Seleziona la tua lingua

Image

Il sogno di Patrizio Oliva diventa realtà nel giorno più tragico per l’Italia

40 anni fa i Giochi Olimpici a Mosca
images/1Primo_Piano_2020/Mosca_OLIVA_1.jpg

Un sogno realizzato ed una promessa mantenuta, in una delle giornate più buie della storia della Repubblica italiana. Era pomeriggio, a Mosca, il 2 agosto del 1980, quando Patrizio Oliva conquistò la medaglia d’oro nel pugilato categoria superleggeri. Un piccolo sorriso di gioia regalato agli italiani, scioccati dalla violenta esplosione che alle 10.25 del mattino aveva sventrato la stazione dei treni di Bologna causando 85 morti e oltre 200 feriti. Un Paese sull’orlo del baratro, che aveva trovato nel 21enne napoletano una sorta di ancora di salvezza in un mix di emozioni contrastanti.

Quel pugile sognatore, che quattro anni prima, al termine della finale olimpica tra Ray Leonard e il cubano Andrés Aldama, dentro di sé iniziava a coltivare l’ambizione di essere sul ring a cinque cerchi, ha sempre avuto una carriera piena di sacrifici, iniziata ad undici anni grazie al fratello Mario, pugile dilettante, nella palestra Fulgor ai Quartieri Spagnoli, sotto la guida di Geppino Silvestri. Dal 1976 al 1978 si aggiudicò prima il titolo italiano dilettanti nei pesi piuma e poi, per due volte consecutive, quello dei leggeri, oltre al titolo europeo juniores.

Nel 1979, però, fu protagonista di una sconfitta immeritata e clamorosa, nella finale per il titolo europeo di Colonia. Al termine di un match di alto livello, con il quotato sovietico Serik Konakbayev, fu penalizzato dal verdetto dei giudici che premiarono il suo avversario tra i fischi del pubblico. I Giochi moscoviti, quindi, rappresentavano la sua grande occasione di riscatto dopo quella tremenda delusione.

La squadra italiana, guidata dal neo commissario tecnico Franco Falcinelli e composta da Oliva, Russolillo, Gravina e Damiani, era partita con la voglia di poter ben figurare davanti ad avversari di grande levatura. La vigilia non fu delle migliori, con gli azzurri che rischiarono di tornare in Italia senza aver potuto salire sul ring. Una mattina, al termine della colazione, furono colti di sorpresa e chiamati per le prove pre-peso, dove nessuno rientrò nei limiti. Falcinelli, allora, provò la carta della sauna con la tuta di lana addosso, ma lo stratagemma non bastò e l’Italia fu esclusa.

Erano i tempi della Guerra Fredda e del boicottaggio del blocco occidentale, per cui il CIO non se la sentì di perdere un’altra squadra e diede una seconda possibilità agli azzurri. Russolillo e Gravina uscirono al primo turno, mentre Damiani si arrese ai quarti di finale. Per Oliva, invece, era giunto il momento di tirare fuori dal cassetto quel sogno fatto ad occhi aperti davanti alla tv, mentre Leonard conquistava il titolo nella sua stessa categoria.

Nei primi due turni, con un doppio KO, eliminò rispettivamente il beniniano Aurelien Agnan e il siriano Farez Halaby. Durissimo, di contro, il match dei quarti di finale con lo jugoslavo Ace Rusevski, già bronzo a Montreal, che Oliva vinse ai punti per 3-2. Smaltite le tossine, in semifinale superò senza patemi, con un netto 5-0, il britannico Anthony Willis, conquistando così la sospirata finale. Una sfida complicata, proprio con Konakbayev, grande favorito davanti al pubblico di casa, ma che rappresentava per Oliva la grande rivincita per il titolo europeo sfuggito l’anno prima.

L’azzurro si aggiudicò la prima ripresa. Nella seconda, viceversa, il pugile di origine kazaka reagì mettendo alle corde Oliva, che sembrò smarrire la carica iniziale. La veemenza dell’avversario sembrò fargli perdere la consueta lucidità. A Napoli, nel frattempo, nel quartiere di Poggioreale, il padre Rocco e i fratelli, cercavano di esorcizzare quel momento di difficoltà. Dall’angolo Falcinelli gli gridò: “Fallo per Ciro!”. Era un modo per scuoterlo, cercando di toccare le corde giuste. Nella terza e decisiva ripresa, Oliva con una boxe non nella sua indole, ma frutto di grande irrazionalità, disorientò Konakbayev, che sembrò andare in confusione. L’avversario accusò il colpo, non riuscì a reagire, spiazzato dalla tattica del pugile partenopeo.

Al gong l’Arena moscovita si ammutolì, qualcosa non era andato per il verso giusto e solo il verdetto dei giudici poteva - malauguratamente - ribaltare un destino già scritto. L’arbitro tedesco non fece in tempo ad alzargli il braccio, che era già genuflesso sul ring tra le lacrime. Baciò per terra e venne letteralmente sollevato da Falcinelli: era campione olimpico! I giudici non ebbero dubbi, il 4 a 1 fu il suggello di un trionfo iniziato dieci anni prima nella palestra di via Roma, a quindici metri sotto il livello della strada. Il sogno divenne realtà, come la promessa al compianto fratello Ciro. Sparviero ce l’aveva fatta.

Archivio News