CHECCACCI Mario
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Livorno 29.04.1909 / Livorno 04.01.1990
1936. Canottaggio. MEDAGLIA D’ARGENTO “otto con”
Voga con l’UC Livornesi i cui canottieri sono bonariamente etichettati come “scarronzoni”. Guadagnano questo soprannome nella loro prima vittoria di buon livello, il titolo toscano di “yole a otto” ottenuto nel giugno 1928 sul Lago di Massaciuccoli. Il vocabolo deriva dal vernacolo livornese, dal verbo “scarrocciare” ovvero deviare dalla rotta, riferito soprattutto alle barche a vela, soggette ai colpi di vento. Gli scarronzoni canottieri scarrocciano non a causa del vento, ma per la loro tecnica, piuttosto approssimativa e grezza, costruita solo sulla forza, una voga d’impeto quasi bestiale, che deriva dal loro modo di essere e sentire la vita. In effetti a bordo vi sono tipi rudi, dalle maniere forti, che non temono la fatica del duro lavoro: molti difatti sono risiatori, sommariamente definiti come scaricatori di porto. Per la precisione si tratta degli equipaggi di gozzi a dieci remi che a Livorno quando il mare è mosso ed impedisce alle navi di entrare in porto, rimorchiano l’imbarcazione fino al molo, trascinandola con la sola forza delle braccia. Abituati e temprati a simili incarichi, per gli scarronzoni è facile far diventare redditizia in un armo per canottieri la loro remata tanto vigorosa. Checcacci si cala perfettamente in questo contesto e, dopo la gavetta su vari armi, nel 1936 viene inserito sul già mitico “otto” (che a Los Angeles nel 1932 ha ottenuto uno splendido argento). L’esordio è ottimale: il 7 giugno nella prima preolimpica, disputata all’Idroscalo di Milano, i livornesi dominano, con 6” di margine sull’Intra. Si ripetono il 19 luglio nella decisiva selezione di Pallanza, con 3” sull’Aniene: il viaggio a Berlino è garantito. Dopo un breve collegiale nella stessa Pallanza, si parte, in treno, il 27 luglio da Verona.
Le prove olimpiche di canottaggio si svolgono sul campo di regata di Grunau, sul fiume Dahme, nella periferia sud-orientale di Berlino. Nell’otto partecipano 14 nazioni. Il 12 agosto, nel primo turno, gli azzurri chiudono secondi alle spalle dell’Ungheria, col distacco di un secondo e mezzo: gara comunque di buon livello. Superano difatti Canada, Australia e Brasile, ma non basta. Difatti accedono direttamente alla finale solo i vincitori. Dunque il giorno seguente i nove sono chiamati ai “recuperi” che poi rappresentano una sorta di semifinale dove i livornesi trionfano a mani basse davanti a Giappone, Jugoslavia e Brasile. Il 14 agosto si disputa la finale ed è un’emozione continua: i nostri partono bene e lottano punta a punta con la Germania (che ha mezzo equipaggio stanco per aver gareggiato nelle finali precedenti), ma nel finale emergono gli USA che castigano tutti. Per gli azzurri è un altro argento alle spalle degli americani, staccati di mezzo secondo e davanti di misura alla Germania. Seguono Gran Bretagna, Ungheria e Svizzera. Un’altra gara bellissima, coi nostri grandi protagonisti anche se l’oro è di nuovo sfuggito per poco. I nove insistono ed il 20 settembre all’Idroscalo di Milano colgono un altro titolo italiano, con 3” di margine su Intra. Checcacci si conferma con gli scarronzoni nel 1937 quando guadagna Campionato italiano ed europeo, ad Amsterdam. Poi, alla soglia dei trent’anni, abbandona il suo posto nell’armo e non ottiene più vittorie importanti anche se il ciclo labronico in pratica finisce col successo ai tricolori del 1941.