Tribunale di Cassino, 5 novembre 2017. "La peculiarità dell'illecito aquiliano in ambito sportivo".

 

Le peculiarità dell’illecito aquiliano in ambito sportivo.

 

 

Tribunale di Cassino, 5-8.11.2917 – Dott. Claudio Fassari

 

 

 

La responsabilità civile in ambito sportivo, inquadrabile nell’ambito della disciplina posta dall’art. 2043 cod. civ., si caratterizza per alcune peculiarità, non essendo risarcibile il danno prodotto da azione conforme alle norme tecniche, ovvero, in caso di loro violazione, quando l’azione, sebbene “irregolare”, sia comunque funzionale allo scopo del gioco e l’intensità del gesto da cui è promanato il danno non superi il grado di violenza accettabile per lo specifico sport, in relazione al concreto contesto di svolgimento dell’attività.

 

Danno in competizione sportiva – Art. 2043 c.c. – Art. 2050 c.c. - “Colpa sportiva” – “Scriminante sportiva” – “Rischio sportivo” -

La sentenza del Tribunale di Cassino si segnala per l’ampia disamina del tema concernente la responsabilità da fatto illecito nell’ambito dell’attività sportiva.

Nella fattispecie, il giudice monocratico ha accolto la domanda di risarcimento formulata da un ciclista dilettante che, durante lo svolgimento di una competizione amatoriale, aveva riportato danni fisici a seguito della caduta provocata da altro concorrente che gli aveva repentinamente tagliato la strada.

L’attore aveva introdotto il giudizio chiedendo la condanna del convenuto ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. (disciplinante l’esercizio di attività pericolose) ovvero ex art. 2043 cod. civ. (c.d. illecito aquiliano).

Il giudice ha disatteso la domanda in relazione al primo profilo, e l’ha accolta ai sensi della norma generale che regola il fatto illecito.

Quanto all’art. 2050 cod. civ., ha affermato che detta norma «mal si presta ad essere applicata in ambito sportivo a causa delle peculiari caratteristiche che connotano quest'ultimo», specialmente con riguardo ai soggetti che partecipano alle competizioni, i quali si sottopongono volontariamente al «rischio sportivo» (diverso il discorso per gli organizzatori, responsabili dei danni patiti da terzi e spettatori).

Al fine di pervenire al giudizio di imputabilità colpevole del fatto al suo autore materiale ed alla conseguente pronuncia di condanna al risarcimento, il giudice ha passato in rassegna i principi che regolano la c.d. «responsabilità civile sportiva» che, nell’alveo della più generale responsabilità aquiliana, si caratterizza in funzione degli specifici parametri di valutazione dell’antigiuridicità del fatto obiettivamente dannoso.

Il redigente osserva come l’attività sportiva sia regolata dai principi di prudenza, diligenza e lealtà, alla stregua dei quali lo sportivo deve modellare la propria condotta «…alla ricerca del delicato equilibrio nel binomio imperfetto che vede contrapposti e complementari le specifiche finalità agonistiche e il rispetto dell'integrità fisica …».

Il Tribunale ha analizzato in termini generali quelle che definisce le  «ipotesi cardine» cui possono ricondursi le fattispecie di responsabilità in ambito sportivo, formulando i seguenti principi.

Va esclusa la responsabilità dell'atleta che provochi un danno pur avendo osservato una condotta rispettosa delle regole tecniche e dei principi generali di correttezza e prudenza, valendo in tal caso la c.d. «scriminante sportiva».

La vittima del danno, dal proprio canto, nell’intraprendere l’attività, ha accettato il «rischio sportivo», ossia l’eventualità di dover sopportare le conseguenze di un evento dannoso determinato dall’altrui condotta materiale che, tuttavia, resta nell’area del non perseguibile, in forza della suddetta «scriminante non scritta».

Laddove, invece, via sia violazione (non volontaria) delle regole tecniche sarà rimesso al giudice di accertare la responsabilità dell’autore secondo il parametro della c.d. «colpa sportiva», la cui concreta sussistenza andrà valutata secondo prudente apprezzamento, tenuto conto di vari elementi quali il grado di connessione funzionale dell’azione irregolare rispetto all'attività sportiva e l’intensità della forza espressa dall’agente (che dovrà rispettare i limiti della «violenza base consentita nella disciplina sportiva praticata», pena la risarcibilità del danno arrecato), in relazione al contesto concreto in cui il fatto si verifica (altra è l’intensità tollerata in una gara ufficiale, tra professionisti, altra quella accettabile nel corso di una amichevole o di un allenamento ...).

Sussiste, infine, piena responsabilità, a titolo di dolo, in capo all’atleta che procura danno (ingiusto) mediante volontaria violazione delle norme tecniche, disattendendo i principi di lealtà sportiva (in tale ipotesi, può dirsi che il contesto competitivo degradi a «mera occasione»).

Con la precisazione, espressa dal giudice monocratico, che tali principi non trovano applicazione nei casi in cui l’attività sia svolta «da un'organizzazione non strutturata … o comunque attraverso un'organizzazione strutturata ma esterna o non riconosciuta dall'ordinamento sportivo».

Nel caso di specie il Tribunale è pervenuto alla pronuncia di condanna sul rilievo, da un lato, che la condotta tenuta dal ciclista investitore non fosse consentita dalle norme sportive e, dall’altro, che l’occorso sia stato «frutto di maldestra e incurante e superficiale considerazione delle conseguenze del cambio di direzione operato dal convenuto più che una scelta sportiva funzionale al raggiungimento di un obbiettivo di gara più confacente ad uno sportivo di professione che ad un sportivo amatoriale», fattispecie per la quale, quindi, sono state applicate le ordinarie regole che governano l’illecito aquiliano.

 

Avv. Andrea Caranci


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