BERAUDO DI PRALORMO Emanuele
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Pralormo (TO) 13.07.1887 / Pralormo (TO) 11.10.1960
1924. Equitazione. MEDAGLIA DI BRONZO Concorso Completo a Squadre, Ritirato Concorso ad Ostacoli Individuale
Conte. Appartenente ad una nota famiglia nobile piemontese, di origine provenzale[1], che sin dal XVII secolo ha fornito al Regno di Sardegna una serie di funzionari importanti tra cui anche ambasciatori e ministri. Nato nello splendido castello di famiglia[2], intraprende presto la carriera militare, nel 1907 diventa sottotenente di Cavalleria ed entra nella Scuola di Pinerolo come istruttore dei sottufficiali e, poi, degli ufficiali. Dimostra ottime doti in sella, denotando spesso grande intesa col cavallo e diventando un grande interprete del “sistema naturale[3]”, con un assetto ai limiti della perfezione anche estetica. Gareggia anche in vari concorsi e pure nel “Campionato del Cavallo d’Arme”, antesignano del “completo”. Nominato quindi tenente nei Lancieri di Vercelli, combatte nella Prima Guerra Mondiale, dapprima presso il Comando Generale e poi in prima linea con le divisioni di fanteria. A conflitto bellico terminato, col grado di Capitano, riprende a gareggiare, sia pure saltuariamente perchè alla carriera sportiva preferisce di gran lunga quella militare. Peccato perchè, a detta dei tecnici, con una maggiore applicazione avrebbe potuto ottenere risultati ancora più eclatanti. In ogni caso quando scende in gara, è spesso tra i migliori, anche nella prestigiosa cornice di Nizza, in quel tempo pascolcenico privilegiato dello sport equestre. Nel 1923 Beraudo entra a far parte del reggimento Savoia Cavalleria e rimane uno dei nostri migliori cavalieri. Non sorprende dunque che il colonnello Starita, CT della nostra Nazionale, lo inserisca nella lista per i Giochi di Parigi. Beraudo esordisce nel cosidetto “Campionato Equestre” o “evento dei tre giorni”: oggi si direbbe “concorso completo”. In effetti si tratta di una competizione molto articolata che si sviluppa su tre giorni e tre gare: dressage (allo stadio di Colombes), cross-country (con steeple-chase e galoppo tra Bois de Boulogne e Villacoublay) e salto (di nuovo a Colombes). Partecipano 44 cavalieri di 13 nazioni. Beraudo, su Mount Felix, scende in campo il 21 e 22 luglio nel dressage, ma non va troppo bene e chiude solo 32°. Niente di seriamente compromesso, comunque, perchè il cross-country fornisce in pratica il 70% del punteggio complessivo. Questa prova, disputata il 24 luglio, con partenza alle 5 di mattina, si rivela alquanto caotica, con errori di cronometraggio, cadute, incidenti vari. La competizione inoltre è veramente complessa e difficile, prevedendo marce in campagna, un vero e proprio steeple-chase all’Ippodromo di Auteuil, cross e galoppo. Solo due concorrenti su 45 terminano nel tempo-limite stabilito. Beraudo si difende, ottenendo un discreto 19° posto anche se il distacco dai primi è divenuto pesante e praticamente irrecuperabile. Due giorni dopo, il 26 luglio, ultima prova, il salto. E qui gli italiani dimostrano che la nostra scuola teme pochi confronti: Beraudo è buon settimo mentre Alvisi addirittura vince e Lombardi finisce quinto.
Questa grande prova di squadra sugli ostacoli permette ai nostri di risalire numerose posizioni nella generale dove Beraudo termina 17°, ma ben lontano dal podio: ottiene difatti 1404 punti contro i 1845 del bronzo, lo statunitense Doak. L’oro va all’olandese Van der Voort van Zijp che precede il danese Kirkebjerg. Gli altri azzurri chiudono 11° (Lombardi) e 12° (Alvisi) mentre Lequio s’è ritirato nella prova di cross-country. Tutto questo però, fatti i conti, permette all’Italia, che totalizza 4512,5 punti, di guadagnare un bel bronzo nella prova a squadre dietro all’Olanda (5297,5) ed alla Svezia (4743,5). Una bella conferma per il nostro movimento equestre, con un Beraudo all’altezza della situazione anche se alla fine è risultato il peggiore dei nostri. Il giorno seguente, il 27 luglio, Beraudo ci riprova nel concorso ad ostacoli che si svolge nello stadio di Colombes. Partecipano 43 cavalieri di 11 nazioni. Il percorso di gara si rivela molto ostico e difficile al punto che nessuno ottiene il “netto”. Beraudo gareggia in sella a Sido ma addirittura si ritira, non terminando la prova, e non è il solo su un tracciato veramente selettivo. L’oro va allo svizzero Gemuseus, in sella a Lucette, davanti al sempre grande Lequio, su Trebecco, mentre il bronzo è del polacco Krolikiewicz. Lontani gli altri azzurri: 15° Valle e 26° Alvisi. Ciò compromette per i nostri la classifica a squadre: chiudono solo quinti, con 57,5 punti, sopravanzati nell’ordine da Svezia, Svizzera, Portogallo (53 punti) e Belgio (57). Bastava poco di più per ottenere il bronzo: un brusco passo indietro per i nostri in una specialità che il nostro movimento ha contribuito molto a sviluppare sotto il lato tecnico. Dunque una partecipazione olimpica double face per Beraudo: un bel bronzo nel completo, fallimento totale negli ostacoli. Tutt’altro che fallimentare, anzi esaltante, la sua carriera militare: dopo i Giochi, difatti Beraudo sostanzialmente abbandona i campi di gara per quelli bellici. Nominato tenente colonnello nel 1927, diventa “addetto militare” a Parigi dove rimane fino al 1934, dilettandosi spesso a cavalcare. Divenuto Generale di Brigata, gli viene affidato il comando di una divisione di fanteria in Africa Orientale Italiana, in particolare in Etiopia dove si ricopre d’onore, guadagnando una Medaglia d’Oro al Valor Militare nel 1941. Catturato dagli Inlgesi, è prigioniero in Kenya ed India. Dopo l’8 settembre 1943 rientra in Italia e, fedele al Re come da tradizione familiare e sabauda, fa parte del gruppo “Piceno”, uno dei pochi reparti italiani autorizzati a combattere al fianco degli Alleati durante la lenta risalita della penisola. Dopo la guerra è presidente della Corte Militare di Roma, poi si ritira a vita privata nel suo castello. Per tutto quanto sopra descritto, il conte Emanuele Beraudo di Pralormo rappresenta quindi una delle personalità più eminenti nella prima metà del XX secolo in relazione sia al campo sportivo che militare.
[1] Per la precisione della zona di Barcelonnette
[2] Abitato ancora oggi dai suoi discendenti
[3] Metodo ideato e messo in pratica dal livornese Federico Caprilli, una vera e propria rivoluzione copernicana per l’equitazione, in base alla quale al centro si pone il cavallo, col cavaliere che deve assecondarne i movimenti in maniera appunto “naturale”, senza forzarne l’azione ma, al contrario, lasciandolo libero di esprimersi, quasi “accompagnandolo e sentendone lo spirito”, con armonia ed empatia