Gaiardoni fa l’impossibile: vince il km da fermo e a Villafranca suonano le campane
Le prime competizioni di ciclismo ai Giochi della XVII Olimpiade di Roma saranno ricordate per il susseguirsi di emozioni che ne caratterizzarono lo svolgimento. Nella tarda mattinata la prima medaglia d’oro conquistata dal quartetto azzurro formato da Bailetti, Cogliati, Fornoni e Trapè nella 100 chilometri a squadre di ciclismo; nel pomeriggio la tragica notizia della scomparsa del danese Jensen, colto da malore proprio nel corso della prova su strada, e poi, in serata, lo straordinario successo di Sante Gaiardoni sul chilometro da fermo.
Il ventunenne veneto non solo confermò la grande tradizione italiana su pista (quattro anni dopo la vittoria di Leandro Faggin a Melbourne), ma stabilì anche il nuovo record del mondo sulla distanza. Nato a Villafranca di Verona da una famiglia contadina, fin dall’infanzia si appassionò alle due ruote. Folgorato da una bicicletta esposta nel negozio del suo paese, che il padre, però, non volle comprargli (ritenendo proibitivo il prezzo di 17mila lire dell’epoca), non si perse d’animo e fece una scommessa con l’allora proprietario Aldo Faccioli: avrebbe usato la bicicletta per una gara e, in caso di vittoria, se la sarebbe tenuta senza pagargliela.Detto, fatto.
Lavorò come operaio alla Saira, sfrecciando in bicicletta per raggiungere il posto di lavoro, mentre, con la Villafranchese, prima società, iniziava la sua ascesa sportiva. Si trasferì giovanissimo a Milano con la famiglia, proprio in zona Sempione, a due passi dal mitico Vigorelli, cedendo al corteggiamento del commendator Dino Cappellaro, un commerciante di pietre preziose, presidente della gloriosa società milanese dell’Azzini, che lo convinse a vestire la maglia blu-nera della propria squadra.
Gaiardoni era un atleta eccezionale, dalla forza fisica dirompente, che affinò la sua preparazione tra lo storico impianto di via Arona e i lunghi collegiali di preparazione alle Frattocchie, nel Comune di Marino, ad una ventina di chilometri da Roma. La sede era un pensionato gestito dalle suore, dal quale ci si permetteva qualche fuga serale, per sfuggire dalla routine ed immergersi nella dolce vita romana. Sante, detto Gianni per gli amici, al ritorno dagli allenamenti, di nascosto dal C.T. Costa, si mangiava un panino sorseggiando un bicchiere di vino, che una suora gli faceva trovare come una sorta di antipasto.
La squadra italiana di ciclismo alla vigilia era una delle favorite, ma Gaiardoni era considerato un outsider, erano altri gli azzurri favoriti. La sera del 26 agosto del 1960, al Velodromo Olimpico costruito nel quadrante sud-orientale dell’EUR, c’era grande fermento per la gara. La pista era scivolosa a causa dell’umidità di una giornata torrida e i venticinque partecipanti, uno per nazione, erano pronti ad immergersi nell’ovale per coronare il loro sogno olimpico. Gaiardoni - reduce anche dalle batterie della prova di velocità, che aveva superato brillantemente nel corso della giornata - attendeva con ansia il proprio turno. Il tedesco Dieter Gieseler fece registrare un gran tempo (1’08”75), dando l’impressione di aver messo una seria ipoteca sulla vittoria finale.
Fu così la volta di Gaiardoni, ma le cose si misero subito male. Il giudice di gara si scontrò con il tecnico italiano, discutendo sulle modalità di partenza, che poi penalizzarono il pistard azzurro. L’avvio fu disastroso. La gara sembrava compromessa, ma proprio in quel momento Gaiardoni iniziò una progressione incredibile, concludendo la sua prova con il tempo eccezionale di 1’07”27. Un trionfo che fece esplodere gli spalti gremiti da oltre 17.000 spettatori, che non si stancavano di applaudire il nuovo campione olimpico nel giro d’onore. Gieseler si dovette accontentare della medaglia d’argento, seguito dal sovietico Rostislav Vargashkin (1’08”86).
Nel frattempo, a Villafranca, un gruppo di appassionati chiese all’allora sindaco, Arnaldo Brunetto, di salire sulla Torre del Castello Scaligero per festeggiare. Il primo cittadino, a quel punto, consegnò loro le chiavi e i tifosi con il tricolore ed alcuni cartelli salirono in cima per celebrare il successo del loro concittadino. Quel ragazzo di campagna diventato “orgoglio della Nazione”.