Giovannetti è il primo azzurro a vincere l’oro. Sale il tricolore ma è un errore
Un cappellino che vola in cielo, un urlo di liberazione e la gioia che pervade lo sguardo dopo tre giorni di tensioni ed adrenalina allo stato puro. Luciano Giovannetti conquista la prima medaglia d’oro azzurra ai Giochi Olimpici di Mosca 1980 confermando la “regola dell’otto” nella fossa olimpica. Una tradizione iniziata da Galliano Rossini a Melbourne 1956, proseguita con Ennio Mattarelli a Tokyo 1964 ed Angelo Scalzone a Monaco 1972 e resa indimenticabile dalla prova superlativa dell’estroso 34enne di Bottegone nella XXII Olimpiade moderna.
Un cacciatore prestato al tiro, amava definirsi. Nel periodo di chiusura della stagione della caccia, infatti, si cimentò con le gare dimostrando di avere i numeri per poter competere. Una storia di passione e di talento, che lo vide emergere, a soli vent’anni, con la vittoria del Gran Premio Industrie di Piombino. Negli anni successivi fece incetta di titoli europei e mondiali, ma il grande sogno, come per tutti gli sportivi, era quello di conquistare il titolo olimpico.
A Mosca di presentò da outsider, i grandi favoriti erano il tedesco dell’est, Jörg Damme e il cecoslovacco Josef Hojny. Giovannetti, alla sua prima Olimpiade, voleva dimostrare di giocarsela con i più forti, che malgrado il boicottaggio, erano tutti ai nastri di partenza. Le gare ebbero inizio domenica 20 luglio, si sparava da cinque posizioni diverse su bersagli imprevedibili: 34 tiratori alla ricerca delle ambite medaglie. Nel bosco di betulle che avvolgeva il Mytischtschi, campo di tiro della Dynamo Mosca, l’azzurro si presentò dopo una notte insonne, causata da un’improvvisa infiammazione ad un dente. Una vigilia complicata, che ne poteva minare la concentrazione, ma che Giovannetti superò brillantemente con un esordio quasi perfetto: un solo errore nella prima serie da 75 colpi.
Il giorno successivo, in cui pioggia e sole facevano a gara nel dominare il cielo moscovita, fu protagonista di una prestazione magistrale: 75/75. Un risultato che gli valse il primo posto, con 149/150, davanti proprio a Damme e Hojny, appaiati a 148/150. A seguire i russi Yambulatov (147) e Asanov (146), lo spagnolo Vallduvi (145) e il compagno di squadra Silvano Basagni (145), già bronzo a Monaco 1972. Nella terza e decisiva giornata, martedì 22 luglio, erano in programma due serie da 25 piattelli.
Nella prima mise a segno un fenomenale 25/25, mentre, nella seconda, sbagliò il 17° piattello, chiudendo con 24/25. In tribuna il Presidente del CONI, Franco Carraro, il Capo Missione Mario Pescante e il Presidente della FIGC, Artemio Franchi, con una trentina di tifosi italiani, trattenevano il fiato. Dai campi adiacenti, però, arrivavano notizie confortanti: Damme e Hojny non andarono a bersaglio per ben due volte. Giovannetti non lo sapeva e continuò la sua marcia trionfale laureandosi campione olimpico con il punteggio di 198/200, davanti a Yambulatov e Damme, costretti poi allo spareggio per la piazza d’onore. Settimo Basagni con 194/200.
Era l’apoteosi e quel cappellino sbiadito, ma portafortuna, poteva essere lanciato in aria! Nel suo paese d’origine, in provincia di Pistoia, le campane della Chiesa di San Michele Arcangelo suonarono a festa. A pochi chilometri da Mosca, invece, nel corso della premiazione, si rischiò l’incidente diplomatico. Alcuni tifosi italiani convinsero l’addetto al cerimoniale ad issare il tricolore, che venne subito ammainato in fretta e furia, perché l’Italia, a causa del boicottaggio, gareggiava sotto la bandiera del CIO. L’Inno di Mameli, però, si alzò dalle tribune, dove un gruppo di tifosi cantò a squarcia gola, rendendo indimenticabile una giornata da incorniciare per lo sport italiano.