La Scuola dello Sport guarda a Tokyo 2020. Malagò: "prepariamo le risorse professionali per il domani"
La Scuola dello Sport del CONI guarda al futuro. Tagliato il traguardo dei 50 anni di storia, l’Istituzione che ha dato lustro al movimento sportivo italiano, pensa già al domani e conclude la settimana di iniziative e appuntamenti programmati per festeggiare la ricorrenza, pronta ad affrontare le nuove sfide che l’attendono. Il simposio conclusivo è stato intitolato proprio ai prossimi obiettivi: “Verso Tokyo 2020 le nuove sfide nell’allenamento e le performances di alto livello: metodologie, ricerche e innovazioni scientifiche”, organizzato al Centro di Preparazione Olimpica "Giulio Onesti" in collaborazione con la Società Italiana delle Scienze Motorie e Sportive (foto Mezzelani/GMT).
“E’ un altro appuntamento che integra questa ricorrenza dei 50 anni della Scuola dello Sport, un’eccellenza del nostro mondo – ha sottolineato il Presidente del CONI, Giovanni Malagò aprendo i lavori assieme al Segretario Generale Roberto Fabbricini, al Vice Segretario, Carlo Mornati, al presidente della CONI Servizi, Franco Chimenti, al membro CIO Mario Pescante e al Presidente SISMES, Pasqualina Buono e il professor Antonio La Torre -. Qui oggi c’è una fortissima identificazione con i nostri stakeholder, i nostri rappresentanti. Dobbiamo seminare e preparare le risorse professionali per il domani. Ne abbiamo bisogno oggi, non è soltanto un problema generazionale. Non è detto che se sei stato un grande atleta, sarai necessariamente un buon dirigente sportivo. Non accade in automatico, perché sappiamo che oggi vivi più con gli aspetti amministrativi e gestionali piuttosto se, per esempio, conosci cosa sia la massa magra o un certo tipo di allenamento. Non si deve confondere il ruolo tra tecnico e dirigente. Ma questo è il vero traguardo dello sport in assoluto e dei nostri atleti. Siamo messi bene, abbiamo una bella base e, salvo quelle eccezioni che confermano la regola, un’eccellente credibilità internazionale grazie a persone come Mario Pescante che hanno preparato un buon terreno che va arato di nuovo, riseminato e da cui vanno raccolti i frutti. Il CONI sarà sempre al vostro fianco, siamo felici di investire sulla progettualità”.
“Come siamo arrivati a questo CONI di cui siamo tutti orgogliosi? – ha esordito Pescante - Questa struttura è erede di quel momento meraviglioso che si è sviluppato dopo le Olimpiadi del 1960. L’entusiasmo di quelle giornate, la legacy che lasciò ha fatto sì che lo sport italiano si è trasformato. L’Istituto di Medicina, prima della Scuola, fu la prima iniziativa al mondo di una struttura scientifica al servizio dello sport. Era un modello, qui sono passati allievi di ogni Paese. Poi tre anni dopo, si sviluppò l’idea della Scuola dello Sport: costruita perché erano avanzati tanti mattoni delle Olimpiadi da tre straordinari ingegneri che la realizzarono in stretta economia. E questi ingegneri girarono il mondo, incaricati dal CIO, per spiegare come in economia si potesse realizzare una cosa simile. Fu l’epoca poi dei centri sportivi. È passato mezzo secolo, ma questa resta l’immagine di come il CONI abbia saputo costruire una struttura ammirata in tutto il mondo”.
Numerosi gli interventi che si sono succeduti: Antonio La Torre, professore associato Metodi e didattica delle Attività Sportive presso l’Università degli Studi di Milano e docente SdS di Metodologia dell’Allenamento Sportivo, ha introdotto il workshop “Ricerca e Performance: spunti e piste di lavoro futuro”; Nicola Maffiuletti, direttore del Laboratorio di ricerca neuromuscolare Schulthess Clinic di Zurigo si è occupato del tema “I fattori neuromuscolari: è questa la frontiera dell’allenamento della forza?”; “Energy saving e Brain training per ottimizzare le prestazioni di endurance” è stato l’argomento affrontato da Federico Schena, professore ordinario di Scienze dello Sport dell’Università di Verona; Antonio Paoli, professore associato di Scienze Motorie e collaboratore del centro di ricerca sulla cellula muscolare dell’Università di Padova ha trattato il tema “Nutrizione, prestazione agonistica & recupero”; Claudio Robazza, professore associato presso l’Università “d’Annunzio” di Chieti-Pescara, direttore della Scuola Regionale dello Sport d’Abruzzo e docente della Scuola dello Sport del CONI, ha parlato, invece, di “una mente senza limiti?”; Pasqualina Buono si è occupata di “Genomica & performance sportiva: teorie e ricadute sportive”, mentre Marco Cardinale, Head of Sports Physiology Aspire Academy, ha discusso delle “Innovazioni tecnologiche e prestazioni sportive: un approccio evidence based”.
È stato, invece, il Segretario Fabbricini, insieme a Claudio Gallozzi,responsabile del dipartimento Scienza dello Sport dell’Istituto Medicina e Scienza dello Sport, ha ricordare la figura di Marcello Faina, scomparso nel 2012 e già direttore del dipartimento Scienza dello Sport. “E’ stato un personaggio particolare che ha fatto un lavoro, con la sua competenza, la sua profonda conoscenza del mondo dello sport e la sua fame di conoscere, fondamentale. È stato uno studioso con una dedizione completa, che ha lavorato a tempo pieno per lo sport italiano”, è stato il suo pensiero.
Mornati, capo missione ai Giochi di Rio 2016 - intervenuto insieme a Matteo Varnier, tecnico della coppia d'argento del beach volley Lupo-Nicolai, al ct della pallanuoto bronzo a Rio, Sandro Campagna e a Francesco Cattaneo, coordinatore della squadra azzurra del canottaggio che in Brasile ha vinto due bronzi - ha tracciato un bilancio dell’Olimpiade brasiliana, con uno sguardo volto al futuro e a Tokyo 2020. “E’ stata un’olimpiade vissuta molto intensamente - ha spiegato, sottolineando il lavoro di programmazione svolto per affrontare al meglio i primi Giochi sudamericani -. I numeri parlano da soli: abbiamo avuto 314 ragazzi, una spedizione molto ampia, dal punto di vista qualitativo 69 ragazzi sono andati sul podio. Abbiamo un centinaio di ragazzi nel Club Olimpico, un terzo di quelli che sono andati a Rio sono arrivati nei primi quattro. Un aspetto non trascurabile poi è quello legato all’età. Il cambio generazionale forse lo abbiamo sfruttato al meglio: quelle di Rio sono le più giovani medaglie d’oro della storia dopo Los Angeles. Un aspetto da non sottovalutare, inoltre, è che siamo arrivati verso una specializzazione naturale: sono state otto le federazioni che hanno preso una medaglia contro le quattordici di Londra. Anche se questa specializzazione è stata quasi non voluta, perché il CONI guarda lo sport a 360°. Dovremmo pensare a una programmazione a 7 anni? L’ideale sarebbe lavorare sulla base di un doppio quadriennio. E poi, possiamo avere tutta la tecnologia del mondo, ma se non ci sono gli atleti. Se sport evoluti come il calcio fanno fatica… bisogna fare un’analisi e capire quali sono le specialità in cui possiamo investire”.
La conclusione dei lavori è stata affidata a Rossana Ciuffetti, direttore della Scuola dello Sport: “si conclude così una settimana di convegni, i risultati si ottengono per piccolissimi dettagli. Noi abbiamo la necessità di essere un supporto per tutti gli staff tecnici per consentire di ottenere tutti i risultati che lo sport italiano merita”. “La nostra presenza qui è motivo di orgoglio per noi - ha aggiunto il Presidente SISMES, Buono -, spero che si possa saldare un rapporto di collaborazione scientifica che possa essere importante per lo sport”. “Lo sforzo che dobbiamo fare tutti è quello di fare squadra – l’auspicio di Fabbricini -. Con le difficoltà che incontriamo nel quotidiano è l’unico modo. Siamo concentrati tutti allo stesso modo su qualunque forza riguardi i nostri giovani e promuova l’organizzazione di momenti di acculturamento maggiore”.