BAROZZI Umberto
-
Ivrea (TO) 13.08.1881 / Novara 13.07.1929
1908. Atletica Leggera. Eliminato Primo Turno 100 m e 200 m
Nato ad Ivrea ma trasferitosi presto con la famiglia a Novara, dove già a 10 anni si iscrive alla “Ginnastica e Scherma”, praticando diversi esercizi ginnici e provando un po’ tutti gli sport fin da adolescente. Alla soglia dei vent’anni gioca anche a football, come si diceva allora, nella “Forza e Speranza”, l’altra grande società sportiva novarese dell’epoca. Pratica anche i lanci e nel 1905, quasi per gioco e dopo aver iniziato a correre durante il servizio militare, gareggia nella velocità e vi trova terreno fertile. Potente fisicamente (1.75m x 75kg, 110cm di torace) al punto da avere un’andatura scomposta e non sempre elegante, gran fumatore di sigari, nel 1905 viene battuto, di poco, sui 100 dal forte Tarella mentre l’altro grande asso della velocità, Torretta, lo vede e ne intuisce le qualità, consigliandolo ripetutamente. Barozzi, nonostante abbia già 25 anni, un’età avanzata per uno sprinter, si applica con puntiglio e, come allenamento, corre dietro il suo cane, un setter: quando lo raggiunge, capisce di essere sulla buona strada. Alternando gli allenamenti al suo lavoro di usciere in Tribunale, dimenticando il suo pseudonimo di... “Piano”, “esplode” letteralmente già l’anno seguente, nel 1906 quando, sui 100, vince diverse prove nei vari meetings (tra cui quello organizzato dallo SC Milano), il Campionato Piemontese e, soprattutto, il titolo nazionale sia per l’UPI che la FPI, le due principali entità federali del tempo, superando sempre Tarella per il quale diventa una sorta di “bestia nera” (viene battuto anche nei Campionati Federali della FGNI a Vigevano). In quell’anno Barozzi vince pure i 100 nell’importante meeting di Pasqua a Vigentino e stabilisce i primati italiani su 100, con 11”0, e 200, con 23”1. Prova anche la distanza più lunga dei 400, ma si trova la strada sbarrata dal grande Lunghi come ai tricolori UPI di Torino, dove chiude al terzo posto. Si fa notare anche per il vezzo di correre portando in mano due manopole di sughero[1].
In quel magico 1906 Barozzi vince anche la prestigiosa prova sui 100 all’Esposizione Internazionale di Milano, davanti a Re e Regina che lo premiano. E’ ormai una star consacrata, almeno a livello nazionale e tutto questo dopo appena due anni di attività seria. Le promesse sono mantenute: nel 1907 Barozzi vince i 100 nel meeting pasquale milanese ed il mese seguente batte Torretta nella finale dei 100 al grande Concorso Ginnico annuale, tenutosi a Venezia. Continua poi a maramaldeggiare, soprattutto in Piemonte: in una riunione a Torino domina 100, 400 e addirittura pure lancio del disco. Vittorioso anche a Parma sui 100, e sui 350 a Como (dove supera agevolmente Brambilla), appare quasi scontata la doppietta che centra ai tricolori di novembre, sugli stessi 100 e 400, sempre davanti a Tarella. Sulla distanza più breve è pure “campione piemontese”. Nessuno può togliergli la palma di miglior velocista italiano, confermata ai tricolori del 1908, che valgono pure come selezione olimpica: coglie la tripletta sui 100 e, dopo altre due vittorie, sui 200 a Novara (nel tempo strepitoso di 23”1/5) e sui 100 ad Alessandria, si presenta con buone credenziali a Londra.
Il suo sogno olimpico però svanisce presto, complice anche un viaggio disagevole, terminato solo il giorno prima delle gare (!) ed una ferita ad un piede dovuta all’aver incautamente provato, poche ore prima della discesa in pista, un paio di scarpe nuove, con i chiodi (mai visti prima). Il 20 luglio, nella gara dei 100, cui partecipano 60 atleti di 16 nazioni, nel nuovissimo stadio di White City, finisce 4° su 5 nella sua batteria (vinta dal britannico Duncan) e viene eliminato. Analoga sorte sui 200 il giorno seguente: stavolta la sfida è a due e passa il turno solo il primo arrivato. Barozzi, dopo una partenza fin troppo veloce, viene superato e nettamente battuto dallo statunitense Cloughen, poi argento, chiudendo col tempo di 24”1, a 5 metri dal vincitore. La brutta parentesi olimpica non lo frena: pochi giorni dopo vince i 200 in una manifestazione internazionale a Losanna e coglie altri allori tra cui il Campionato Piemontese dei 100 e 400, grazie anche proprio alle scarpette chiodate (una rarità in Italia) reperite a Londra e che ha imparato a gestire. Nel 1909, nonostante a gennaio manifesti propositi di ritiro, non lascia, anzi raddoppia: ottiene difatti altri due primati nazionali, nei 400 (con 51”2/5) e addirittura, tornando alla sua antica passione, nel giavellotto, con 45,00m, lanciando l’attrezzo, come si è soliti in quel periodo, dalla “coda” e non dalla metà. Inoltre Barozzi eguaglia il suo record di 11” sui 100, all’Ippodromo di Torino dove, nella stessa giornata, vince anche i 400 davanti a Cartesegna. E’ primo anche nella prova di velocità nel prestigioso concorso ginnico di Losanna. Il matrimonio e l’avvicinarsi della fatidica soglia dei 30 anni ne minano i risultati, ma rimane sulla breccia: nel 1910 accetta la sfida provocatoriamente lanciata, sui 240m, dal nuovo astro italiano della velocità, il bolognese Giongo che viene battuto, non riuscendo a recuperare i 10 metri di vantaggio concessi a Barozzi il quale continua a gareggiare tra alti e bassi.
Nel 1911 vince i 100 all’Esposizione Universale di Torino e, a fine stagione, nel meeting di Pavia, ma ha ormai iniziato la sua parabola discendente. Nel 1912 diserta i tricolori, rinunciando in pratica ad un altro sogno olimpico: lo stesso giorno in cui si disputano i Campionati, il 19 maggio, vince una prova sui 100 ad Alessandria e si ripete quindici giorni dopo a Valenza, poi il 18 agosto è primo a S. Angelo Lomellina. A livello locale può ancora imporsi, su scala nazionale no. La Prima Guerra Mondiale fa il resto: arruolato nei Carabinieri, trova il tempo di gareggiare in alcune prove riservate ai militari e nel 1919, a 38 anni suonati, si ripresenta in pista e rivince prove sia sui 100 (a Stresa e Pallanza) che sui 200 (ai Campionati Piemontesi). Si segnala anche ai tricolori: vince batteria e semifinale, ma un infortunio lo blocca in finale. Nel 1920 guadagna il titolo regionale a Torino e l’anno seguente corre nuovamente in 11”, ritornando campione piemontese di 100, 200 e staffetta, successo quest’ultimo conseguito anche nel 1922 ancora col GS Novara. Nel 1923, a Torino, vince di nuovo il titolo regionale sui 100, battendo pure l’emergente Facelli. E’ l’ultimo suo risultato significativo e torna definitivamente al suo lavoro di usciere. Ogni tanto però gli prende la nostalgia delle corse e compie qualche capatina in pista: nel 1928 a Savona, a 47 anni suonati, coglie l’ultimo successo sui 100, in una prova ovviamente di secondo piano. Nel 1929 ha un malore e gli viene diagnosticata un’encefalite letargica, provocata da un grumo di sangue nel cervello, retaggio probabile di una vecchia caduta da cavallo dei tempi bellici. Non ce la fa a vincere la sua ultima sfida: muore prematuramente, a 48 anni non ancora compiuti. La sua Novara lo ha ricordato intitolandogli una strada, nella zona degli impianti sportivi.
[1] Stratagemma adottato da vari podisti anche all’estero e sulla cui utilità, ancora oggi, si discute. Per i velocisti questo accorgimento pare sia valido per scaricare la tensione muscolare