DE VECCHI Renzo
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Milano 03.02.1894 / Milano 14.05.1967
1912. Calcio. Eliminato Primo Turno (9° pari merito)
1920. Calcio. 4°
1924. Calcio. Eliminato Quarti di Finale
Probabilmente il calciatore italiano più famoso, e valido, negli anni a cavallo della Prima Guerra Mondiale. Talento precocissimo, inizia a giocare ancora bambino in una squadretta rionale meneghina, la Pro Monforte. Poi il padre Enrico diventa appositamente socio del Milan, di cui è tifosissimo, per far tesserare il figlio dai rossoneri. De Vecchi strabilia tutti ed esordisce in prima squadra a soli 15 anni. Alto 163cm per 62kg, non è un marcantonio ma ha molta grinta, forza, senso della posizione, ottima visione di gioco ed un gran sinistro, potente e preciso. Gioca inizialmente a centrocampo, poi si sposta nel ruolo di terzino e si comporta talmente bene che si guadagna il soprannome di “figlio di Dio” per la sua superiorità tecnico-atletica e la presenza carismatica. Nel Milan gioca dal 1909 al 1913, collezionando 64 presenze e realizzando 7 reti, bottino non indifferente per un difensore che troverà la via della rete, anche più volte, praticamente in ogni stagione, peraltro calciando pure i rigori di cui è specialista. Nonostante, ovviamente, sia ancorato ad un calcio pionieristico ed eroico, la sua figura riveste connotati in un certo senso già “moderni”, di un calciatore in anticipo sulla sua epoca. Lo dimostra il fatto che esordisce in Nazionale il 26 maggio 1910, ad appena 16 anni e 3 mesi di età, addirittura a Budapest, nella seconda partita in assoluto mai disputata dagli azzurri[1] che perdono nettamente, 6-1. Entra ad incontro già iniziato, in sostituzione dell’infortunato Cevenini I.
Quando è il momento di stilare la lista per i Giochi di Stoccolma, il CT Vittorio Pozzo, peraltro all’esordio sulla panchina della Nazionale, non può escludere De Vecchi che nel frattempo ha confermato la sua classe ed accumulato altre esperienze internazionali. La spedizione azzurra però è preparata in tutta fretta, male organizzata e proseguita peggio, con pochi soldi e molti problemi contingenti: i nostri dormono in una scuola e per mangiare sono costretti a lunghi spostamenti in modo da raggiungere l’unico ristorante italiano della capitale svedese dove peraltro trovano bistecche non di carne ma bensì di...balena. Inoltre i calciatori sono molto “attirati” dalle valchirie nordiche: tra l’altro per molti di loro è il primo lungo soggiorno all’estero. Tutto questo spiega comunque solo in parte il mediocre risultato azzurro. Al torneo di calcio prendono parte 11 nazioni con la regola dell’eliminazione diretta. Il sorteggio pone di fronte ai nostri i finlandesi. La gara si gioca il 29 giugno alle 11 di mattina, al Tranebergs Idrottsplats, nella parte settentrionale di Stoccolma, presenti 600 spettatori. È il primo match in assoluto del torneo. Sulla carta non sembra una partita impossibile, ma le cose si mettono subito male: i finnici passano in vantaggio dopo appena due minuti di gioco, con Ohman. Pareggia Bontadini al 10’, quindi Sardi capovolge il risultato al 25’. Soinio impatta al 40’. Il risultato non cambia e si va ai supplementari: al termine del primo extra-time segna Wiberg. I nostri non riescono a pareggiare e vengono malamente eliminati al primo turno. Il torneo verrà vinto, anzi dominato, dai maestri inglesi.
L’Italia è relegata nel torneo di consolazione. Il 1 luglio, al Rasunda Idrottsplats di Solna, alle ore 19, di fronte a 2500 spettatori, vinciamo contro i padroni di casa svedesi 1-0, con rete ancora dell’ottimo Sardi al 15’ del primo tempo. Segue il 3 luglio la semifinale del torneo di consolazione, alle 19, all’Olympiastadion di Stoccolma, di fronte a 3500 spettatori, contro l’Austria che vince nettamente 5-1. De Vecchi gioca le tre partite, non delude ma nemmeno svetta come ci si aspetterebbe da un “figlio di Dio”. La parentesi olimpica azzurra appare piuttosto mesta: il 9° posto finale, a pari merito, la dice lunga sul risultato tecnico dei nostri. De Vecchi però ha 18 anni ed é dunque appena all’inizio della sua carriera che prosegue alla grande. Nel 1913 si trasferisce al Genoa con un “colpo” di calcio-mercato che fa epoca. I calciatori sono ancora dilettanti ed il professionismo è fortemente osteggiato dalla Federazione. Ma siamo in Italia e l’escamotage si trova sempre. Geo Davidson, mitico Presidente genoano e sportsman a tutto tondo, trova a De Vecchi un impiego presso la Banca Commerciale: così riceve uno stipendio regolare, non dal Genoa, e può giocare senza problemi. E De Vecchi gioca alla grande: nel 1914-15 conquista col Genoa il suo primo titolo italiano, nel campionato concluso anzitempo, non senza polemiche, causa l’ingresso in guerra dell’Italia. De Vecchi riesce ad imboscarsi: arruolato in fanteria, di stanza a Brescia, gioca qualche partita con la squadra di quella città. Ma non va al fronte e viene impiegato in servizi di collegamento, viaggiando in un sidecar. Ha modo quindi di continuare a giocare nel Genoa: il campionato è sospeso, ma si disputa la “Coppa Federale” in cui, nel 1916-17, De Vecchi totalizza 17 presenze e 3 reti. Finita la guerra, De Vecchi, ancora sotto le armi perchè la smobilitazione avviene molto lentamente, partecipa ai “Giochi Interalleati” di Parigi del giugno-luglio 1919, una sorta di “Olimpiadi per soldati” riservati agli eserciti vincitori la guerra.
La nostra Nazionale è ben strutturata, con diversi calciatori di spicco e parte bene sul campo di Colombes dove si disputano tutti gli incontri: vince 9-0 con la Grecia e 7-1 con la Romania, ma perde 2-0 con la Francia ed è relegata nella finale per il bronzo dove il Belgio non si presenta e vinciamo a tavolino. Poi De Vecchi riprende il suo consueto ruolo nel Genoa e nella Nazionale, come capitano. Maturato e più esperto, è ormai una colonna del nostro calcio ed ovviamente non manca tra gli azzurri selezionati per i Giochi di Anversa dal neo CT Giuseppe Milano: l’ex colonna della Pro Vercelli, con la quale ha vinto cinque campionati, dal marzo 1920 è stato difatti designato come “preparatore atletico” della nostra Nazionale da un’apposita Commissione Tecnica che, incaricata dalla FIGC, ne segue e dirige ogni mossa. È comunque Milano ad andare in panchina ed a scegliere la formazione. Il torneo olimpico è ad eliminazione diretta: ottavi, quarti, semifinale e finale che assegna la medaglia d’oro. Per le altre medaglie, in maniera macchinosa, è previsto un mini-torneo di consolazione tra tutte le perdenti dai quarti in avanti. Al via 14 nazioni visto che Svizzera e Polonia, invitate, rinunciano all’ultimo momento, permettendo a Francia e Belgio, le loro avversarie designate, di accedere subito ai quarti di finale. L’Italia invece deve giocarsela ed il sorteggio è benevolo: il 28 agosto, alle 15.20, all’Ottenstadion di Gand, gli azzurri affrontano l’Egitto, con De Vecchi nel suo consueto ruolo di terzino. Non sembra un avversario temibile e la partita si mette subito bene: al 25’ segna Baloncieri. Ma da questo momento iniziano i problemi: gli egiziani masticano calcio discretamente, non si disuniscono e dopo appena cinque minuti Osman pareggia. Si va al riposo sull’1-1, tra la sorpresa generale. Ci pensa il centravanti Brezzi a salvare la baracca, realizzando al 57’. I nostri tengono, non senza fatica, il risultato fino alla fine ed accedono ai quarti di finale. Il giorno seguente, all’Olympisch Stadion di Anversa, alle ore 15.00, di fronte a circa diecimila spettatori, affrontiamo la Francia. De Vecchi è di nuovo al suo posto e sembra sulla carta un altro ostacolo non impossibile visto che a gennaio, sul terreno del Velodromo Sempione a Milano, l’abbiamo battuta 9-4. Stavolta è tutta un’altra storia: dopo 10’ Bard rompe il ghiaccio ed al 14’ Boyer raddoppia. Al quarto d’ora siamo già sotto 2-0, altro che goleada. Ci svegliamo un po’, ma è necessario un rigore di Brezzi al 33’ per ridarci speranza. Dopo 45’ si rimane sul 2-1 per la Francia. C’è ancora tempo e spazio per rimediare, ma al 54’ di nuovo Bard chiude il conto. Gli azzurri accusano il colpo e lasciano ai transalpini l’onore della semifinale. Il torneo ha un esito clamoroso. La finale per il primo posto è giocata da Belgio e Cecoslovacchia. I padroni di casa sono sostenuti da un tifo fin troppo scalmanato e l’enorme pubblico viene a stento contenuto dalle forze dell’ordine. Si gioca in un clima intimidatorio per i cechi, con offese e minacce, anche da parte di molti soldati del cordone di polizia (!). L’arbitro fa il resto, favorendo sfacciatamente i padroni di casa che vanno rapidamente sul 2-0. Per protesta i cechi abbandonano il campo: vengono squalificati e non possono accedere al torneo di consolazione per le altre medaglie. Nessuno ovviamente osa togliere l’oro al Belgio nè tanto meno pensare ad una ripetizione della gara.
Nel torneo di consolazione c’è anche l’Italia che scende in campo il 31 agosto alle 10 di mattina, all’Olympisch Stadion contro la Norvegia che, a sorpresa, ha eliminato la Gran Bretagna (che ha peraltro inviato una compagine di scarsa qualità). Gioca in pratica chi non ha giocato i turni precedenti e, per una volta, anche De Vecchi siede in panchina. Vinciamo ma con grandissima fatica: al 40’ Andersen porta in vantaggio gli scandinavi e si rientra negli spogliatoi sullo 0-1. Ad inizio ripresa pareggia Sardi, uno dei migliori goleador del periodo, e ci vogliono i supplementari per dirimere la questione: all’inizio del terzo extra-time Badini ci regala la qualificazione. Siamo dunque in corsa per una medaglia, ma bisogna vincere con la Spagna, avversario tosto e la cui porta è difesa dal giovanissimo ma già portentoso Zamora. Il CT Milano rimescola un po’ le carte e De Vecchi stavolta non può mancare. Ma il 2 settembre alle 16.00, all’Olympisch Stadion, purtroppo non c’è partita: una doppietta di Sesumaga (43’ e 72’) ci rimanda a casa con la “medaglia di legno”. Difatti veniamo classificati quarti, grazie anche alla squalifica della Cecoslovacchia. La Spagna guadagna l’argento, superando nella “finalina” i Paesi Bassi (bronzo) per 3-1. L’Italia torna a casa con due vittorie e due sconfitte, un bilancio mediocre per un movimento calcistico in ascesa e che a livello nazionale sta suscitando sempre più attenzione su stampa e tifosi, ma ancora lontano dai vertici europei. Di questo movimento De Vecchi rimane un leader al punto che è il primo calciatore sfruttato dal marketing: nel 1921 infatti la sua immagine compare su giornali e riviste in una pubblicità di una pomata lenitiva. Gli dedicano pure una biografia: è ormai un personaggio noto ed affermato. In effetti anche nei primi anni Venti dà spettacolo sul campo, conducendo il suo Genoa a vincere il Campionato nel 1922-23 senza perdere una sola partita. L’anno seguente altro grande bis e, per la prima volta, viene cucito lo scudetto tricolore sulla maglia. In queste due annate De Vecchi totalizza 46 partite ed 11 gol. Ovviamente è titolare fisso della Nazionale dove però la sua classe non basta ad evitare due sconfitte sonore: il 27 maggio 1923 gli azzurri perdono 5-1 con la Cecoslovacchia a Praga ed il 20 gennaio 1924 la batosta è inflitta dall’Austria che maramaldeggia 4-0 a Genova. La FIGC corre ai ripari e l’insulsa Commissione Tecnica che fin lì ha guidato la Nazionale, nel febbraio 1924 è sostituita da Vittorio Pozzo che torna alla guida degli azzurri, in veste di Commissario Unico. Le partite di preparazione ai Giochi, con De Vecchi in campo, non vanno troppo bene: il 9 marzo uno stentato 0-0 con la coriacea Spagna a Milano ed il 6 aprile una sonora sconfitta a Budapest contro l’Ungheria per 7-1, anche se in questo secondo caso ai nostri mancano i calciatori di Genoa (ma non De Vecchi) e Bologna che, strenuamente impegnate nella lotta per il Campionato, hanno preferito non inviare in azzurro i loro uomini.
Pozzo ha le idee ancora confuse ed organizza due match non ufficiali con squadre di club, terminati entrambi 1-1, contro i cechi del Makkabi di Brenn (composta esclusivamente da giocatori ebrei) ed il Wiener Amateur di Vienna. Poi si va a Parigi e De Vecchi, inevitabilmente, è tra i 22 selezionati. Al torneo di calcio partecipano 22 nazioni, col criterio dell’eliminazione diretta e ripetizione della partita in caso di parità dopo i tempi supplementari. Pochi lo sanno, ma questo torneo ha valenza, per la FIFA, di Campionato del Mondo. Sotto la supervisione di Pozzo, gli italiani fanno le cose per bene al punto che il CU si avvale della collaborazione di due allenatori di primo piano come gli inglesi Garbutt e Burgess, rispettivamente mister di Genoa e Padova. Ma non tutto fila per il verso giusto: l’alloggio scelto per i nostri, una lussuosa villa nei pressi della Porte Maillot, ha i letti...troppo piccoli. Si trova dunque in fretta e furia un albergo che può accogliere l’intera comitiva ma è situato nella zona di Pigalle dove certamente non mancano le “distrazioni”. Memore dei misfatti di Stoccolma, Pozzo esercita sui calciatori una ferra sorveglianza cui nessuno riesce a sottrarsi. I nostri sembrano in forma e c’è moderata fiducia intorno a loro, ma il sorteggio non è benevolo visto che ci presenta al primo turno la Spagna, guidata dal celebre Zamora in porta. Il 25 maggio alle 15.30, allo stadio di Colombes, di fronte a 19mila spettatori, arbitro il francese Slawick, affrontiamo dunque gli iberici, ma De Vecchi (in non perfette condizioni) rimane in panchina. Come previsto, non è una partita facile, risulta maschia, come si diceva in quel tempo, ricca di contrasti, falli, mischie. Incontro equilibrato che solo un episodio può decidere. Non lo fa l’espulsione dello spagnolo Larraza, autore di un fallaccio. Gli iberici si rintanano in difesa. L’episodio arriva all’84’ e ci è favorevole. In piena area di rigore, nel tentativo di fermare l’avanzata di Magnozzi che sta per tirare a colpo sicuro, Vallana colpisce il pallone con violenza ma in modo scomposto e la sfera termina in rete. Autogol! Italia 1, Spagna 0. I nostri resistono al disperato assalto iberico e passano il turno, seppur con fatica e fortuna. Il 29 giugno tocca agli ottavi di finale e stavolta l’avversario appare più abbordabile, il Lussemburgo.
Si gioca allo stadio Pershing, teatro dei “Giochi Interalleati” del 1919. Solo 4mila gli spettatori, per un incontro poco interessante. Si parte alle 14.15. Solo due cambi nel nostro undici: entrano proprio De Vecchi e Baldi, escono Caligaris e Burlando, entrambi acciaccati. La partita si mette subito bene: il primo gol è di Baloncieri, 20’ dopo il fischio iniziale del francese Richard. Al 38’ raddoppia Della Valle ed i nostri controllano agevolmente la partita sino alla fine. Siamo nei quarti e qualcuno fa un pensierino alla medaglia. Il 2 giugno si gioca contro la Svizzera allo stadio Bergeyre di fronte ad 8mila spettatori, arbitra l’olandese Mutters. In campo gli stessi del match con la Spagna e dunque di nuovo assente un De Vecchi non al meglio della condizione. Non sembra una partita impossibile, ma i nostri hanno perso intensità ed il primo tempo scorre via scialbo, con pochi sussulti, fermo sullo 0-0. Il rientro dagli spogliatoi è scoppiettante: al 47’ Sturzenegger sorprende gli azzurri e segna. Dopo cinque minuti pareggia Della Valle. Poi una disattenzione difensiva di Caligaris regala la palla agli svizzeri, un cross ed Abegglen, appostato in piena aria, di testa infila il 2-1. Proteste dei nostri per un fuorigioco che però non viene riscontrato dall’arbitro. È la rete decisiva: gli svizzeri si difendono con ordine, gli azzurri non recuperano e vengono eliminati. Gli svizzeri comunque saranno protagonisti di un grande torneo, ottenendo l’argento dopo aver perso 3-0 la finale contro i formidabili uruguaiani ai quali spetta il primo titolo di “Campioni del Mondo” (con tanto di stella sulla loro maglia, approvata dalla FIFA). Il bronzo va alla Svezia che, dopo il primo match chiuso 1-1, supera 3-1 i Paesi Bassi nell’apposito replay.
Per gli azzurri una partecipazione olimpica non eccezionale ma che permette al CU Pozzo e ad alcuni giocatori di accumulare una fondamentale esperienza che poi, col tempo, si riverbererà sull’intero movimento calcistico italiano. De Vecchi non s’è distinto particolarmente, ma rimane un perno insostituibile per Genoa e Nazionale con la quale disputerà l’ultima partita il 22 marzo 1925 a Torino con la Francia (vittoria per 7-0). Col Genoa rimane sino al 1929. In rossoblu disputa 286 match e realizza 40 reti, sempre ad altissimi livelli di rendimento. Nella massima serie sono ben 333 le sue presenze, con 44 reti ai quali vanno aggiunte le 43 partite in Nazionale, 3 Campionati e 3 partecipazioni ai Giochi: un palmares che parla da solo. Chiusa l’attività agonistica nel 1929, De Vecchi si cala nel ruolo di allenatore del suo amato Genoa, diventato intanto “Genova 1893” per volontà del regime fascista e la sua mania di italianizzare i termini stranieri. Sulla panchina dei grifoni De Vecchi coglie due secondi posti (1927-28 e 1929-30), poi passa nel Rapallo e quindi torna al Genoa, precipitato in “serie B”, nel 1934-35, per riportarlo nella massima serie. Infine si dedica al giornalismo: nel 1939 è autore, insieme a Leone Boccali, della prima edizione della famosa “Enciclopedia Illustrata del Calcio Italiano”, fondamentale annuario storico-statistico.
[1] La maglia della nostra Nazionale è tuttavia ancora bianca