I due D’Inzeo lottano per il primato degli ostacoli: vince Raimondo, Piero è secondo
Il 7 settembre del 1960, non fu semplicemente una giornata indimenticabile per l’equitazione azzurra, ma rappresentò l’esaltazione di uno stile inimitabile, quello impersonificato dai fratelli D’Inzeo. Raimondo e Piero dominarono la prova del salto ostacoli individuale, aggiudicandosi rispettivamente la medaglia d’oro e quella d’argento ai Giochi della XVII Olimpiade di Roma. Si appassionarono agli sport equestri per via del padre, Costante, un maresciallo di cavalleria dell’Esercito, genitore molto severo, tra i fondatori della gloriosa Società Ippica Romana.
Piero era un concentrato di tecnica, mentre, Raimondo, era più impetuoso ed irrequieto. Raimondo montò per la prima volta in sella a sette anni, diventando poi ufficiale di cavalleria dell’Arma dei Carabinieri, a differenza del fratello maggiore, ufficiale di cavalleria dell’Esercito. Nei mesi che precedettero i Giochi di Roma, il tenente colonnello Raimondo D’Inzeo, dovette alternare gli allenamenti ad interventi di odine pubblico a cui il suo reparto era comandato a causa delle violente manifestazioni contro il Governo Tambroni. Una situazione non certo facile per chi doveva puntare alla gara olimpica.
I due “Fratelli d’Italia” fecero il loro esordio ai Giochi di Londra del 1948, gareggiando ininterrottamente fino al 1976, per ben otto edizioni consecutive, un record assoluto detenuto in coabitazione con la canoista Josefa Idem, che, però, disputò le prime due Olimpiadi sotto la bandiera tedesca. Raimondo D’Inzeo si classificò al sesto posto nel concorso completo individuale ai Giochi di Helsinki del 1952, mentre, quattro anni dopo a Stoccolma (dove si disputarono le prove di equitazione della edizione olimpica di Melbourne 1956, a causa delle norme troppo restrittive sull’importazione dei cavalli in vigore in Australia) vinse la medaglia d’argento nel salto ostacoli a squadre - con il fratello Piero e Salvatore Oppes - e nell’individuale, dove fu sconfitto dal fortissimo tedesco Hans Günter Winkler.
L’anno prima, ai Mondiali di Aquisgrana, proprio il campione uscente Winkler, gli aveva impedito di vincere il suo primo titolo iridato, che arrivò, però, nel 1956, sempre ad Acquisgrana, in sella a Merano. Il cavaliere di Poggio Mirteto, si ripeterà poi nel 1960, a Venezia, con Gowran Girl. A Roma, nello straordinario scenario di Piazza Di Siena, dove i D’Inzeo erano di casa (Raimondo vinse l’omonimo Concorso ippico internazionale nel 1956 e nel 1957, mentre Piero nel 1958), si sfidarono 60 cavalieri in rappresentanza di 23 paesi.
Raimondo, in sella a Posillipo, era tra i favoriti, con i tedeschi Winkler e Fritz Thiedemann, rispettivamente su Halla e Metheor. L’Ovale di Villa Borghese, era uno dei percorsi più difficili in campo internazionale, con quattordici ostacoli e diciassette barriere, estremamente selettivi, specie per la riviera e la doppia gabbia, che provocarono il ritiro di quasi la metà dei cavalieri partecipanti. Nelle prime ore del mattino si disputò la prima manche, che vide come protagonista assoluto Raimondo D’Inzeo, autore di un percorso netto. Solo l’argentino Naldo Dasso, con 4,00 penalità, riuscì ad impensierirlo.
Piero D’Inzeo, in sella a The Rock, chiuse con 8,00 penalità, posizionandosi al terzo posto, al pari del francese Max Fresson su Grand Veneur. Più staccati, con 12,00 penalità, gli statunitensi George Morris e Hugh Wiley, l’altro francese Bernard de Fombelle e l’ungherese István Suti. La seconda manche, decisiva per l’assegnazione delle medaglie, iniziò alle 14.00. L’ordine di partenza era inverso rispetto alla classifica della prima manche.
Piero D’Inzeo concluse la sua prova con 8,00 penalità, per un totale di 16,00, che gli valse la testa della classifica provvisoria, davanti al britannico David Broome (23,00) e a Morris (24,00). C’era grande attesa, quindi, per le prove di Dasso e Raimondo D’Inzeo. L’argentino, su Final, fu protagonista di una gara disastrosa, che gli costò 24,00 penalità, che sommate alle 4,00 iniziali, lo relegarono al settimo posto.
A Piazza di Siena scese un gran silenzio, Raimondo D’Inzeo stava per iniziare la sua prova. Il 35enne azzurro, per vincere l’oro, doveva amministrare il vantaggio nei confronti del fratello Piero. Non forzò e chiuse con 12,00 penalità, conquistando il titolo olimpico tra l’ovazione del pubblico che salutò l’impresa dei “fratelli invincibili”. Non solo un trionfo sportivo, ma uno stile di vita che ammaliò Elisabetta II. La Regina, secondo le cronache di quegli anni, amava spesso ricordare quei due italiani simbolo di successo e di portamento. Due grandi campioni, ma soprattutto due straordinari Signori dello sport azzurro.