Disciplina degli sport invernali - Legge n. 363/2003 - Dlgs. N. 40/21 - Colpa - Omessa precedenza - art. 589 c.p. - Condanna.

Titolo/Oggetto

Cass. pen., sez. IV, 13/02/2024 (dep. 14/03/2024), n. 10653
Disciplina degli sport invernali - Legge n. 363/2003  - Dlgs. N. 40/21 -  Colpa - Omessa precedenza - art. 589 c.p. - Condanna.

   

Commento/Sintesi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria   - Presidente

Dott. BELLINI Ugo              - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo        - Relatore

Dott. MARI Attilio             - Consigliere

Dott. CIRESE Marina            - Consigliere

ha pronunciato la seguente

                                   SENTENZA

sul ricorso

                               proposto da:

Ap.Ma. nato a C il (omissis)

avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. LUIGI

ORSI che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

uditi i difensori: avvocato BADELLA MASSIMO, del foro di Savona, in

sostituzione dell'avvocato CARATTI GIUSEPPE AMEDEO, nell'interesse delle

parti civili Ar.So. e Ta.Fr., che ha insistito per la declaratoria di

inammissibilità del ricorso e ha depositato nomina a sostituto processuale,

nonché conclusioni e nota spese alle quali si è riportato;

avvocato MORRA PIERMARIO, del foro di ASTI, in difesa di Ap.Ma., che ha

illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

 

1. La Corte di Appello di Torino, pronunciando sul gravame nel merito proposto dall’ odierno ricorrente Ap.Ma., con sentenza del 20/6/2023, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Cuneo, in composizione monocratica, il 3/5/2022, all'esito di giudizio ordinario, concessegli le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena condizionalmente sospesa di mesi quattro di reclusione oltre pagamento delle spese processuali e risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, e spese, in favore delle parti civili costituite, disponendo provvisionale immediatamente esecutiva, in quanto riconosciutolo colpevole del reato di cui all'articolo 589 cod. pen. perché per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza, nonché in violazione della disciplina di cui alla legge 363 dei 2003 ed alla legge regionale numero 2 dei 2009 sulla disciplina degli sport invernali (le quali prevedono l'obbligo in capo allo sciatore, che provenga da sinistra, concedere la precedenza agli sciatori provenienti da destra) cagionava la morte della persona offesa Ta.Ma.; segnatamente, sciando sulla pista Snow Park della località sciistica di P N, giungendo da sinistra all'incrocio con la pista blu n. 1, ometteva di concedere la precedenza alla p. o. Ta.Ma. (il quale, a sua volta, proveniva da destra), collideva contro quest'ultimo e ne cagionava la caduta a terra, da cui derivavano un politrauma, consistito in trauma all'emitorace sinistro, un trauma all'addome ed un trauma cranico con amnesia, nonché la lacerazione del polo inferiore della milza e dell'emiperitoneo, le quali a loro volta determinavano la morte della stessa persona offesa Ta.Ma., verificatasi in data (omissis).

 

Commesso in P N (CN) l'8 febbraio 2019 con successivo decesso in M il (omissis).

 

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, l'Ap.Ma. deducendo, con un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen., violazione di legge e contestuale carenza ed illogicità della motivazione in relazione al passaggio motivazionale in cui la Corte ha statuito sulla ricostruzione della dinamica del sinistro e delle responsabilità derivanti ex. art. 589 cod. pen.

 

Punto decisivo per il ricorrente è la doglianza che è stata proposta con l'atto di appello con la quale si è chiesto alla Corte territoriale di determinare in modo certo, sulla base del corredo probatorio in atti, la dinamica del sinistro, avvenuto in orario serale sulle piste da sci del complesso di P N in data 8/2/2019, in mancanza di qualsivoglia elemento di riscontro diretto dell'accaduto, essendo avvenuto senza testimoni.

 

La sentenza impugnata -ci si duole- presenterebbe una sfasatura logica già nelle considerazioni preliminari, laddove a pag. 3 riconduce all'atto d'appello il negare "che la persona offesa potesse trovarsi alla destra dell'investitore, ben potendo aver attraversato diagonalmente la pista che stava percorrendo e quindi essere dal lato opposto del proprio assistito", essendosi invece il difensore limitato a sostenere che per collidere con l'Ap.Ma. proveniente dalla pista Snow Park il Ta.Ma. avesse necessariamente percorso la pista diagonalmente e dunque si fosse spostato nella parte sinistra della pista 1 (sottostante la confluenza con la pista Snow Park), contestando poi successivamente la ricostruzione operata dal giudicante di primo grado, in quanto, sulla base del corredo probatorio in atti e le testimonianze dei presenti direttisi verso il luogo in cui giaceva supino il Ta.Ma. (situato a valle, al di sotto della confluenza), non era certamente possibile univocamente stabilire né il luogo dell'accaduto, né la posizione degli sciatori al momento dell'impatto, con conseguente impossibilità di ricostruire le responsabilità del ricorrente connesse al sinistro.

 

Ulteriore salto logico della sentenza impugnata sarebbe ravvisabile per il ricorrente nell'aver determinato che l'Ap.Ma. si trovasse a monte del Ta.Ma. al momento dello scontro ("Sulla scorta di tale considerazione e della circostanza che certamente Ap.Ma. si trovava a monte della persona offesa, tanto da aver dichiarato "io mi sono infilato con i miei sci sotto le sue code", considerato anche che Ta.Ma., pur essendo molto più robusto, era caduto provocandosi delle lesioni, mentre l'imputato non aveva riportato alcuna lesione a causa del sinistro, l'appellante concludeva ipotizzando che potesse essere stata la persona offesa a tagliare la strada all'imputato, dando così corso alla catena degli eventi che avrebbe portato alla sua morte" -pag.3 della sentenza impugnata);

 

Ancora: "Stando alle stesse parole dell'imputato, l'impatto con la persona offesa ha avuto luogo fra la parte anteriore dei suoi sci e quella posteriore degli sci di Ta.Ma. Contrariamente a quanto sostenuto dal difensore di Ap.Ma., questa affermazione dimostra ineluttabilmente che l'imputato si trovava a monte rispetto alla persona offesa" (pag. 5 della sentenza impugnata).

 

Per il ricorrente, se non vi è motivo di dubitare della veridicità delle affermazioni dell'Ap.Ma. in merito alla dinamica dello scontro (le punte del ricorrente sopra le code della persona offesa), giudicato come si legge nella sentenza di primo grado "persona corretta, composta e consapevole della gravità dell'accaduto" (pag. 10 della sentenza di primo grado), sarebbe contradditorio ed illogico ritenere che l'Ap.Ma. si trovasse a monte del Ta.Ma., poiché, come lo stesso Ap.Ma. ha dichiarato in sede di esame in data 18/01/2022: "io procedevo sulla pista segnata in rosso sulla foto, ho guardato alla mia destra e non vedendo nessuno ho proceduto oltre (... non ho visto davanti a me nessuno sciatore, sennò mi sarei fermato".

 

Sostenere che l'Ap.Ma. si trovasse a monte del Ta.Ma. sarebbe dunque illogico sotto ogni profilo, o si dovrebbe immaginare che il Ta.Ma. si trovasse davanti all'Ap.Ma. prima che superasse la confluenza, circostanza questa mai verificata né corroborata da alcuno dei testi escussi né valutata fondata dal giudice di prime cure.

 

Lo stesso prosieguo della sentenza -si legge in ricorso- appare carente e con evidente sfasatura rispetto alla premessa offerta dalla Corte che vede l'Ap.Ma. a monte del Ta.Ma. Ed invero il ricorrente si domanda come può la Corte territoriale condividere la ricostruzione dello svolgimento dei fatti operato dal decisore di primo grado, e dunque censurare l'operato dell'Ap.Ma. in merito alla ipotetica non concessa precedenza data al Ta.Ma., se lo colloca a monte rispetto a quest'ultimo. Se si fosse trovato a monte sarebbe pacifico sostenere che la precedenza gliel'avesse data e dunque l'avesse urtato in un secondo momento a ridosso della valle.

 

Le stesse motivazioni addotte a giustificare tale assunto sarebbero da un punto di vista logico erronee. La censura del ricorrente si appunta, in particolare, sul passaggio motivazionale ove si legge: "A tali conclusioni deve necessariamente pervenirsi considerando che la parte anteriore degli sci è sempre rivolta verso valle per chi sta scendendo un pendio, mentre, nella stessa situazione, quella posteriore e rivolta verso monte" (pag. 5 della sentenza impugnata).

 

Questo ragionamento sarebbe condivisibile per il ricorrente solo se la pista avesse corsie rettilinee ben delineate e non fosse possibile percorrerla con ampie traiettorie, come nel caso ad oggetto: durante le sterzate a destra o a sinistra le punte non sono rivolte verso valle, bensì verso la direzione scelta dallo sciatore, dunque è perfettamente configurabile senza salti logici che il Ta.Ma. arrivando da monte abbia indirizzato le punte verso il punto dove si trovava l'Ap.Ma., tagliandogli la strada.

 

Ricorda il ricorrente che il Ta.Ma., nell'immediatezza dell'urto, ha accusato un'amnesia che ha reso impossibile determinare le cause dello scontro, non potendosi dunque escludere che avesse perso il controllo degli sci, andando a collidere con l'Ap.Ma.

 

L'impostazione della Corte territoriale, chiamata a decidere sugli elementi a sua disposizione, non potrebbe certamente considerarsi risolutiva alla luce delle doglianze offerte dal ricorrente, laddove parte da presupposti mai vagliati precedentemente nel giudizio di primo grado attribuendo loro significato autonomo e recepirebbe frammentari passaggi motivazionali della sentenza di primo grado e dalle dichiarazioni dell'Ap.Ma., così facendo accreditando la tesi difensiva, ovverosia che possano ritenersi astrattamente idonee a descrivere l'accaduto visioni diametralmente opposte, con la conseguenza che la responsabilità a titolo di colpa del ricorrente non può essere sostenibile oltre ogni ragionevole dubbio.

 

Nella sentenza impugnata, quando la Corte sottolinea a pag.5 come "contrariamente a quanto sostenuto dal difensore di Ap.Ma., questa affermazione dimostra ineluttabilmente che l'imputato si trovava a monte rispetto alla persona offesa", cadrebbe in un errore ineluttabile non avendo ottemperato all'obbligo di motivazione razionale.

 

La sentenza impugnata, infatti, conclude come debba necessariamente pervenirsi alla posizione a monte dell'imputato rispetto alla persona offesa considerando che "la parte anteriore degli sci è sempre rivolta verso valle per chi sta scendendo un pendio, mentre, nella stessa situazione, quella posteriore è rivolta verso monte (pag. 5 della sentenza impugnata)."

 

Tale affermazione rivelerebbe vizi di palese illogicità.

 

Solo un pendio perimetrato da chi lo ha tracciato o da ostacoli naturali imporrebbe tale conclusione. Ma non è il nostro caso, essendo questa affermazione del tutto slegata dal compendio probatorio.

 

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

 

3. Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.

 

Inoltre, risultano depositate in cancelleria singole conclusioni scritte e note spese nell'interesse delle parti civili Ga.An., Ta.Lu., Ta.Lu. e Ta.St., tutte datate 15/1/2024 e a firma del comune difensore Avv. Lorenzo Macciò.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

 

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

 

Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

 

2. Come ricorda la sentenza impugnata, i fatti oggetto del procedimento traevano origine da un incidente avvenuto sulle piste da sci di P N la sera dell'8 febbraio 2019.

 

La sentenza di primo grado si faceva carico di esaminare le prove testimoniali assunte e giungeva a riconoscere la penale responsabilità dell'imputato individuando in primo luogo i profili di colpa addebitabili allo stesso, consistiti nel non aver osservato l'obbligo di concedere la precedenza agli sciatori provenienti da destra.

 

Nel dettaglio, il giudice di prime cure riteneva provato che al momento del fatto Ap.Ma. percorreva una pista da sci che si immetteva su quella in cui stava sciando la persona offesa Ta.Ma.

 

Una volta immessosi sul tracciato, in un punto ove effettivamente la visibilità era parzialmente compromessa dalla conformazione dei luoghi, l'imputato si trovava alla destra della persona offesa e, provenendo anche da monte, lo travolgeva provocandone la caduta.

 

A causa delle lesioni riportate in quella occasione, Ta.Ma. veniva ricoverato in ospedale, ma decedeva alcuni giorni più tardi.

 

Sulla scorta di tali premesse il Tribunale di Cuneo riteneva sussistenti i profili di colpa in capo al medesimo. Ed essendo la morte di Ta.Ma. sopraggiunta alcuni giorni dopo l'intervento cui la persona offesa era stata sottoposta in ragione delle lesioni derivate dall'infortunio sciistico, la sentenza di primo grado si faceva carico anche di evidenziare l'insussistenza di eventuali condotte negligenti dei medici che avevano operato, affermandone comunque l'irrilevanza causale ai fini del presente giudizio penale.

 

Avverso la sentenza in questione interponeva appello il difensore dell'imputato articolando un unico motivo concernente l'affermazione di penale responsabilità del proprio assistito. In particolare, anche in sede di gravame del merito il difensore dell'Ap.Ma. evidenziava che nessuno dei testimoni escussi aveva assistito in modo diretto all'infortunio e che non era stato possibile determinare il luogo esatto in cui lo scontro era avvenuto.

 

La difesa dell'imputato, come ripete in questa sede, prospettava ai giudici di appello una ricostruzione alternativa dei fatti, negando la possibilità che la persona offesa potesse trovarsi alla destra dell'investitore, ben potendo aver attraversato diagonalmente la pista che stava percorrendo e quindi essere dal lato opposto del proprio assistito.

 

Come ricorda la sentenza impugnata, sulla scorta di tale considerazione e della circostanza che certamente Ap.Ma. si trovava a monte della persona offesa, tanto da aver dichiarato "io mi sono infilato con i miei sci sotto le sue code", considerato anche che Ta.Ma., pur essendo molto più robusto, era caduto provocandosi delle lesioni, mentre l'imputato non aveva riportato alcuna lesione a causa del sinistro, già dinanzi ai giudici di appello il difensore dell'imputato concludeva ipotizzando che potesse essere stata la persona offesa a tagliare la strada all'imputato, dando così corso alla catena degli eventi che avrebbe portato alla sua morte. Affermava, inoltre, che sarebbe stato possibile ipotizzare anche una diversa collocazione del punto in cui il percorso dal quale proveniva il proprio assistito confluiva in quello sul quale si trovava la persona offesa, situato più a valle di quanto sostenuto, quando ormai non era più possibile individuare una confluenza, ragione per cui né la normativa nazionale, né quella regionale in tema di precedenze sulle piste da sci avrebbe potuto trovare applicazione.

 

Anche in ragione dell'amnesia della persona offesa, la quale pur cosciente, nell'immediatezza del fatto non era stata in grado di ricostruire esattamente gli eventi, la difesa dell'Ap.Ma. evidenziava ai giudici di appello come potessero essere ragionevolmente sostenute ipotesi ricostruttive alternative, che non necessariamente consentivano di muovere addebiti all'imputato, del quale si chiedeva pertanto l'assoluzione, quanto meno ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.

3. Non può sottacersi la aspecificità di un motivo di ricorso in cui, indistintamente e promiscuamente, si denunciano la violazione di legge ed il vizio motivazionale, sub specie di carenza ed illogicità della motivazione.

 

Va qui ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma 1, lett. c) e 591, comma 1 lett. c), cod. proc. pen.,

 

Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, Filardo Rv. 280027 (pag. 30) hanno recentemente chiarito che: "Deve ritenersi che il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione", non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione (cfr. anche Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015, Rugiano, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Mota ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, Rv. 251528, Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037; così anche così Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 cod. proc. pen. il "Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015).

 

Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell'8/5/2012, Sardo ed altro, Rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da Sez. 6, n. 32227 del 16/7/2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.

 

Sempre Sez. Unite Filardo pag. 32 della motivazione concludono, perciò, che: "difetta della specificità richiesta dagli artt. 581, comma 1, e 591 cod. proc. pen. il motivo che deduca promiscuamente i vizi di motivazione indicati dall'art. 606, commi, lett. e), stesso codice (Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011, dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528; Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, Sardo, Rv. 254329; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Mota, Rv. 263541; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, P.G. in proc. Rugiano, Rv. 264535; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518). Invero, l'art. 606, comma 1, lett. e), se letto in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. d), evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.."

Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.

 

4. Va anche ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi Sez. 3, n. 12110/06 e Sez. 3 n. 23528/06).

 

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397/07; Sez. U. n. 24/1999, Spina, Rv. 214794).

 

Ed è stato anche affermato come, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 , comma 1, lett. e), cod. proc. pen. il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)

Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.

 

Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. 20.2.2006 n. 46.

 

Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

 

Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.

 

Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

 

Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Torino alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

 

5. Si palesa evidente, da un raffronto tra gli appena ricordati motivi di appello e i motivi di ricorso per cassazione che si tratta delle identiche doglianze. È come se la sentenza di appello non vi fosse, in quanto rispetto alla stessa manca un reale confronto critico.

 

Eppure, con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità- la Corte piemontese ha dato ampiamente atto del perché ha ritenuto che l'appello non meritasse accoglimento e i profili di doglianza sollevati dall'appellante in merito all'esatta ricostruzione dei fatti non cogliessero nel segno, o comunque riguardassero circostanze del tutto ininfluenti ai fini della valutazione della penale responsabilità di Ap.Ma.

 

Si ricorda in sentenza come, secondo quanto ricostruito dal giudice di prime cure, viene in rilievo nel caso di specie la violazione di tre norme di condotta da parte dell'imputato. Oltre al mancato rispetto dell'obbligo di concedere la precedenza agli sciatori provenienti da destra, anche formalmente contemplato nel capo d'imputazione, il Tribunale di Cuneo ha ravvisato ulteriori violazioni di regole cautelari: 1. laddove l'imputato avrebbe omesso di attenersi alla regola di prudenza che gli imponeva, provenendo da monte, di mantenere una direzione che gli consentisse di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle; 2. sotto altro profilo, considerata la conformazione dei luoghi in cui sì sarebbe verificata la collisione, la violazione della norma che impone allo sciatore che si immette su una pista di dare precedenza a chi già la percorre.

 

Rileva la Corte territoriale che tutte queste condotte trovano riscontro nella normativa nazionale e regionale vigente al momento del fatto e, segnatamente, il primo obbligo nell'art. 12 l. 363/2003 ('negli incroci gli sciatori devono dare la precedenza a chi proviene da destra o secondo le indicazioni della segnaletica"), il secondo nell'art. 10 l. 363/2003, in vigore al momento del fatto, oggi sostituito dall'art. 19 D.Lgs. 40/2021 ("lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle"), il terzo nell'art. 32 comma 5 l.r. Piemonte 2/2009 e successive modificazioni ("lo sciatore che si immette su una pista deve dare precedenza a chi già la percorre").

 

Secondo il giudice di appello merita richiamare anche l'art. 11 della legge 363/2003, oggi trasfuso nell'art. 20 D.Lgs. 40/2021, a norma del quale: "1. Lo sciatore che intende sorpassare un altro sciatore deve assicurarsi di disporre di uno spazio sufficiente allo scopo e di avere sufficiente visibilità. 2. Il sorpasso può essere effettuato sia a monte sia a valle, sulla destra o sulla sinistra, a una distanza tale da evitare intralci allo sciatore sorpassato".

 

Ritiene la Corte territoriale come il giudice di primo grado abbia correttamente ricostruito lo svolgimento dei fatti che hanno determinato la verificazione del sinistro, correttamente individuando profili di responsabilità in capo a Ap.Ma. e, richiamatene legittimamente le argomentazioni -trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità- si sofferma su uno solo dei profili in contestazione, vale a dire quello relativo alla posizione reciproca dei due sciatori al momento del fatto, che è anche quello che il ricorrente ripropone in questa sede di legittimità.

 

Ricorda la sentenza impugnata che, stando alle stesse parole dell'imputato, l'impatto con la persona offesa ha avuto luogo fra la parte anteriore dei suoi sci e quella posteriore degli sci di Ta.Ma. E ciò, si ritiene, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore dell'odierno ricorrente, dimostra ineluttabilmente che l'imputato si trovava a monte rispetto alla persona offesa.

 

A tali conclusioni, secondo il logico argomentare della sentenza impugnata, deve necessariamente pervenirsi considerando che la parte anteriore degli sci è sempre rivolta verso valle per chi stia scendendo un pendio, mentre, nella stessa situazione, quella posteriore è rivolta verso monte. Discende da ciò che, se come affermato dallo stesso Ap.Ma., la parte anteriore dei suoi sci ha colpito quella posteriore di quelli di Ta.Ma., il primo era posizionato a monte del secondo al momento dell'impatto.

 

Del resto, la Corte torinese rileva come le stesse conclusioni a cui perveniva in quella sede il difensore dell'imputato si collocano in questa stessa ottica, tenuto conto che alle pagine 5 e 6 dell'atto di appello si proponeva l'ipotesi alternativa che "il contatto sia stato cagionato dallo stesso Ta.Ma., che con una manovra improvvisa abbia intercettato l'Ap.Ma. ponendosi davanti a lui".

 

Anche tale affermazione -rilevano logicamente i giudici del gravame del merito- conferma che, al momento dell'impatto, Ap.Ma. si trovava a monte della persona offesa. E nella medesima ottica sono state valutate valutare le dichiarazioni di Ap.Ma. all'udienza del 18 gennaio 2022: "io mi ricordo che l'impatto è avvenuto e mi ricordo di essergli volato sopra".

 

Coerente, pertanto, appare la conclusione dei giudici del gravame del merito che risulta ancora una volta di plateale evidenza che, se fosse stato Ta.Ma. a trovarsi a monte dell'imputato, quest'ultimo non sarebbe rovinato al suolo "volandogli sopra". E che l'assenza di lesioni in capo all'imputato corrobora tali conclusioni in quanto consente di escludere, per un verso,, che vi sia stato un contatto fra i corpi degli sciatori e, per altro verso, che sia stata la persona offesa a travolgere l'imputato e non viceversa.

 

Anche a voler ritenere che la collisione non sia avvenuta in prossimità del punto di confluenza della pista percorsa da Ap.Ma. con quella sulla quale si trovava Ta.Ma., profilo che viene poi successivamente sviluppato, per i giudici di appello risulta che l'imputato non si è attenuto alle norme di comportamento che all'epoca dei fatti erano tipizzate dagli art. 11 e 12. l. 363/2003.

 

6. La sentenza impugnata, infine, dà anche atto che, all'esito dell'espletata istruttoria, non sono emersi nella condotta della persona offesa profili idonei ad escludere la colpa dell'imputato, che a dire del suo difensore -con una tesi riproposta tout court in questa sede- sarebbe stato ostacolato da Ta.Ma., il quale gli tagliava la strada, effettuando curve ad ampio raggio.

 

Secondo il logico argomentare della sentenza impugnata, ciò non elimina, infatti, il dato accertato con assoluta certezza in merito al fatto che Ap.Ma. si trovava a monte della persona offesa ed aveva quindi l'obbligo giuridico di accertarsi della presenza di altri sciatori e di mantenere una direzione che gli consentisse di evitare lo scontro. Porre questa cautela a carico di chi si trovava a valle e non poteva quindi avere visione del sopraggiungere di altri sciatori da monte è stato ritenuto correttamente illogico, contrario alle pur brevi ed imprecise indicazioni provenienti dalla persona offesa (la quale ha dichiarato di "essersi risvegliato vedendo il cielo" e dunque ha negato di essersi potuto avvedere dell'ostacolo costituito dall'imputato) e contrario alla normativa di riferimento.

 

Ancora, la Corte piemontese ha ritenuto non condivisibile, confrontandovisi, il rilievo del difensore dell'odierno ricorrente secondo cui profili di colpa sarebbero ravvisabili nella scelta della persona offesa di attraversare trasversalmente la pista sulla quale stava sciando, nessuna regola di prudenza imponendogli una diversa condotta. E ugualmente destituiti di fondamento si ritengono i rilievi difensivi in ordine alla esatta conformazione dei luoghi ed all'individuazione del punto in cui si è realizzato il tragico incidente. Ciò perché i soccorritori intervenuti dopo lo scontro hanno concordemente fatto riferimento ad un punto posto poco più a valle del punto di confluenza delle due piste rispettivamente percorse dai soggetti coinvolti, con ciò confutando la tesi difensiva secondo la quale le due piste convergerebbero in corrispondenza della conclusione dei percorsi, in prossimità della partenza dell'impianto di risalita che li serve.

 

Tale rilievo, della fondatezza e veridicità del quale non vi è la benché minima ragione di dubitare, consente per i giudici di appello di evidenziare come anche le ulteriori valutazioni del giudice di prime cure siano corrette e pienamente condivisibili. E di ritenere non esservi dubbio che il contatto fra i due sciatori sia avvenuto in quanto i due stavano percorrendo piste fra loro confluenti e che il sinistro si sia verificato proprio per questa ragione.

 

Coerenti con tali considerazioni appare, dunque, la considerazione finale che vuole essere altrettanto indubitabile che Ap.Ma., oltre a trovarsi a monte della persona offesa, si trovava in prossimità di un incrocio e, ciò nonostante, non si è attenuto all'osservanza dell'obbligo di dare la precedenza a chi proveniva dalla sua destra. E che, in ragione della conformazione dei luoghi, inoltre, è stato correttamente evocata la regola di condotta prevista in sede regionale, secondo la quale "lo sciatore che si immette su una pista deve dare precedenza a chi già la percorre".

 

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Ar.So. e Ta.Fr. il cui difensore è comparso all'odierna pubblica udienza.

 

L'imputato non va, invece, condannato, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Ga.An., Ta.Lu., Ta.Lu. e Ta.St., che, come si ricordava in premessa, hanno fatto pervenire separate conclusioni con allegata nota spese tutte datate 15/1/2024 ma il cui comune difensore non è comparso all'odierna pubblica udienza.

 

Ritiene, infatti, il Collegio (pur consapevole dell'esistenza di numerose pronunce che opinano in senso contrario, nello specifico costituite da Sez. 5, Ordinanza n. 36805 del 22/06/2015, Bonvissuto, Rv. 264906 - 01; Sez. 5, n. 6052 del 30/09/2015 dep. 2016, Migliorini, Rv. 266021 - 01; Sez. 4, n. 38227 del 21/06/2018, Albergo, Rv. 273802 - 01; Sez. 5, Ordinanza n. 30743 del 26/03/2019, Loconsole, Rv. 277152 - 01; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713 - 01) di aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui nel giudizio di cassazione non va disposta la condanna dell'imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l'allegazione di nota spese (Sez. 5, n. 19177 del 31/01/2022, Musso, Rv. 283118 - 01; Sez. 6, n. 28615 del 28/04/2022, Landi, Rv. 283608 - 02).

 

Peraltro, va rilevato che, anche in una recente pronuncia con cui si è ritenuto non condivisibilmente che nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all'art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza. (Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamborrino, Rv. 278834 - 01) si è ritenuto che la liquidazione in questione debba essere subordinata alla valutazione che la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (nella fattispecie al proprio esame la Corte ha ritenuto non dovuta la rifusione delle spese del grado alla parte civile, non intervenuta in udienza, in considerazione della tardività del deposito della memoria difensiva, con conseguente impossibilità di tener conto delle deduzioni in essa contenute).

 

Il principio è stato ribadito da Sez. U., n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sac-chettino, Rv. 283886 (vedasi in motivazione pagg. 22 e ss. e vedasi anche Sez. Un., n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264).

 

Peraltro, già prima di S.U. Sacchettino, con riferimento al giudizio di legittimità celebrato con rito camerale non partecipato, nella vigenza della normativa introdotta per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-01) aveva condivisibilmente opinato nel senso che la parte civile, pur in difetto di richiesta di trattazione orale, avesse diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché avesse effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione.

 

L'orientamento è stato successivamente ribadito da Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 5, n. 34816 del 15/06/2021, Palmieri, non mass.; Sez. 1, n. 17544 del 30/03/2021, Barba, non mass.; Sez. 5, n. 26484 del 09/03/2021, Castrignano, non mass.; Sez. 1, n. 34847 del 25/02/2021, Reibaldi, non mass.

 

Nel caso in esame, in applicazione dì tale condiviso principio di diritto, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore delle parti civili il cui difensore non è comparso alla pubblica udienza non sarebbe stata dovuta, perché le conclusioni scritte, in cui non vi è alcuna argomentazione, non hanno fornito alcun contributo alla decisione, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili Ar.So. e Ta.Fr. che liquida in complessi euro tremilanovecento oltre accessori come per legge.

 

Nulla sulle spese alle altre parti civili non comparse.

 

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2024.

 

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2024.