ORGANIZZARE LE GARE: CORSA IN MONTAGNA E RESPONSABILITÀ PENALE, di Riccardo Crucioli

Keywords

Sport – Trail running – Responsabilità penale – Organizzatori – Scriminante sportiva – Colpa

Commento/Sintesi

Sarebbe illusorio pensare che il diritto penale non si occupi anche delle attività sportive; sarebbe poi un errore imperdonabile ritenere che chi organizza manifestazioni sportive possa disinteressarsi delle regole della colpa penale.

Sebbene dall’esame della giurisprudenza emergano numerose sentenze civili, è ben possibile reperire condanne comminate a chi organizza gare in ogni settore: con automobili lungo strade (asfaltate o “bianche”) chiuse al traffico; con slittini lungo piste apposite; con natanti; con sci da discesa.

Dati tali presupposti non può stupire che il diritto penale si sia occupato anche della corsa in montagna. Ad esempio, il Tribunale di Savona, con una sentenza non recentissima, ma di assoluto interesse (sentenza n. 1354/2018, emessa il 14.12.2017, dep. il 2.1.2018 - irrevocabile il 6.3.2018), ha preso in esame la morte di un corridore durante una gara (la nota “Maremontana”), valutando i profili di colpa degli organizzatori.

Non è questa la sede per esaminare, ex professo, cosa è la colpa penale, né quale il nesso di causalità nei reati omissivi, né ancora quale il concetto di agente modello o della posizione di garanzia.

È, tuttavia, fondamentale comprendere come, anche nell’ambito sportivo che ci interessa (il trail run, per utilizzare un linguaggio straniero che è ormai penetrato nell’uso quotidiano), assumono valore le regole proprie dell’ordinamento giuridico penale.

Esistono, certamente, alcune peculiarità dovute in principalità al fatto che nella pratica dello sport è insito un certo grado di violenza o comunque di forza fisica, dalla quale possono derivare danni all’atleta. Il rischio aumenta allorchè l’attività sportiva preveda una interazione con altri soggetti. Si pensi agli sport nei quali la violenza è addirittura connaturata nella stessa pratica per regolamento (ad esempio, la box, ma anche gli sport similari, ancora più violenti perché praticati senza guantoni), per consuetudine o necessità (ad esempio, il rugby o l’hockey su ghiaccio), o comunque per la stessa tipologia di attività (il calcio, la pallacanestro). Persino negli sport “senza contatto” può accadere che vi siano problemi derivanti dall’interazione (si pensi agli scontri sotto rete nella pallavolo, o alle lesioni derivanti dall’impatto con la pallina nel tennis o nel cricket).

Ebbene, in tutti questi casi è evidente che le regole “ordinarie” debbono trovare un contemperamento in considerazione della tipologia di attività praticata.

Per lunghi anni la dottrina si è divisa sul concetto di “scriminante sportiva”: secondo tale teoria, per chi pratica sport sarebbe presente una “giustificazione”, appunto, delle lesioni provocate da un atleta ad un altro nello svolgimento dell’attività sportiva, proprio in considerazione dell’utilità sociale dello sport.

Tale impostazione ha trovato un inquadramento soddisfacente all’interno delle regole “ordinarie” del diritto penale, grazie ad alcune sentenze della Corte di Cassazione (prima tra tutte Cass. n. 3284 del 21.10.2021) che hanno precisato come l'attività sportiva è attività lecita e regolata dalla normazione di ciascuno specifico settore disciplinare, anche con riferimento al livello agonistico più o meno elevato. La partecipazione all'attività comporta, da parte dell'atleta, l'accettazione della regola sportiva e del rischio ad essa connesso, ma non implica, di per sé, l'accettazione della lesione dell'integrità fisica che scaturisca dall'azione dolosa altrui, ancorché interna al gioco, o quella conseguente all'azione dell'antagonista che sia colposamente cagionata.

Se l’azione lesiva è sorretta dal dolo, si avrà responsabilità per i delitti dolosi, mentre, se è sorretta dalla colpa, la responsabilità sarà per colpa. Per stabilire, dunque, se vi è responsabilità dell’antagonista, occorre rifarsi alle regole ordinarie sulla colpevolezza colposa, individuando la regola cautelare che presidia l'attività, concentrandosi sulla doverosità della condotta richiesta, in cui rientra la condotta prudente, perita, non negligente.

Il principio di diritto, in estrema sintesi, è il seguente:

  • in ogni sport è presente un rischio, che può essere più o meno intenso;
  • ogni sportivo, partecipando o meno ad un'attività organizzata, accetta la possibilità che si verifichi un danno alla sua integrità fisica;
  • questa accettazione del rischio non significa, però, automaticamente che qualunque lesione sia acconsentita dallo sportivo.

Dunque, in buona sostanza, il diritto penale interviene quando la lesione eccede il limite che lo sportivo ha accettato.

Il problema che si pone, per i Giudici, come per gli atleti o gli organizzatori degli eventi sportivi, è, conseguentemente, individuare quel limite.

Si tratta, peraltro, di un discrimine “mobile”, che varia a seconda del tipo di attività, di atleta ed anche di gara.

È, infatti, autoevidente che il livello di accettazione del rischio non può essere uguale per ogni tipo di sportivo, né per ogni tipo di attività sportiva.

Gli agonisti non sono gli amatori; gli adolescenti non sono i master; la gara di qualificazione per le Olimpiadi non è la gara dell'associazione dilettantistica.

Per ogni tipo di evento sportivo si individua quale è la soglia del rischio accettato dal partecipante.

Per ciascun contesto i singoli sportivi faranno affidamento su atti degli avversari o degli organizzatori aventi caratteristiche e intensità diverse, cui potrà conseguire l'operatività di una diversa regola cautelare pertinente alla situazione sportiva obiettivamente acclarata (si veda, in tal senso, anche la sentenza della Cassazione n. 8609 del 28.10.2021). Dunque, non è affatto vero che gli sport “senza contatto” differiscono da quelli “con contatto”, persino laddove il contatto sia necessario. O meglio: si distinguono solo per la tipologia di rischio che il singolo atleta accetta nel momento stesso in cui partecipa all’evento, ed a seconda del tipo di evento al quale partecipa.

Ciò che voglio dire è che ogni attività sportiva contiene rischi: persino il tennis (distorsioni, colpi dalla pallina o dalla racchetta del compagno), o gli “sport senza contatto”; persino il trail running o l’orienteering o, in generale, la corsa, soprattutto se svolta in “territorio aperto”, presentano rischi, anche mortali, derivanti dalla loro stessa natura.

Ecco, allora, che l’organizzatore di eventi di tal genere, pena l’emersione di profili di colpa penale, deve necessariamente conoscere le regole ed i precetti stabiliti dall’organismo internazionale (ITRA) e nazionale (FIDAL) che sovrintendono gli eventi di corsa in montagna.

Le regole connesse alla sicurezza e le norme tecniche sono reperibili nei seguenti siti:

https://itra.run/Info/SafetyGuidelines

https://www.fidal.it/upload/files/GGG/NormeTecniche/GGG_RTI_2022.pdf

Si tratta di dettami molto specifici, impossibili da riassumere in poche righe, che lasciano, però, intravedere quale è l’onere che grava su chi organizza eventi sportivi, con particolare riferimento al dovere di fornire informazioni corrette e di predisporre un piano adeguato per la sicurezza degli sportivi.

Informazione e piano per la sicurezza: due, e i più importanti, dei molteplici doveri che possono fondare la responsabilità penale dei soggetti onerati (direttore di gara, responsabile del percorso, responsabile medico e responsabile del soccorso).

Ovviamente, non si prendono in considerazione (nelle predette regole e in questo sintetico commento) le problematiche riguardanti il contatto tra atleti – sostanzialmente irrilevanti negli sport di corsa o comunque astrattamente non riconducibili a responsabilità degli organizzatori –, bensì quelle connesse alle modalità di organizzazione dell’evento sportivo.

Se è, infatti, vero che l’atleta accetta che dall’attività sportiva svolta possa derivare un danno al suo fisico, è, altresì, vero che egli si affida a chi organizza quell’attività: accetta quel (minimo o massimo) rischio connaturato con la specifica attività sportiva, sul presupposto che siano presenti determinati controlli.

Se l’atleta non si allena da solo, ma se partecipa ad una manifestazione (che sia gara o meno, non importa), è ovvio che lo sportivo si affida (appunto) a chi quella manifestazione ha organizzato.

Il fondamento della responsabilità degli organizzatori di eventi sportivi è tutta qui: l’affidamento che ingenera in chi partecipa.

Tale affidamento non può certamente riguardare il verificarsi di eventi imprevedibili, ma si focalizza sui rischi che sono prevedibili e che risultano connessi con la particolare tipologia di attività e con l’ambiente nella quale si svolge.

È compito dell’organizzatore mitigare i rischi che, seppur indubbiamente connessi all’attività sportiva concretamente praticata, possono essere ridotti o comunque portati a conoscenza dello sportivo.

Le regole cautelari assumono, poi, una maggior pregnanza all’aumentare della pericolosità dello sport: al crescere del pericolo insito nell’attività organizzata, consegue una crescita anche dell'obbligo di osservare le regole di cautela.

Chi organizza le gare o le manifestazioni deve esserne consapevole: l'osservanza delle regole cautelari esonera da responsabilità per i rischi prevedibili (ma non prevenibili) solo se l'agente abbia rigorosamente rispettato le regole cautelari, anche se non è stato possibile evitare il verificarsi dell'evento (si veda, in tale senso, Cassazione n. 20595 del 28.04.2010). Si ripete: l'osservanza delle regole cautelari esonera da responsabilità per i rischi prevedibili – ma non prevenibili – solo se l'agente abbia rigorosamente rispettato le regole cautelari. Id est: solo in caso di rigorosa osservanza di tali regole il rischio potrà ritenersi effettivamente consentito e solo per quella parte che risulta ineliminabile.

Per essere maggiormente esplicativi, chi partecipa ad una gara “sui monti” o “in campagna”, per una lunga durata accetta di:

  • passare tanto tempo in territori non antropizzati;
  • doversi orientare in territori talvolta privi di segnali o segnalazioni;
  • non avere sempre con sé cibo o acqua;
  • potersi imbattere in animali o in terreni non agevoli;
  • procurarsi possibili infortuni;
  • sottoporre il proprio fisico a stress emotivi e fisici.

Al contempo, però, si aspetta dagli organizzatori (id est: si affida agli organizzatori) che:

  • il tracciato di gara o la mappa fornita siano corretti;
  • i pericoli geomorfologici siano segnalati;
  • sia presente una vigilanza medica predisposta per fronteggiare ogni e qualunque infortunio in modo adeguato ed in tempi ragionevoli;
  • siano predisposti stazioni di rifornimento (i cosiddetti ristori) se è indicata per i partecipanti la “semi autonomia”;
  • siano fornite informazioni adeguate in ordine al meteo, alla tipologia di abbigliamento e di soccorsi disponibili anche per i ritirati;
  • eventuali punti pericolosi od esposti siano segnalati e messi in sicurezza;

Queste ultime, e cioè le situazioni nelle quali il partecipante si affida agli organizzatori, sono le fonti della responsabilità penale.

Se l'organizzatore offre un tracciato od una mappa scorrette, se i pericoli geomorfologici non sono segnalati, se la vigilanza medica od i soccorsi non sono predisposti o non sono adeguati, se i ristori promessi non sono presenti o non sono adeguati, se non vengono fornite adeguate informazioni sul meteo e sulle conseguenti necessità, se i punti pericolosi non sono segnalati o messi in sicurezza, e se un atleta, in conseguenza di tali mancanze, subisce un danno fisico, ebbene: chi ha organizzato male l'evento potrà essere chiamato a risponderne.

Se, nel corso dell'attività, si presentano pericoli non preventivati e, dunque, non accettati come possibile rischio, e se l'organizzatore non ha posto in essere idonee cautele per prevenire il verificarsi dell'evento lesivo o, almeno, per attenuarne le conseguenze, il concorrente potrà dolersi delle carenze riscontrate nel corso dell'attività.

In altri termini, l'atleta impegnato in una manifestazione agonistica accetta di esporsi a quegli incidenti che rendono prevedibile la verificazione di un evento lesivo (perché a produrli vi concorrono gli inevitabili errori del gesto sportivo); questo esclude che delle conseguenze di tali incidenti debbano rispondere i soggetti cui spetta predisporre e controllare il campo di gara. D'altro lato, però, in capo ai gestori (che organizzano un'attività implicante pericoli) incombe l'obbligo di non aumentare l'insita pericolosità dell'attività sportiva e, dunque, di non incorrere in difetti ed errori nella predisposizione delle misure che debbono connotare il campo di gara (si veda, in proposito, Cassazione n. 3528 del 2009).

Gli organizzatori devono evitare che si producano, a carico dell'atleta, conseguenze più gravi di quelle normali. Devono cioè:

  • mitigare il “rischio tipico”;
  • adoperarsi per evitare l'insorgenza di “rischi atipici” (ed in tale ottica si veda la definizione che, finalmente, ha dato di tale rischio il d.lgs. 40/2021).

Il giudice dovrà conseguentemente valutare in cosa consiste la specifica attività sportiva svolta e se esistono regole redatte da associazioni; dovrà poi scendere nel concreto per verificare le modalità organizzative prescelte dai gestori/organizzatori per verificare se siano stati aumentati i rischi propri della specifica attività sportiva; passerà a verificare la tipologia di atleti iscritti all’attività sportiva agonistica; indicherà, conclusivamente, se gli atleti sono stati esposti a rischi e a conseguenze più gravi rispetto a quelli che sono prevedibili nel peculiare settore.

Autore

Dott. Riccardo Crucioli (Giudice penale del Tribunale di Genova) 


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