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ABBÀ Silvano

Rovigno 03.07.1911 / Izbushensky (Russia) 24.08.1942

  1. Pentathlon Moderno. MEDAGLIA DI BRONZO

Orfano di padre, deceduto nella Prima Guerra Mondiale combattendo per gli austriaci, studia con profitto e volontà fino ad arrivare all’Accademia Militare di Modena da dove esce col grado di sottotenente di Cavalleria. Frequenta quindi le due Scuole principali dell’epoca nel settore equestre-militare: Pinerolo e Tor di Quinto, dove si sono forgiati migliaia di ufficiali. Alla fine è destinato al 10° Reggimento Lancieri di Bologna: inizia dunque la carriera militare, venendo promosso presto Tenente. Nel frattempo è sempre stato attratto dallo sport: da adolescente è un buon canottiere tanto che il 16 settembre 1930 vince a Pola una gara di “yole a due”, con Rocco ed il timoniere Benussi. Le scuole militari gli permettono di apprendere, oltre all’equitazione, anche tiro (ovviamente) e scherma, allora molto praticata tra gli ufficiali. Nato in riva al mare, sa nuotare mentre correre a piedi non è un problema. Dunque è un embrione di quel “soldato perfetto” che il fondatore dei Giochi Moderni, Pierre de Coubertin[1], vuole cercare (e creare) attraverso uno sport da lui in sostanza inventato, il Pentathlon Moderno, fusione in pratica di cinque sport diversi: equitazione, tiro, nuoto, scherma e corsa campestre. Questa complessa disciplina compare per la prima volta ai Giochi nel 1912 e gli atleti scandinavi, in particolare svedesi, ne diventano maestri. In Italia cresce con difficoltà ed esclusivamente per merito dei militari che se ne appropriano sin da subito, gestendo ed organizzando le varie spedizioni olimpiche le quali peraltro non ottengono risultati rilevanti. Qualcosa cambia nei primi anni Trenta quando a capo del settore sportivo relativo al Pentathlon viene insediato Gaspare Pasta, già olimpionico di questo sport nel 1924 a Parigi. Pasta sa il fatto suo, ha esperienza, è capace di giudicare bene ed allenare a dovere gli atleti, scelti sempre tra i militari più capaci e portati. Selezione e preparazione sono difatti affidate alla Scuola Militare della Farnesina di Roma, più precisamente all’Ispettorato delle Truppe Celeri del Ministero della Guerra. Pasta, chiamato a ricostruire la Nazionale dopo l’ennesima delusione ai Giochi del 1932, adocchia anche Abbà e lo inserisce già nel 1934 tra i “probabili olimpici” che si allenano, spesso in lunghi ritiri collegiali, alla Scuola della Farnesina di Roma. Ai primi di maggio 1935[2], in una sorta di test preolimpico, Abbà partecipa ai “Littoriali” di Milano, la manifestazione riservata agli universitari, difendendo i colori del GUF Roma.

Si tratta di una delle prime gare in assoluto di Pentathlon organizzata in Italia a livello ufficiale. Abbà vince subito la prima prova, il cross di equitazione e poi nelle altre gare non scende mai al di sotto della quinta posizione: domina la classifica generale, guadagnando i punti decisivi nella corsa campestre, disputata al “Giurati”. In pratica si guadagna un posto ai Giochi. Ai primi di luglio Abbà è a Budapest dove si tiene un’importante gara internazionale: vince alla grande il tedesco Handrick ed Abbà termina 17°, difettando soprattutto nel tiro e nel cross. L’Italia chiude al quarto posto la classifica per nazioni dominata dalla Germania. Per ben figurare ai Giochi, i nostri devono crescere ancora molto sotto il profilo tecnico. Dunque, sotto con gli allenamenti. In quel 1935 Abbà è protagonista anche ai Mondiali di tiro a segno, disputati a Roma: chiude al 12° posto la prova di pistola da 25m vinta dall’altro azzurro Boninsegni. Bisogna insistere e così in pratica Abbà e compagni[3] rimangono permanentemente in ritiro, sotto la sapiente e paziente guida di Pasta: trascorrono gli ultimi due mesi di preparazione, in una sorta di clausura, nella scuola di Pinerolo. Il 19 luglio 1936, finalmente, si parte per Berlino, in treno da Firenze. Alla gara olimpica di pentathlon moderno partecipano 42 atleti di 16 nazioni. La classifica viene stilata in base ai piazzamenti in ogni prova: 1 al primo, 2 al secondo, 3 al terzo, ecc. Ovviamente, vince chi ottiene il minor punteggio. La prima prova è lo steeplechase di equitazione che si svolge nel bosco di Truppenubungsplatz a Doberitz (sede di esercitazioni militari) il 2 agosto. Prova durissima e selettiva, della durata di diverse ore e nella quale Abbà mostra tutte le sue doti di cavaliere: coglie difatti il primo posto assoluto davanti al tedesco Handrick ed al belga Mollet, secondi a pari merito. Miglior inizio non poteva esserci. Male invece gli altri due italiani (32° Orgera e 39° Ceccarelli) che già compromettono le loro chances di un bel piazzamento finale. Il giorno seguente tocca alla scherma, nella “Haus des Sports”, un palazzetto dello sport nei pressi dell’Olympiastadion. Abbà chiude 15° a pari merito mentre vince lo statunitense Weber davanti a Handrick che ovviamente sale al primo posto della classifica parziale, con Abbà retrocesso in quinta posizione.

Niente di compromesso, comunque. Terza prova il tiro, con la pistola, disputato il 4 agosto al poligono di Ruhleben, a nord-ovest del centro di Berlino. Dominio USA, con Leonard davanti a Weber. L’ottimo Handrick chiude quarto, Abbà decimo e la generale non cambia se non per il recupero del forte svedese Thofelt, oro nel 1928, che si piazza in seconda posizione. Tutto ancora da decidere, ma comunque gran gara di Abbà. Il 5 agosto si disputa il nuoto, 300m a stile libero nella piscina olimpica. Vince il tedesco Lemp, con Handrick nono ed Abbà 14° (il nuoto non è mai stato il suo forte). L’azzurro si trova ancora in quinta posizione, a 8 punti dal bronzo di Leonard. Tutto, come spesso accade, si decide nella corsa campestre, 4 km nel campo di golf a Wannsee, nei pressi di Potsdam, a sud-ovest di Berlino. Vince l’austriaco Leban, ma Abbà è grandioso e chiude ottimo quinto. Handrick termina solo 14°, fa meglio di lui Leonard (7° p.m.) mentre crolla letteralmente Thofelt che finisce 24°. Fatti i conti, l’oro va meritatamente al tedesco Handrick (31,5 punti), il più regolare su alti livelli. L’argento è per lo statunitense Leonard (39,5) ed il bronzo ad uno strepitoso Abbà che totalizza 45,5 punti e strappa la medaglia, proprio nell’ultima prova, a Thofelt il quale chiude a quota 47. Risultato assolutamente storico per l’azzurro, mantenutosi sempre nel vivo della lotta, che ha saputo sfruttare le sue qualità eccelse di cavaliere, senza comunque mai scendere nelle altre prove al di sotto del 15° posto. Una gara di altissimo livello tecnico, per una medaglia guadagnata con cuore ed intelligenza nell’ultima prova, con la consapevolezza di essere in pratica quel “soldato perfetto” tanto cercato da de Coubertin. E di essere quel tipo di soldato, Abbà lo dimostra negli anni seguenti quando interrompe l’attività sportiva per dedicarsi in toto alla carriera militare. Dal giugno 1937 al settembre 1938 Abbà combatte nella guerra civile spagnola, al comando della 2a Compagnia Carri d’Assalto, ottenendo diverse onorificenze tra cui una Medaglia d’Argento ed il conferimento dell’Ordine Militare di Savoia oltre alla promozione a Capitano per meriti di guerra. Nella relativa motivazione si parla di “costante prova di elevata capacità tattica, pronta percezione e coraggio personale”. Rientrato in Italia, torna allo sport: alla fine del 1938 entra nuovamente tra i “probabili olimpici” in vista dei Giochi del 1940, previsti a Tokio.

Quei Giochi però, causa la Seconda Guerra Mondiale, non vengono disputati. Abbà, destinato in quel periodo al Savoia Cavalleria, combatte dapprima sul fronte alpino occidentale, al confine italo-francese, poi è trasferito nei Balcani. Tra le due campagne Abbà trova il tempo di vincere a Roma il titolo italiano di Pentathlon[4], dopo un accanito duello col commilitone Curcio, per un solo punto (19 a 20), di nuovo grazie ad una grande prova di cross. Poi la guerra lo chiama ad un triste destino. Col Savoia Cavalleria è inviato in Russia. Comandante di Squadrone, ha come Comandante di Reggimento un altro olimpionico, il cavaliere Bettoni Cazzago. Abbà si segnala ripetutamente, ottenendo un’altra Medaglia d’Argento nell’ottobre del 1941. Ma il 24 agosto 1942, in un cruento combattimento ad Isbuscenskij, nell’attuale Ucraina, dove il Savoia affronta una delle ultime cariche di cavalleria mai eseguite in una guerra[5], cade falciato dalle mitragliatrici, ottenendo la Medaglia d’Oro al Valor Militare come “fulgido esempio di eroismo e di virtù militare”. Le sue spoglie, recuperate alla fine degli anni ’90, sono state trasferite in un primo momento al sacrario di Redipuglia e quindi hanno trovato definitiva collocazione al Tempio votivo di Cargnacco, nei pressi di Udine, dedicato ai Caduti italiani in Russia. Abbà, oggi ricordato da pochi, rimane veramente un esempio assoluto, come atleta e soldato ma anche e soprattutto come uomo. A Roma nel 1960, in occasione dei Giochi, gli fu intitolata una strada, tra Villaggio Olimpico e Stadio Flaminio: la ristrutturazione dell’area, eseguita alla fine degli anni ’90 per la costruzione dell’Auditorium – Parco della Musica, ha portato alla soppressione di tale via. Rimangono intitolati a lui una piazza di Civitanova Marche, lo stadio militare della Cecchignola a Roma e soprattutto la caserma del CSOE[6] a Roma.


[1] Pierre de Fredy, barone de Coubertin, nato a Parigi il 01.01.1863. Di nota famiglia aristocratica, accolta a corte sin dai tempi di Luigi XI, il giovane de Coubertin rimane attratto dal ruolo che lo sport deve avere nella formazione dei giovani. Folgorato dai modelli sportivi anglosassoni, vede nel gentleman amateur lo sportivo perfetto. Innovatore e sognatore, molto attivo nella propaganda degli esercizi fisici, coltiva amicizie importanti ed altolocate cui espone ripetutamente il progetto di far rivivere i Giochi Olimpici. Tra alti e bassi, l’idea prende definitivamente forma il 23 giugno 1894 in un apposito congresso alla Sorbona di Parigi in cui si stabilisce che la prima edizione dei Giochi moderni sarà tenuta ad Atene nel 1896 e la seconda nella stessa capitale francese quattro anni dopo

[2] Per la precisione tra il 4 e 7 maggio

[3] Gli altri selezionati sono il Tenente dei Granatieri Orgera, il Tenente dei Bersaglieri Ceccarelli, il Tenente di artiglieria Floreani, il sottotenente di artiglieria Jegher, il sottotenente della Finanza Obici e, unico civile, Renzo Nostini, poi ottimo schermidore, presidente FIS e vice-presidente CONI

[4] Si tratta della prima edizione dei Campionati Italiani organizzati dalla Federazione Italiana Pentathlon Moderno, appena istituita

[5] La carica, a sciabola sguainata, consente di forzare l’accerchiamento nemico. Nell’evento perirono 32 militari italiani

[6] Centro Sportivo Olimpico Esercito


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