Vittoria sofferta dopo un anno difficile: Rossi e Bonomi conquistano l’oro nel K2 1000
Le anime forti sono quelle temprate dalla sofferenza. Parole indimenticabili quelle del poeta Khalil Gibran, che calzano a pennello con l’impresa della canoa azzurra in quell’indimenticabile 30 settembre del 2000. Antonio Rossi e Beniamino Bonomi conquistarono l’oro nel K2 1000 metri al termine di una gara perfetta e condotta in maniera sublime. Il lecchese Rossi e il verbanese Bonomi, però, prima di raggiungere l’olimpo dello sport dovettero fare i conti con un periodo particolarmente tribolato. Rossi, reduce dal successo di quattro anni prima ad Atlanta, si ritrovò senza il compagno Daniele Scarpa.
Nella stagione successiva, insieme a Luca Negri, formò un equipaggio che sembrava in grado di proseguire la striscia di successi, grazie alle vittorie iridate di Dartmouth e Szeged. Nel 1999, invece, con i Mondiali in Italia, a Milano, il sodalizio si ruppe e Rossi si trovò ancora una volta a dover ripartire. Ad un anno circa dai Giochi della XXVII Olimpiade di Sydney, il nuovo compagno era quindi Beniamino Bonomi, due volte argento nel K1 1000 metri e nel K2 500 metri ad Atlanta.
Nel maggio del 2000 affrontarono la prima vera gara a Szeged, ma il risultato fu scoraggiante: terminarono a cinque secondi dai magiari Krisztián Bártfai e Krisztián Veréb. Il Commissario Tecnico Oreste Perri - campione del mondo nel 1975 nel K1 a Belgrado, primo occidentale a battere i campioni dell’Est - cercò di tranquillizzarli: “Abbiate pazienza, ce la faremo. Siete in gamba, non mollate”. I due atleti delle Fiamme Gialle lavorarono sodo, con grande spirito di sacrificio, anche se fino a quel momento non erano riusciti ad aggiudicarsi una gara di alto livello.
L’esordio olimpico era fissato per il 26 settembre all’International Regatta Centre di Penrith. Diciotto gli equipaggi in gara, che al primo turno vennero suddivisi in due batterie da nove l’una. I primi tre di ognuna si qualificavano direttamente per la finale, mentre, i rimanenti nove, disputavano un ripescaggio che qualificava i primi tre. Nella prima batteria Rossi e Bonomi partirono subito alla grande conquistando il pass per la finale in 3’14”316, davanti alla Svezia e ai campioni del mondo della Slovacchia. Nell’altra batteria l’Ungheria vinse con il miglior tempo assoluto (3’13”677), su Germania e Francia. Dal ripescaggio, quindi, si qualificarono Russia, Norvegia e Polonia.
Quattro giorni dopo fu la volta della finale, mentre la tensione iniziava ad attraversare i muscoli e la mente degli azzurri, che si presentarono ai blocchi di partenza con la giusta carica. Fu un dominio assoluto, una prova di grande superiorità. Ai 250 metri erano già al comando davanti alla Russia, alla Svezia e alla Germania; mentre, a metà gara il vantaggio aumentò, con gli svedesi che superarono i russi. Gli azzurri con un’imbarcazione di vantaggio, potevano solo perdere la medaglia d’oro. Ma non si accontentarono, alzarono il ritmo, senza lasciare nessuna possibilità agli avversari che si dovettero accontentare dei gradini più bassi del podio.
Gli svedesi Henrik Nilsson e Markus Oscarsson si aggiudicarono l’argento, mentre gli ungheresi, che misero a segno un parziale strepitoso, vinsero la medaglia di bronzo. Quattro mesi dopo la bruciante sconfitta con il duo Bártfai-Veréb, Rossi e Bonomi si presero una clamorosa rivincita staccando gli avversari di quasi due secondi.
Il Bell’Antonio - che negli anni successivi intraprenderà la carriera politica in Regione Lombardia, dopo essere stato membro della Giunta CONI - festeggiò così il suo secondo titolo consecutivo, a differenza di Bebo che realizzò finalmente il suo sogno olimpico.
“L’ultimo anno è stato un mezzo disastro, eravamo giù di morale, i risultati non arrivavano. Questa è una vittoria che parte da lontano, una vittoria sofferta”, chiosò Rossi dopo il trionfo. La storia di quell’incredibile vittoria delle anime forti.