L’irresistibile progressione di Maurizio Damilano nella 20 km di marcia vale l'oro e il record olimpico
La magnificenza di Mosca, la cui bellezza ai tempi della Guerra Fredda era solo un racconto di immagini accuratamente selezionate, si trasformò, il 24 luglio 1980, in un palcoscenico con recita a soggetto in cui emerse la classe e la tecnica di Maurizio Damilano. Il 23enne di Scarnafigi si laureò campione olimpico nella 20 chilometri di marcia al termine di una gara ricca di colpi di scena e che tenne con il fiato sospeso gli appassionati fino all’ingresso nello stadio Lenin.
L’azzurro si presentò ai Giochi Olimpici reduce dal sesto posto ai Campionati Europei di Praga del 1978, ma soprattutto dopo la cocente delusione patita nella Coppa del Mondo di Lugano del 1979, quando, a 300 metri dal traguardo, ad un passo dal successo, venne squalificato. A Mosca si presentò come outsider, ma con la consapevolezza di poter lottare almeno per una medaglia. Il grande favorito era il messicano Daniel Bautista, campione olimpico a Montreal 1976.
La gara programmata per il pomeriggio ebbe come protagonista assoluto il meteo, che in controtendenza con il clima moscovita, rappresentò un’autentica variabile: caldo e afa incisero e non poco sull’andamento della gara. Al via si presentarono 34 atleti in rappresentanza di 20 paesi, 25 terminarono la gara, dei 9 che non la conclusero 7 furono squalificati.b L’Italia era rappresentata dai gemelli Maurizio e Giorgio Damilano, allenati dall’altro fratello Sandro.
La prima parte di gara fu controllata dai messicani Bautista e Domingo Colin. Dal quindicesimo chilometro, invece, si trasformò in un vero e proprio thrilling, con colpi di scena a ripetizione. Colin venne squalificato, così come l’altro favorito, lo svedese Bo Gustafsson. A quel punto, Baustista provò l'allungo, mentre il sovietico Anatoly Solomin cercò di rimanergli in scia. Maurizio Damilano, grazie ai consigli a bordo strada di Pino Dordoni (olimpionico ad Helsinki 1952 nella 50 km. di marcia), preferì non cambiare ritmo nel tentativo di riprendere i fuggitivi, ma cercò il recupero in progressione. Quando mancavano poco più di due chilometri arrivò la svolta.
Bautista conduceva con quindici secondi di vantaggio, mentre Solomin precedeva di circa 30-40 metri Damilano. A sorpresa, il giudice capo, il polacco Kirkor, alzò la bandiera rossa e squalificò Bautista. Incredibile, il grande favorito era fuori dai Giochi e per Damilano si aprirono nuovi scenari. Solomin aveva un vantaggio di almeno 20 metri, ma Damilano, tra i vialetti stretti del parco dello stadio, non si diede per vinto gettando il cuore oltre l’ostacolo. Ad un certo punto il russo si bloccò all’improvviso, non per un problema fisico, tutt’altro, ancora una volta si alzò la bandiera rossa che decretò il suo fine gara.
A quel punto Damilano s’involò verso lo Stadio Lenin, con il cuore in gola, ma soprattutto con il maledetto ricordo di un anno prima quando vide svanire i sogni di gloria a pochi metri dl traguardo. Non si voltò, non volle dare l’impressione di essere affaticato, lo sguardo al cielo verso lo schermo, dove si materializzò la sagoma dell’altro sovietico Pyotr Pochenchukma, ma ormai era fatta, la vittoria in pugno, pochi metri e l’impresa diventò realtà. Medaglia d’oro con il tempo di 1h23’35”5 e record olimpico! Le emozioni, però, non finirono. Una volta tagliato il traguardo rimase in attesa dell’arrivo del gemello Giorgio, che si classificherà undicesimo. Un abbraccio che rimarrà scolpito nella memoria dello sport italiano.