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GARZENA Giuseppe

Torre Pellice (TO) 04.05.1900 / Torino 11.07.1982

1920. Pugilato. MEDAGLIA DI BRONZO pesi piuma

garzena grandeNato in una famiglia numerosa ed umile, rimane orfano da bambino causa la morte del padre in un incidente sul lavoro durante la costruzione di una strada. Rimasta vedova, la madre si trasferisce con i bambini in Svizzera, a Ginevra, da alcuni parenti, dove Giuseppe cresce ed inizia a combattere, ma con un grande problema, il suo nome. I coetanei difatti lo deridono in quanto Giuseppe (Joseph) è ritenuto il nome dello “scemo del villaggio” ed allora, improvvisamente, Garzena decide di assumere l’appellativo di Edoardo che d’altra parte è il suo secondo nome di battesimo. E così sarà fino alla morte. Benchè di animo e indole tranquilli, Garzena subisce la passione del pugilato ed inizia a gareggiare anche se ama soprattutto il calcio dove rivela grandi doti, almeno a livello giovanile. È la boxe che comunque lo attrae irresistibilmente anche perchè come pugile Garzena non è affatto male: negli anni della Prima Guerra Mondiale, benchè ancora molto giovane, combatte con un certo successo e nel 1918 conquista il titolo nazionale elvetico dei “gallo”. L’anno seguente rivince tra i “piuma” e, cresciuto ancora di peso, il 26 aprile 1920 torna campione nazionale svizzero tra i “leggeri”, superando Bielaz per k.o.t. Si fa notare di nuovo un mese dopo, il 24 maggio, a Parigi: batte il francese Dumortier al Ginnasio Christman dove si tiene l’incontro Francia-Svizzera in cui Garzena aveva già brillato l’anno precedente. Si comincia a parlare di lui, italiano a tutti gli effetti, come di un interessante elemento per i prossimi Giochi Olimpici. Le sue quotazioni aumentano quando alla fine di luglio si ripete, battendo a Ginevra il francese Villain, campione universitario nazionale. A conti fatti, Garzena è pur sempre l’unico pugile italiano ad avere una pur minima esperienza internazionale e ciò non può essere trascurato. Pur non avendo vinto i tricolori, che servivano da selezione, può comunque vantare il titolo nazionale svizzero.

Alla fine viene inserito nella lista per Anversa ed ai primi di agosto è nel ritiro collegiale azzurro che si sviluppa a Ramello, sul Lago Maggiore, in una splendida villa con tutti i comfort e palestra annessa. Qui gli azzurri affinano tecnica e preparazione, con l’aiuto anche di professionisti del calibro di Spalla, Marzorati e Giussani. Proprio con quest’ultimo Garzena incrocia i guantoni in un match amichevole ed il professionista fatica non poco a contenere l’esuberanza del giovane piemontese per cui i tecnici spendono parole di elogio. L’ultima rifinitura conferma tutto: il 13 agosto, al “Sempione” di Milano, Garzena batte Mariotti per abbandono al terzo round. Quindi, in treno, via Modane e Parigi, tutti ad Anversa. La trasferta si sviluppa però tra mille difficoltà: il CT è Celestino Caversazio, astuto e navigato marpione del Milan Boxing Club prima e dell’Accademia Pugilistica poi, sempre attento al suo tornaconto personale. Viene affiancato da un dirigente che spende i pochi soldi destinati agli azzurri per suoi bisogni personali. Inoltre il viaggio è scomodo e non certo ottimale per un’adeguata preparazione: la comitiva arriva ad Anversa soltanto alla vigilia delle gare. Non c’è tempo per acclimatarsi e, forse, neppure per gareggiare dato che gli organizzatori non trovano i pugili italiani tra gli iscritti: la Federazione aveva probabilmente dimenticato di segnalare i loro nomi al CIO! Seguono fasi concitate, c’è il rischio di aver fatto un viaggio a vuoto, ma proprio Garzena trova la soluzione: interpella i dirigenti della Federazione Svizzera, che ben conosce, i quali si adoperano molto ed intercedono per i nostri che, alla fine, vengono ammessi alle gare. Tutti tranne il milanese Giuseppe Zanati che per soli due etti non rientra nel limite della sua categoria, i “gallo”, e può dunque solo assistere i compagni da bordo ring. Garzena invece è un peso “piuma”, categoria che vede il limite a 57,1 kg. A questo torneo partecipano 17 atleti di 10 nazioni.

Le gare si svolgono nel Salone delle Feste della Società Zoologica Reale, nei pressi dello zoo di Anversa e della Stazione Centrale. Il 21 agosto Garzena, favorito dal sorteggio, passa il primo turno senza combattere. Il giorno seguente batte il belga Vincken ai punti, quindi il 23 agosto nei quarti sconfigge il britannico Cater ed inizia a fare un pensierino alla medaglia. Ma quello stesso giorno, poche ore più tardi, trova un avversario insuperabile nel francese Fritsch che gli infligge un sonoro k.o. al secondo round. Garzena non demorde: si lecca le ferite ed il 24 agosto sale sul ring contro lo statunitense Zivic per la medaglia di bronzo. Non è un incontro facile, ma vince ai punti e conquista così la prima medaglia olimpica nella storia della boxe italiana. L’oro va a quello stesso Fritsch che lo ha superato in semifinale e che sconfigge ai punti il connazionale Gachet, per un netto dominio francese. Garzena si prende la rivincita il 14 novembre a Ginevra, superando ai punti lo stesso Fritsch, confermandosi pugile di ottimo livello. Nel 1921, a giugno, Garzena guadagna il titolo italiano militari dei “leggeri”, battendo in finale Mariotti e ad ottobre torna brevemente in Svizzera per conseguire il titolo nazionale della stessa categoria (possiede difatti anche licenza elvetica). Poi, nell’aprile 1922, Garzena diventa professionista e ha una carriera piuttosto significativa. Il 14 giugno 1924 conquista il titolo italiano dei “leggeri” a Milano contro Piacentini. Difende la corona quattro volte, poi la perde il 19 giugno 1926 a Milano contro Farabullini per k.o.t. al 12° round. Insiste per qualche anno, ma non raggiunge più i livelli precedenti e nel novembre 1929 combatte il suo ultimo match, laddove tutto era iniziato, pareggiando a Ginevra con Paris. Il suo score è più che onorevole: 61 incontri da pro, 41 vittorie, 14 sconfitte e 6 pari. Abbandonata l’attività, diventa istruttore ed allenatore, stabilendosi a Torino. Subisce la ferale perdita di due figli in tenera età, ma non cede e si tuffa ancor di più nell’insegnamento della boxe. È talmente bravo che nel 1932 guida gli azzurri del pugilato ai Giochi di Los Angeles. Nel 1946, dopo la guerra, ha una grande idea: apre a Torino una palestra “di allenamento” con percorsi mirati per ogni cliente, diventando una sorta di personal tranier, uno dei primi se non il primo in assoluto del nostro paese, applicando conoscenze anche fisioterapiche. Ha fortuna: tra i suoi clienti anche la famiglia Agnelli. Stimato ed apprezzato per il suo carattere buono e gentile, ma con il vizio del fumo che ne lede il fisico, continua ad allenare praticamente sino al termine dei suoi giorni. Per una coincidenza del destino, muore l’11 luglio 1982, proprio il giorno in cui tutta Italia impazzisce per l’indimenticabile vittoria della nostra Nazionale di calcio nel “mundial” spagnolo. Nella sua bara, secondo le sue volontà, viene posta la medaglia di bronzo vinta ad Anversa.