GABRIOTTI Francesco
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Roma 12.08.1914 / Roma 11.02.1987
1936. Calcio. MEDAGLIA D’ORO
Pratica calcio sin da ragazzino, vincendo anche importanti manifestazioni nazionali con Lazio ed Alba Roma. Nel 1932-33 è nella prima squadra della Lazio ed a 18 anni esordisce in Serie A, giocando 8 partite e segnando due reti. È un attaccante di razza, un’ala sinistra che però sa anche difendere e giostrare bene a centrocampo: una sorta di “tornante”, uno dei precursori in questo ruolo. Non gioca molto, ma si fa notare: 5 presenze ed una rete nel 1933-34, 9 partite l’anno seguente (quando i biancocelesti colgono un bel quinto posto), cinque partite e 3 gol nel 1935-36. Proprio in quest’annata lo nota il CT Pozzo che sta cercando di allestire la squadra olimpica non senza difficoltà. Il regolamento difatti esclude i professionisti e soprattutto coloro che abbiano già giocato in Nazionale; oltre tutto bisogna essere iscritti all’Università. Gabriotti lo è dato che frequenta Ingegneria e dunque Pozzo lo convoca anche se il CT è molto chiaro con lui sin da subito: il suo ruolo è riserva. Gabriotti non è titolare difatti nella prima partita di preparazione, disputata a Venezia il 21 maggio 1936 contro l’Ungheria “dilettanti”. Sotto pioggia e vento, vinciamo 2-0 e la compagine, che gioca in maglia nera anzichè azzurra, sembra già a buon punto. Gabriotti figura comunque tra i convocati per il tradizionale ritiro collegiale preolimpico, tenuto a Merano dall’8 luglio. Pozzo, coadiuvato da Angelo Mattea, assembla col solito impeto gagliardo una squadra cui dà la sua impronta ferrea e determinata. Gli azzurri (o i neri visto che il colore della maglia è quello tanto caro ai fascisti...) segnano caterve di gol ad alcune squadre minori che fungono da sparring partner: 18-1 al Bolzano, 7-1 allo Spezia e 9-1 al “fascio italiano” di Berlino, raggiunta in treno con partenza da Verona il 27 luglio. I nostri sembrano pronti anche se molti, stampa compresa, appaiono piuttosto scettici alla vigilia. Il torneo olimpico di calcio si gioca interamente a Berlino, nei vari stadi della città. Al via 16 nazioni, con eliminazione diretta.
L’Italia esordisce alle 17.30 del 3 agosto contro gli Stati Uniti, al “Poststadion”, situato nel sobborgo di Moabit, nella parte nord-occidentale della capitale tedesca. Arbitro il tedesco Weingartner, spettatori 9mila. Gabriotti è in panchina. La partita sembra scontata, ma gli azzurri la affrontano con poca determinazione e gli americani non sono poi così sprovveduti come si pensava. Così il primo tempo termina 0-0. La sfuriata di Pozzo negli spogliatoi sembra avere effetto ed i nostri tornano in campo grintosi e dinamici, ma al 53°, a seguito di un brutto fallo di Piccini si genera un parapiglia generale. L’arbitro, un po’ a caso, espelle proprio Rava che in questo modo stabilisce un record poco esemplare: è difatti il primo azzurro mai espulso in una gara internazionale. Sembra un brutto colpo per gli azzurri, ma passano appena due minuti e segna Frossi. Gli americani tentano inutilmente di realizzare il pareggio, i nostri controllano ed alla fine, soffrendo un po’ troppo, vinciamo 1-0. Mai visto Pozzo infuriato coi suoi giocatori come nei giorni che seguono quel primo match. La strigliata però funziona. Il 7 agosto, al “Mommenstadion” di Grunewald (periferia occidentale di Berlino), affrontiamo il Giappone che a sorpresa ha eliminato i quotati svedesi (3-2). Gabriotti siede di nuovo in panchina. Di fronte ad 8mila spettatori e con arbitro proprio uno svedese, Olsson, stavolta non la prendiamo sottogamba e strapazziamo i nipponici 8-0. Biagi ne segna quattro (32°, 57°, 81° e 82°), Frossi tre (14°, 75° e 80°) mentre chiude il conto Cappelli (89°) che poi si infortuna malamente causa l’inutile e proditorio fallo di un avversario. Entriamo dunque nei quarti a vele spiegate. L’infortunio di Cappelli apre le porte alle riserve e Gabriotti spera, ma il CT sceglie Negro. Il 10 agosto tocca alla Norvegia ed il gioco si fa duro: gli scandinavi difatti hanno portato in pratica la loro Nazionale maggiore. Si gioca all’Olympiastadion di fronte a ben 95mila spettatori, arbitra l’ungherese Hertzka.
Cominciamo bene ed al 15° proprio Negro ci porta in vantaggio. Il primo tempo si chiude 1-0, ma i norvegesi sono tosti e pareggiano con Brustad al 58°. Il risultato non cambia, si va ai supplementari ed al 96° decide tutto Frossi che si sta rivelando il nostro goleador. La difesa regge l’assalto finale scandinavo e ci guadagnamo il passaggio del turno. Siamo già andati al di là di ogni aspettativa, ma Pozzo tiene sulla corda i nostri, cerca di gasarli psicologicamente, di non farli mollare. A sdrammatizzare l’attesa ci pensa niente meno che Jesse Owens, l’eroe afroamericano di quei Giochi con 4 medaglie d’oro (100, 200, 4x100 e lungo), il quale al Villaggio Olimpico è diventato amico degli azzurri con cui passa le serate a suonare la chitarra, cantare e ballare. La vigilia passa così senza troppo stress ed il 15 agosto i nostri sono pronti a giocarsi l’oro con la temibile Austria. Pozzo non è convinto di Negro (tra l’altro con qualche problemino fisico) e, con un pizzico di incoscienza, lancia Gabriotti dal primo minuto: esordio in azzurro in una finale olimpica! Non è facile rimanere tranquilli, senza emozionarsi. Si rigioca ovviamente all’Olympiastadion, arbitra il tedesco Bauwens di fronte a 85mila spettatori. Incontro equilibrato e teso, non si sblocca: il primo tempo finisce 0-0. Ci pensa, guarda caso, ancora Frossi che al 70° porta in vantaggio l’Italia. Qualcuno pensa che sia fatta, ma l’Austria è forte, si riversa in attacco e pareggia dieci minuti dopo con Kainberger.
Si va, di nuovo, ai supplementari. Pozzo rincuora i nostri da par suo, li stimola per l’ultima volta all’impresa: il morale è alto, nessuno trema, la “squadra” non molla. Si torna in campo col piglio vincente e dopo due minuti segna, ovviamente, Frossi. Poi è tempo solo di resistere e la difesa non tradisce. Il risultato non cambia: Italia-Austria 2-1, medaglia d’oro! Il bronzo va alla Norvegia che supera 3-2 la Polonia nella “finalina”. Il sogno s’è realizzato: una squadra di universitari, molti dei quali non avranno carriere eccezionali, ha vinto i Giochi. Il momento è talmente storico che...non si ripeterà più. Garbiotti in questo contesto è stato come una meteora, apparso però nel momento topico e più importante. Catapultato nella mischia all’ultimo atto, ha dato il suo contributo alla causa e si merita pure lui il titolo olimpico. Purtroppo stavolta però la favola non ha il lieto fine. Lanciato dal successo, Gabriotti vede aprirsi davanti a sè una carriera con molte speranze. Ma durante una partita di preparazione al Campionato 1936-37, disputata alla fine di agosto contro L’Aquila, si infortuna ad un ginocchio. Sembra una cosa da poco al punto che gioca le prime quattro partite di Campionato, ma poi il dolore si riacutizza ed è costretto a sospendere ogni attività. Non guarisce: prova a riprendere dopo qualche mese, ma deve arrendersi definitivamente. Laureato in Ingegneria, si dedica alla professione e non scende più in campo. Caso più unico che raro: la sua unica presenza in Nazionale coincide col successo della medaglia d’oro olimpica.