Nazioni” di Roma chiude secondo, su Pegasus mentre ai primi di ottobre è grande protagonista a Stresa dove vince la “Coppa Calvi” con Ferruccio. Il 1928 è annata olimpica ed il CT Amalfi sa di poter contare su Lequio che prima dei Giochi cavalca da par suo. Dà spettacolo a Roma dove vince la “Coppa delle Nazioni”, su Trebecco, e diversi altri premi tra cui il “Lido di Roma” e “Campidoglio”. Ribadisce la sua classe a Lucerna, ancora col fido Trebecco, svettando in un’altra “Coppa delle Nazioni”. Ai Giochi si punta molto su di lui tant’è vero che viene schierato sia nel cosiddetto “individuale” che negli ostacoli. Il concorso completo, che allora si chiama semplicemente “individuale” o “evento dei tre giorni”, inizia l’8 agosto e vi partecipano 46 cavalieri di 17 nazioni. Consta, come di consueto, in tre prove: dressage, cross-country ed ostacoli. Lequio vi gareggia in sella ad Uroski.
La prima gara è appunto il dressage che si svolge l’8 e 9 agosto nello Sportpark di Hilversum. Lequio non va bene, anzi va proprio male: con 138,80 punti totali chiude solo 40°, perdendo subito ogni speranza di medaglia, ma perfino di un piazzamento tra i primi 15. L’olandese De Kruijff, primo classificato, ottiene 251,26. Il 10 agosto si svolge la prova di cross-country, un percorso impegnativo in piena campagna, disputato nella foresta di Maartensdijk, ancora a Hilversum. Lequio cade ed è costretto al ritiro. Ciò compromette in maniera esiziale anche la classifica a squadre dove i nostri non sono neppure classificati. Nel “completo” l’oro va all’olandese Pahud de Mortanges, su Marcroix, con 1969,82 che prevale di misura sul connazionale De Kruijff (1967,82) mentre il bronzo va al tedesco Neumann, con 1944,42. Nella prova a squadre l’oro è appannaggio dei formidabili olandesi (tre nei primi quattro!), l’argento premia i norvegesi ed il bronzo ai polacchi, in una classifica fortemente condizionata dai ritiri. Per Lequio un vero e proprio disastro. Tenta il riscatto nel concorso ad ostacoli che si svolge il 12 agosto all’Olympisch Stadion: vi prendono parte 46 cavalieri di 16 nazioni. Si svolge all’Olympisch Stadion su un percorso di 720 m, caratterizzato da 16 ostacoli che però risulta poco complicato. Difatti ben 7 cavalieri eseguono percorso netto, senza incorrere in penalità: tra loro anche l’italiano Forquet, in sella a Capinera, che però chiude 7°. Male invece Lequio che ottiene 6 punti di penalità e finisce 24°. Dopo ben due spareggi, l’oro va al ceco Ventura, in sella ad Eliot; argento per il francese Bertrand de Balanda su Papillon e bronzo allo svizzero Kuhn su Pepita. La prestazione poco esaltante di Lequio, unita all’analoga del terzo azzurro (Bettoni Cazzago), non permette ai nostri di salire sul podio nella gara a squadre la cui classifica è stilata per semplice somma dei punti conseguiti da ogni cavaliere. L’Italia infatti ottiene 12 punti e chiude al quarto posto. L’oro premia la Spagna, argento per la Polonia e bronzo alla Svezia. Per Lequio una partecipazione olimpica da dimenticare, una debacle inspiegabile per un cavaliere della sua classe. Parlano per lui i risultati conseguiti non solo prima dei Giochi, ma anche dopo. Nel 1929 difatti rivince due “Coppa delle Nazioni”, a Budapest con Galantin ed a Varsavia con Uroski, cavallo con cui vince anche a Lucerna il “Premio Maggenhorn”. Si dimostra brillante anche nella spedizione che la nostra Nazionale compie a New York, nel concorso al Madison Squadre Garden. Negli anni seguenti guadagna altri grandi successi nella “Coppa delle Nazioni”: nel 1930 a Dublino su Galantin, nel 1931 a Berlino con Suello, nel 1932 a Nizza con Ardrath[3], nel 1934 a Roma su Nereide[4] e nel 1935 a Varsavia con Bufalina. In quest’ultima annata vince anche il “Premio Ospedaletti” a Sanremo. Nel complesso sono 26 le sue partecipazioni alla “Coppa delle Nazioni”: cifra che da sola basta a testimoniare la grandezza di Lequio, pedina fondamentale della nostra Nazionale equestre per tre lustri e tre edizioni dei Giochi. La piccola macchia di Amsterdam non può inficiare una carriera strepitosa, tra le più brillanti di tutti i tempi. Altrettanto brillante la sua attività da militare. Nel 1936 partecipa alla guerra d’Etiopia, guadagnandosi una Medaglia d’Argento ed una di Bronzo al Valor Militare. Si dedica poi all’insegnamento, diventando nel 1939 capo del centro militare per le gare ippiche, a Tor di Quinto. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rientra in prima linea. Nel 1942 è in Tunisia, comandante del reggimento esploratore corazzato ReCO: alle sue dipendenze, per un certo periodo, anche il giovane Gianni Agnelli. Catturato dagli inglesi nel marzo 1943, Lequio guadagna un’altra Medaglia d’Argento. Nel dopoguerra espleta vari incarichi militari. Nel 1959 è il responsabile della preparazione olimpica del “completo” per i Giochi di Roma e nel 1960 diventa Presidente della FISE, carica ricoperta sino alla morte. Una figura di primissimo nella storia non solo della nostra equitazione, ma dell’intero sport italiano.
[1] Clemente Lequio, nato a Pinerolo il 25.11.1857. Dopo vari incarichi, anche presso il Corpo di Stato Maggiore, si segnala in Libia nella guerra italo-turca, dove comanda tutte le truppe della zona di Tripoli. Guida i suoi sottoposti nella vittoriosa battaglia di Assaba contro i berberi il 23 marzo 1913. Come riconoscimento per questo grande successo, gli verrà consentito di aggiungere il nome di questa località al suo cognome
[2] Leggenda vuole che tra questi “allenamenti” vi sia anche il salire e scendere le scale rigorosamente col tallone abbassato in modo da “preparare” la gamba alla posizione da assumere sulle staffe una volta in sella
[3] In quell’anno brilla anche a Torino dove si aggiudica il “Premio Ministero Agricoltura” ed il “Premio Mirafiori”, su Re di Cuori
[4] Lo stesso binomio si aggiudica anche il “Premio Monaco” a Nizza il 18 aprile