IVANOV Pietro
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Zara 30.08.1894 / Civitavecchia (RM) 22.03.1961
1924. Canottaggio. MEDAGLIA DI BRONZO otto con
Nato in territorio allora appartenente all’Impero Austro-Ungarico, poi passato all’Italia a seguito della Prima Guerra Mondiale. Gli zaratini dopo il conflitto sono italiani a tutti gli effetti. Ivanov non possiede un fisico possente, ma armonioso e ben costruito. Soprattutto per l’epoca è molto alto (1,80m) anche se longilineo (pesa 73kg). A Zara, sin da fine ‘800, esiste una grande tradizione di canottaggio e la sua compagine più rappresentativa è la Diadora, fondata nel 1898, di forte matrice irredentista e che prende il nome dall’antica dizione latina della città dalmata. Ivanov sin da adolescente esercita il mestiere di falegname, ma spesso si reca a pescare nel “canale” di Zara, tra le varie isole situate davanti alla città: vi si reca a remi, assieme al cugino Tommaso, e vogando spesso, si appassiona al canottaggio. Ivanov non può dunque che essere attratto dall’ambiente della Diadora che tra l’altro miete successi a raffica anche ai tricolori[1]: poco a poco Ivanov si fa spazio ed alla soglia dei trent’anni il prof. Miller, deus-ex-machina della compagine zaratina, lo giudica adatto per salire a bordo dell’otto sociale di cui egli è il capovoga, in sostituzione di Alfredo Toniatti. Non si sbaglia. Il 15 agosto 1923, con Ivanov e Miller a bordo, l’otto della Diadora vince il campionato giuliano. Si ripetono il 26 agosto a Como, nelle acque di Villa d’Este, per i tricolori. Non solo: il 2 settembre, nelle stesse acque, vincono pure il titolo europeo, resistendo per un soffio al tentativo di rimonta degli svizzeri. È l’annata della consacrazione assoluta per un armo storico in cui Ivanov fa pienamente la sua parte. Nel 1924 la Diadora, sotto la guida del prof. Miller che per vari motivi (anche burocratici in relazione al suo lavoro a scuola) è costretto a non salire in barca, si prepara scrupolosamente per i Giochi. L’otto, con Ivanov a bordo, vince l’apposita selezione olimpica, disputata il 22 giugno a Sesto Calende, sulle acque del Lago Maggiore. La Diadora si impone nettamente, precedendo di 9” i piacentini della “Nino Bixio”, garantendosi il diritto di rappresentare l’Italia ai Giochi.
Le gare olimpiche si disputano sulla Senna ad Argenteuil, nel tratto di fiume immortalato dai celebri quadri degli Impressionisti, a nord-ovest di Parigi. Alla prova dell’“otto” prendono parte 10 nazioni. Con Ivanov gareggiano i tre fratelli Cattalinich (vero “motore” della squadra), Crivelli, Sorich, Toniatti, Gliubich ed il timoniere Galasso. Grande prova degli azzurri nella batteria, che in realtà è una semifinale, il 15 luglio: nettamente primi, col tempo di 6’06” e sei secondi di margine, davanti ad Australia e Spagna. Gli aussie non perdevano una gara da 4 anni! Tutto questo fa ben sperare per la finale, disputata il 17 luglio. In effetti, a parte gli stratosferici USA (tra i quali c’è pure Babe Rockefeller, rampollo della celebre dinastia di miliardari), la lotta per le piazze d’onore è accesa ed incerta. Il Canada guadagna l’argento ma il bronzo, a poca distanza, è azzurro davanti ad un armo importante come quello della Gran Bretagna. Grande prova dei nostri, con una condotta di gara giudiziosa la quale, senza un’embardé che ha provocato un forte rallentamento a metà gara, proprio con Ivanov costretto a risistemare il carrello sfilatosi dalle guide, avrebbe potuto essere anche migliore. Inoltre la medaglia è piena di significato anche “politico”, essendo l’otto costituito prevalentemente da elementi zaratini. Una bella prestazione che corona gli sforzi e la passione dell’intero movimento canottiero delle “terre redente”, con grande soddisfazione anche in chiave propagandistica. La bella storia però finisce qui. I tre fratelli Cattalinich, la spina dorsale dell’armo, sono costretti a fermarsi perchè impegnati a risistemare i capannoni del cantiere di famiglia, semidistrutti da un violento temporale estivo. L’otto della Diadora dunque si sfalda e non può partecipare agli Europei di Zurigo dove sussistevano grandi possibilità di vittoria. Così Ivanov, ormai trentenne, non ottiene più risultati eclatanti. La sua storia si complica, come quella di tanti istriani e dalmati, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ed il caos geopolitico che ne consegue. La moglie e la figlia di Ivanov riescono a fuggire in Italia, prima ad Ancona e poi a Laterina dove viene allestito un campo-profughi. Ivanov invece rimane bloccato in Dalmazia e, in quanto italiano, subisce angherie e vessazioni: viene incarcerato e poi costretto, per salvarsi, a passare nell’esercito slavo di Tito. Alla fine anche lui riesce a fuggire, ricongiungendosi alla famiglia ad Arezzo. Tutti si trasferiscono poi a Civitavecchia dove la città viene ricostruita dopo i bombardamenti alleati e vi sono diverse possibilità di lavoro. Tuttavia, per sopravvivere, la famiglia è costretta a cedere le medaglie conquistate da Ivanov, compresa quella olimpica. Sofferente di asma bronchiale, Ivanov se ne va a 66 anni.
[1] La Diadora vince tre campionati nazionali di “jole a otto” (1920-1921-1922) ed il titolo nell’otto del 1922
L’otto della “Diadora”, bronzo a Parigi nel 1924: a bordo anche Ivanov