FONI Alfredo
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Udine 20.01.1911 / Breganzona (Svizzera) 28.01.1985
1936. Calcio. MEDAGLIA D’ORO
Già a 16 anni è nella rosa di prima squadra dell’Udinese, in Prima Divisione, una sorta di serie C: inizialmente gioca all’attacco ma poi viene spostato in difesa, rivelandosi terzino pugnace e completo, ma ovviamente ancora inesperto. Nel 1929 il primo salto di qualità: passa alla Lazio in Serie A. Nel 1929-30 gioca 18 volte e chiude 15°, l’anno seguente va meglio: 20 presenze e 2 gol, con l’ottavo posto finale. Ha accumulato esperienza, ma gli manca ancora qualcosa. Così va in serie B, al Padova con cui nel 1931-32 conquista la promozione nella massima serie dove gioca due stagioni con i patavini: nel 1932-33 totalizza 34 presenze con un gol, per il 14° posto finale; l’anno seguente le partite sono 32 con 3 reti ma non si può evitare il 16° posto che sancisce la retrocessione. Foni però s’è fatto notare dai grandi squadroni. Intanto ai primi di settembre del 1933 è nella Nazionale che vince il Mondiale Universitario, poi è spesso tra i migliori in campo. Così arriva la svolta definitiva: lo ha scelto difatti la Juventus per sostituire il grande Rosetta. A 23 anni, nel 1933-34, Foni non si lascia sfuggire l’occasione: gioca 27 partite e vince lo scudetto, il quinto consecutivo del “quinquennio d’oro” bianconero. L’anno seguente si mantiene ad alti livelli: 30 presenze ed una rete anche se la Juventus, attraversata da un profondo rinnovamento, chiude solo quinta nel torneo vinto dal Bologna. Pozzo però, da maestro di calcio quale egli è, ha osservato attentamente Foni e ne fa una pedina fondamentale della costruenda compagine per i Giochi dove il regolamento impedisce la convocazione dei calciatori “professionisti”. Si adotta un escamotage, facendo passare i compensi per rimborsi-spese, ma rimane la strada ostruita per chi abbia già giocato in Nazionale e per chi non sia universitario. Foni lo è, in Economia (ha già in tasca il diploma di ragioniere), e dunque via libera. Difatti è titolare nella prima partita di preparazione, disputata a Venezia il 21 maggio 1936 contro l’Ungheria “dilettanti”. Sotto pioggia e vento, vinciamo 2-0 e la compagine, che gioca in maglia nera anzichè azzurra, sembra già a buon punto. Foni figura così tra i convocati per il tradizionale ritiro collegiale preolimpico, tenuto a Merano dall’8 luglio. Pozzo, coadiuvato da Angelo Mattea, assembla col solito impeto gagliardo una squadra cui dà la sua impronta ferrea e determinata. Gli azzurri (o i neri...) segnano caterve di gol ad alcune squadre minori che fungono da sparring partner: 18-1 al Bolzano, 7-1 allo Spezia e 9-1 al “fascio italiano” di Berlino, raggiunta in treno con partenza da Verona il 27 luglio. I nostri sembrano pronti anche se molti, stampa compresa, appaiono piuttosto scettici alla vigilia. Il torneo olimpico di calcio si gioca interamente a Berlino, nei vari stadi della città.
Al via 16 nazioni, con eliminazione diretta. L’Italia esordisce alle 17.30 del 3 agosto contro gli Stati Uniti, al “Poststadion”, situato nel sobborgo di Moabit, nella parte nord-occidentale della capitale tedesca. Arbitro il tedesco Weingartner, spettatori 9mila. La partita sembra scontata, ma gli azzurri la affrontano con poca determinazione e gli americani non sono poi così sprovveduti come si pensava. Così il primo tempo termina 0-0. La sfuriata di Pozzo negli spogliatoi sembra avere effetto ed i nostri tornano in campo grintosi e dinamici, ma al 53°, a seguito di un brutto fallo di Piccini si genera un parapiglia generale. L’arbitro, un po’ a caso, espelle Rava. Sembra un brutto colpo per gli azzurri, ma passano appena due minuti e segna Frossi. Gli americani tentano inutilmente di realizzare il pareggio, i nostri controllano ed alla fine, soffrendo un po’ troppo, vinciamo 1-0. Mai visto Pozzo infuriato coi suoi giocatori come nei giorni che seguono quel primo match. La strigliata però funziona. Il 7 agosto, al “Mommenstadion” di Grunewald (periferia occidentale di Berlino), affrontiamo il Giappone che a sorpresa ha eliminato i quotati svedesi (3-2). Di fronte ad 8mila spettatori e con arbitro proprio uno svedese, Olsson, stavolta non la prendiamo sottogamba e strapazziamo i nipponici 8-0. Biagi ne segna quattro (32°, 57°, 81° e 82°), Frossi tre (14°, 75° e 80°) mentre chiude il conto Cappelli (89°) che poi si infortuna malamente causa l’inutile e proditorio fallo di un avversario. Entriamo dunque nei quarti a vele spiegate. Il 10 agosto tocca alla Norvegia ed il gioco si fa duro: gli scandinavi difatti hanno portato in pratica la lora Nazionale maggiore. Si gioca all’Olympiastadion di fronte a ben 95mila spettatori, arbitra l’ungherese Hertzka. Cominciamo bene ed al 15° Negro ci porta in vantaggio. Il primo tempo si chiude 1-0, ma i norvegesi sono tosti e pareggiano con Brustad al 58°. Il risultato non cambia, si va ai supplementari ed al 96° decide tutto Frossi che si sta rivelando il nostro goleador. La difesa regge l’assalto finale scandinavo e ci guadagnamo il passaggio del turno. Siamo già andati al di là di ogni aspettativa, ma Pozzo tiene sulla corda i nostri, cerca di gasarli psicologicamente, di non farli mollare. A sdrammatizzare l’attesa ci pensa niente meno che Jesse Owens, l’eroe afroamericano di quei Giochi con 4 medaglie d’oro (100, 200, 4x100 e lungo), il quale al Villaggio Olimpico è diventato amico degli azzurri con cui passa le serate a suonare la chitarra, cantare e ballare. La vigilia passa così senza troppo stress ed il 15 agosto i nostri sono pronti a giocarsi l’oro con la temibile Austria. Si rigioca ovviamente all’Olympiastadion, arbitra il tedesco Bauwens di fronte a 85mila spettatori.
Incontro equilibrato e teso, non si sblocca: il primo tempo finisce 0-0. Ci pensa, guarda caso, ancora Frossi che al 70° porta in vantaggio l’Italia. Qualcuno pensa che sia fatta, ma l’Austria è forte, si riversa in attacco e pareggia dieci minuti dopo con Kainberger. Si va, di nuovo, ai supplementari. Pozzo rincuora i nostri da par suo, li stimola per l’ultima volta all’impresa: il morale è alto, nessuno trema, la “squadra” non molla. Si torna in campo col piglio vincente e dopo due minuti segna, ovviamente, Frossi. Poi è tempo solo di resistere e la difesa, col brillante Foni, non tradisce. Il risultato non cambia: Italia-Austria 2-1, medaglia d’oro! Il bronzo va alla Norvegia che supera 3-2 la Polonia nella “finalina”. Il sogno s’è realizzato: una squadra di universitari, molti dei quali non avranno carriere eccezionali, ha vinto i Giochi. Il momento è talmente storico che...non si ripeterà più. Foni in questo contesto è stato grande protagonista, giocando tutte e quattro le partite, dando sicurezza all’intero reparto difensivo. La sua medaglia è più che meritata. Dopo i Giochi, Foni continua la sua carriera alla grande. Rimane titolare fisso della Juventus sino al 1947 dove totalizza 266 presenze con 5 reti e della quale rappresenta uno dei giocatori più rappresentativi degli anni ‘30. Nel frattempo però diventa pure una colonna portante della Nazionale con la quale vince il Mondiale del 1938. È così uno dei quattro calciatori italiani (gli altri sono Rava, Bertoni e Locatelli) ad aver vinto titolo olimpico e mondiale a distanza di due anni. In azzurro colleziona 23 presenze, l’ultima delle quali il 19 aprile 1942 a Milano contro la Spagna (4-0). Nel dopoguerra, dopo l’ultima breve parentesi di calciatore nel Chiasso, inizia la carriera di allenatore. L’avvio non è dei più felici ed in squadre di secondo piano nelle serie minori (Venezia, Casale, Pavia), ma nel 1951-52 arriva in Serie A, alla Sampdoria e l’anno seguente è il tecnico dell’Inter con cui vince due scudetti consecutivi. Tali successi lo portano sulla panchina della Nazionale che però delude fortemente, non qualificandosi per il Mondiale del 1958. Foni poi allena ancora diverse squadre in Serie A (Bologna, Udinese, Roma con la quale vince la Coppa delle Fiere 1960-61) ma senza più ottenere risultati rilevanti in Campionato. Termina la sua attività in Svizzera dove poi risiede sino alla morte. Il suo curriculum rimane tra i più brillanti di tutta la storia, avendo raggiunto i vertici in ogni settore: Olimpiade e Mondiale da calciatore, due scudetti da allenatore, con l’unica macchia sulla panchina della Nazionale.