Dominio azzurro nella spada: per la terza vota consecutiva la squadra vince l’oro

60 anni fa i Giochi Olimpici a Roma
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Quell’ultimo acuto di un’Olimpiade indimenticabile. Il 9 settembre del 1960 la scherma azzurra vinse il titolo nella spada a squadre, regalando all’Italia la tredicesima medaglia d’oro. Sei i protagonisti di quell’impresa: i lombardi Edoardo Mangiarotti, Carlo Pavesi e Gianluigi Saccaro; il torinese Giuseppe Delfino e gli “stranieri” Fiorenzo Marini ed Alberto Pellegrino, nati rispettivamente a Vienna e Tunisi. Una squadra talentuosa e determinata, ma soprattutto figlia di una scuola, quella italiana, che da molti anni dominava nel panorama internazionale.

Tra il 1920 ad Anversa e i Giochi della XVII Olimpiade di Roma, gli spadisti azzurri fecero incetta di medaglie, conquistando sei ori, due argenti e un bronzo. Edoardo Mangiarotti, Delfino e Pavesi si aggiudicarono ben tre titoli consecutivi, tra Helsinki 1952 e Roma 1960, mentre, Pellegrino, bissò il titolo di Melbourne 1956. L’Italia era quindi la grande favorita nella prova a squadre di spada in programma al Palazzo dei Congressi.

Le avversarie da battere erano l’Ungheria, la Svizzera, l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna, guidata dallo scozzese Allan Jay, che nella finale della prova individuale perse solo allo spareggio con Delfino. Le venticinque squadre partecipanti furono divise in sette gironi da tre team l’uno: le due migliori, sulla base della percentuale vittorie/sconfitte ed assalti vinti/persi, si qualificavano direttamente per i quarti di finale. Le altre prime due classificate di ogni gruppo, invece, disputavano gli ottavi di finale. L’Italia era inserita nel gruppo uno, insieme a Portogallo e Stati Uniti.

Nella prima sfida gli spadisti azzurri sconfissero per 9-7 i portoghesi, al termine di un match molto equilibrato, risolto da Saccaro (3), Marini (3), Mangiarotti (2) e Pavesi (1), che ebbero la meglio su José de Albuquerque (3), Manuel Borrego (2), José Ferreira (2) e José Fernandes (0). Più agevole, poi, l’incontro con gli Stati Uniti (Henry Kolowrat, David Micahnik, Ralph Spinella Roland Wommack), vinto con un secco 9-2, grazie ai punti conquistati da Delfino (3), Saccaro (2), Mangiarotti (2) e Pavesi (2). Gli statunitensi, quindi, superarono per 10-6 i lusitani.

L’Italia non solo vinse il proprio girone con due vittorie, ma si qualificò direttamente ai quarti di finale insieme all’Ungheria. Le altre quattordici squadre, di contro, si affrontarono in match ad eliminazione diretta che promossero al turno successivo la Svezia (9-4 al Belgio), l’Unione Sovietica (9-0 al Giappone), la Germania (9-5 alla Finlandia), il Lussemburgo (9-8 al supplementare sulla Polonia), la Gran Bretagna (9-5 agli Stati Uniti) e la Svizzera (9-8 all’overtime con la Francia). Nei quarti l’Italia superò per 9-3 la Svezia (Göran Abrahamsson, Hans Lagerwall, Berndt-Otto Rehbinder, Orvar Lindwall), con i punti conquistati da Pellegrino (3), Pavesi (3), Delfino (2) e Mangiarotti (1). Nelle altre sfide Unione Sovietica, Ungheria e Gran Bretagna vinsero senza troppi patemi su Germania, Lussemburgo e Svizzera.

In semifinale, di contro, gli azzurri dovettero faticare un po’ di più per avere la meglio sull’Unione Sovietica, guidata dal campione del mondo Bruno Habarovs. Delfino (3), Pellegrino (3), Pavesi (2) e Saccaro (1) s’imposero per 9-6 su Arnold Cernusevic (2), Habarovs (2), Valentin Cernikov (1) e Guram Kostava (1), confermando ancora una volta lo strapotere azzurro. Nell’altra semifinale, di contro, la Gran Bretagna superò di misura i vicecampioni olimpici uscenti dell’Ungheria per 8-7. I sovietici, poi, nella finale per la medaglia di bronzo, non concessero nulla ai magiari superandoli con il punteggio di 9-5.

L’Italia, davanti ad un pubblico trionfante, concesse ben poco alla Gran Bretagna (Allan Jay, Michael Howard, John Pelling, Henry Hoskyns), che dovette arrendersi di fronte alla forza di Delfino (3), Pellegrino (3), Pavesi (2) e Mangiarotti (1). Una vittoria straordinaria, che valse all’Italia il terzo titolo consecutivo, ma soprattutto la consacrazione nell’olimpo della spada, che per mano di quei sei indimenticabili campioni diventò leggenda.