Il vento non ferma Josefa Idem a trentasei anni domina la finale del K1 500
Giornata pazzesca quel 1° ottobre del 2000. Colpi di scena a raffica, come il vento che soffiava ad oltre 50 chilometri all’ora, con onde minacciose che lambivano il Lago di Penrith. Il programma dei Giochi della XXVII Olimpiade prevedeva la disputa della finale femminile della canoa K1 500 metri, ma le condizioni meteo - con alcune barche che rotolavano e i teloni dei giudici che prendevano il volo - costrinsero gli organizzatori a posticipare la gara.
Quell’attesa divenne una vera e propria variabile impazzita: alcune atlete ne trassero vantaggio, mentre, altre, furono prese da un ulteriore senso d’ansia. Josefa Idem non voleva gareggiare, ma poi ci ripensò e quella giornata così tribolata divenne uno dei ricordi indelebili della sua straordinaria carriera sportiva. La trentaseienne originaria di Goch, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, regalò all’Italia il tredicesimo oro proprio a ridosso della cerimonia di chiusura dei Giochi australiani.
L’azzurra, alla sua quinta olimpiade (le prime due le aveva disputate sotto la bandiera della Germania Ovest, prima di diventare cittadina italiana nel 1992), si era aggiudicata fino a quel momento due medaglie di bronzo: nel 1984 a Los Angeles nel K2 500 metri in coppia con Barbara Schüttpelz e nel 1996 ad Atlanta nel K1, a poco più di un anno dalla nascita del figlio Janek. Tra il 1997 e il 1999 conquistò ben nove medaglie iridate, tra cui l’oro del 1998 nel K1 1000 metri. Il sodalizio con il marito-allenatore Guglielmo Guerrini era di quelli vincenti, ma per arrivare in cima al podio olimpico la strada da percorrere fu lunga e tortuosa.
All’inizio del 2000, in piena preparazione, prima una bronchite, poi un virus ed ancora uno scompenso di vitamina B12, sembrarono minare le sicurezze dell’azzurra, cui si aggiunse il grande dubbio di poter veramente competere per la medaglia d’oro. L’avversaria numero uno era la canadese Caroline Brunet, vice campionessa olimpica uscente ed iridata nel 1997, 1998 e 1999. Un’atleta imbattibile, che sembrava aver già prenotato il gradino più alto del podio: “Tutti i mondiali vinti sono come i vestiti chiusi in un armadio, che potrò indossare soltanto insieme all’oro di Sydney”.
La Idem più di qualche volta si chiese se la canadese fosse veramente imbattibile o se lei stessa avesse raggiunto il suo limite. La risposta non tardò ad arrivare. Il 27 settembre fu la volta delle batterie di qualificazione. Diciassette atlete in gara, suddivise in due batterie. Le prime tre di ognuna si qualificavano direttamente per la finale, mentre, le altre nove, due giorni dopo, avrebbero disputato un ripescaggio che qualificava le prime tre.
Nella prima batteria la Brunet, con il tempo di 1’51”558, ebbe la meglio sulla svedese Anna Olsson e sulla polacca Elzbieta Urbanczyk. Nella seconda, invece, la Idem s’impose sulla campionessa olimpica uscente, l’ungherese Rita Kobán e sulla sudafricana Ruth Nortje, stabilendo il miglior tempo assoluto e migliorando di quasi due secondi quello della Brunet. Dal ripescaggio, poi, si qualificarono l’australiana Katrin Borchert, già campionessa del mondo nel 1989 e nel 1991; la serbo-montenegrina Natasa Douchev-Janics e l’austriaca Uschi Profanter.
Arrivò così il giorno della finale. Una giornata lunghissima, costellata da rinvii e lunghe attese, che minarono lo stato d’animo delle atlete. Alla fine, però, seppur con cinque ore di ritardo, i giudici decisero di far disputare la gara, in condizioni al limite del regolamento. L’azzurra si rese conto che il vento sarebbe stato frontale e le tribune vicine all’acqua avrebbero protetto chi gareggiava sotto riva. Valutazioni che si dimostrarono decisive.
La partenza fu lenta, con un numero di colpi non molto alto a causa del vento, ma ai cento metri era terza, preceduta solo dalla Douchev-Janics e dalla Brunet. In prossimità delle tribune, la svolta, con l’attacco decisivo che la portò in testa alla gara. Una progressione straordinaria, dalla forza veemente, che tramortì le avversarie. Fu un attimo, quello decisivo, che incoronò la Idem campionessa olimpica al termine di una gara che Giampiero Galeazzi definì: “stupenda, terribile, in condizioni atmosferiche impossibili”.
Nulla poterono la canadese Brunet e l’australiana Borchert rispettivamente medaglia d’argento e di bronzo. Una performance da leggenda, quella di Josefa Idem, che qualche anno più tardi - dopo l’esperienza in Consiglio Nazionale del CONI - ricordò in diverse interviste una volta diventata Ministro per le Pari Opportunità, lo Sport e le Politiche Giovanili.