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CAVALLOTTI Giuseppe

cavallotti grande

Della sua attività ciclistica da adolescente non si hanno notizie sicure. Nel 1914 gareggia tra i dilettanti, ma non ottiene risultati rilevanti. La guerra interrompe tutto: Cavallotti è al fronte, in fanteria, viene ferito ad un occhio (che gli darà sempre qualche problema di vista), congedato e riformato. Riprende a correre in bicicletta: nel 1917 è secondo nella prestigiosa “Milano-Marcolina” alle spalle di Colombo. Le sue caratteristiche però non gli consentono di primeggiare su strada: molto veloce e possente, ha difficoltà in salita. Si dedica quindi alla pista, frequentando in particolare il Velodromo Sempione a Milano che, negli anni di guerra, diventa il fulcro del movimento ciclistico italiano. Su quell’anello nel 1917 Cavallotti è secondo nel prestigioso “GP UVI” di Velocità, battuto dal giovane Mario Bergamini[1]. Ritenta anche l’avventura su strada, ma non va oltre il quarto posto nella “Milano-Varese-Milano” del 21 ottobre che arriva proprio al “Sempione”. Nel 1918 si vede raramente, gareggia soprattutto su pista ma è spesso nelle posizioni di rincalzo. Migliora, e non poco, l’anno seguente quando è grande protagonista al “Sempione”, rivaleggiando con Rizzetto che lo costringe tuttavia più volte alla resa. Cavallotti comunque è sempre più smaliziato ed anche se ha già 27 anni, non sembra aver ancora raggiunto l’acme della sua carriera. Difatti ai tricolori di Velocità, svoltisi al “Sempione” il 6-7 settembre, vince bene la batteria, ma è battuto in semifinale dal semisconosciuto Astori. Vince però l’eliminazione, gara di contorno.

Si ripresenta nel 1920, aspirando ai Giochi. Ha di fronte avversari tosti e teoricamente a lui superiori come il tricolore Rizzetto ed il veronese Martinelli che lo battono a più riprese, al “Sempione” come all’inaugurazione del nuovo Velodromo di Bologna. Cavallotti in effetti vince poco o niente: il 13 maggio è battuto nel capoluogo felsineo dallo sconosciuto Pavoni nella corsa a punti e tre giorni dopo, al “Sempione”, è terzo nello scratch e secondo nell’individuale, superato stavolta dall’emergente Giorgetti che lo batte pure il 27 maggio sulla stessa pista meneghina in un altro scratch. Comunque è sempre tra i migliori e scalpita per un posto ai Giochi. Al “Sempione”, poco a poco, conquista il suo spazio: il 3 giugno, finalmente, vince una gara, un handicap e 15 giorni dopo si ripete, battendo pure il tricolore Rizzetto, ma in un’eliminazione. L’11 luglio guadagna di nuovo lo scratch. Quattro giorni dopo, lo raggiunge la bella notizia del suo inserimento nella lista degli azzurri per i Giochi di Anversa, relativamente alla velocità. Un premio forse superiore alle sue reali potenzialità, ma l’apposita Commissione Tecnica, guidata dal Presidente dell’UVI Davidson, probabilmente s’è lasciata condizionare anche da criteri geopolitici in cui il “Sempione”, e chi vi ha brillato, l’ha fatta da padrone. Cavallotti così è tra gli azzurri radunati per un breve collegiale a Torino, sotto la guida del CT Pavesi: il ritiro serve soprattutto a scegliere i ruoli per ciascun corridore e poi, in treno, via Modane e Parigi, la comitiva raggiunge Anversa.

Le prove ciclistiche olimpiche si svolgono al Garden City Velodroom di Wilrijk, sobborgo a sud di Anversa, su una pista in cemento di 400 m. La gara di velocità è la prima a svolgersi del programma ed inizia il 9 agosto. Partecipano 37 ciclisti di 11 nazioni. Nella sua batteria Cavallotti finisce terzo su tre, rialzato e ben lontano dai primi due, il sudafricano Walker ed il francese Paillard che passano entrambi il turno. Cavallotti esce così subito di scena, interpretando una partecipazione olimpica che certo non lascia il segno. Così come non lascerà segni importanti il prosieguo della sua carriera. Dopo essere stato superato da Rizzetto il 5 settembre a Bologna nei tricolori e non aver superato il secondo turno ai Mondiali, Cavallotti passa professionista. Tenta l’avventura su strada, ma gli va male: il 23° posto alla “Sanremo” del 1921 è l’unico suo risultato apprezzabile. Continua a dedicarsi alla pista e guadagna due volte il gradino più basso del podio nei tricolori di Velocità tra i professionisti “juniores” (1923 e 1924), ma oltre non va. Nel 1926 appende definitivamente la bicicletta al chiodo. Impiegato della nota fabbrica di moto “Gilera”, proprio la moto gli è fatale: il 2 settembre 1939 a Monza ha un terribile incidente. Portato d’urgenza all’ospedale, gli viene amputata una gamba e si tenta di salvarlo con una complicata operazione chirurgica. Niente da fare: se ne va a soli 46 anni.


[1] Nato a Papozze (RO) il 23.01.1900. Tra i migliori pistard italiani degli anni ’20, vince due titoli italiani di Velocità Professionisti (1928 e 1930) e partecipa a 5 edizioni dei Mondiali senza però ottenere risultati rilevanti