Giuseppe Delfino vince l’oro nella spada, finisce le ferie e torna al lavoro

60 anni fa i Giochi Olimpici a Roma
images/1Primo_Piano_2020/Delfino_podio1.jpg

Una medaglia leggendaria, che per quasi cinquant'anni ha rappresentato una pagina indelebile per la storia dello sport olimpico italiano. Il 6 settembre del 1960, ai Giochi della XVII Olimpiade, Giuseppe Delfino conquistò all’ultimo respiro l’oro nella spada individuale, confermando la grandezza della scuola italiana, che dal 1932 non era mai scesa dal gradino più alto del podio.

Lo spadista azzurro iniziò a tirare di scherma alla fine degli Anni Trenta, nella palestra del dopolavoro FIAT di Torino, ma fu poi costretto ad interrompere la sua carriera sportiva a causa della Seconda Guerra Mondiale. Cinque anni dopo il cessate il fuoco, fu convocato in Nazionale in occasione dei Campionati del Mondo del 1950 a Montecarlo, dove conquistò il titolo iridato nella prova a squadre, che poi si aggiudicò dal 1953 al 1955, nel 1957 e nel 1958, oltre al bronzo individuale vinto a Budapest nel 1959. A Roma era senza dubbio tra i favoriti, viste le tre medaglie olimpiche vinte ad Helsinki nel 1952 e a Melbourne nel 1956: due ori a squadre ed un argento individuale.

Quattro anni prima, ai Giochi australiani, dovette arrendersi a Carlo Pavesi, al termine di uno spareggio infinito, che vide protagonista anche Edoardo Mangiarotti, che completò un podio interamente azzurro. Il 38enne torinese lavorava in fabbrica, prima alla Fiat e poi come funzionario alla Michelin e per partecipare ai vari tornei internazionali utilizzava i giorni di ferie.

Al torneo di spada individuale parteciparono 69 atleti in rappresentanza di 32 Paesi. Il 5 settembre si disputarono i primi due turni, mentre, il giorno successivo, i quarti, le semifinali e la finale. Gli avversari da battere erano il sovietico Bruno Habarovs, campione del mondo in carica e il miliardario scozzese, Allan Jay, campione del mondo di fioretto e vicecampione di spada. L’Italia era rappresentata da Delfino, Alberto Pellegrino e da Giovanni Battista Breda.

Nel primo turno gli schermidori furono divisi in dodici gruppi, che qualificavano alla fase successiva i primi tre classificati di ogni poule. Delfino dominò il gruppo cinque, aggiudicandosi cinque vittorie in altrettanti incontri. Pellegrino e Breda, invece, si classificarono entrambi al secondo posto nei gruppi tre e quattro (quattro vittorie e una sconfitta), alle spalle rispettivamente del giapponese Kuzuhiko Tabuchi e dell’ungherese István Kausz. Nel secondo turno (sei gruppi, che qualificavano i primi quattro spadisti di ogni poule) Delfino si classificò al terzo posto del gruppo tre, dietro al tedesco Dieter Fänger (che lo sconfisse 1-5) e allo svedese Göran Abrahamsson, con uno score di tre vittorie, una sconfitta ed un incontro non disputato. Si qualificarono anche Breda e Pellegrino, che si piazzarono rispettivamente terzo e secondo.

Il giorno successivo, nei quarti di finale, gli azzurri fecero l’en plein: Breda, Pellegrino e Delfino dominarono i rispettivi gironi. Nelle semifinali, di contro, le cose si fecero decisamente più complicate. Delfino, inserito nel gruppo due, venne sconfitto dall’ungherese József Sákovics (2-5) e dal francese Yves Dreyfus (5-6), mentre riuscì a superare il compagno di squadra Breda (5-4), il sovietico Guram Kostava (6-5) e lo svedese Berndt-Otto Rehbinder (6-5). Si classificò al terzo posto, davanti a Breda, che uscì vincitore dallo spareggio per l’ultimo posto utile. Pellegrino, purtroppo, fu eliminato nello spareggio per il quarto posto nell’altro gruppo.

Nel girone finale, che assegnava le medaglie, c’erano i francesi Dreyfus ed Armand Mouyal, l’ungherese Sákovics, il belga Roger Achten e i favoriti Jay e Habarovs, oltre ai due azzurri. Delfino vinse facile per 5-2 con il compagno di squadra Breda e con il campione del mondo Habarovs. Gli altri incontri, invece, andarono sempre oltre il limite di tempo: due vittorie rispettivamente per 6-5 e 7-6 con Mouyal ed Achten, cui si aggiunsero altrettante sconfitte, seppur di misura (5-6), con Sákovics e Dreyfus. Decisiva, quindi, la sfida con il mancino britannico Allan Jay, cui sarebbe bastata la vittoria per aggiudicarsi l’oro.

L’azzurro vinse per 6-5, mentre Jay perse anche l’ultima sfida del girone con Habarovs (2-5) e fu costretto allo spareggio. Delfino, prima della sfida decisiva, secondo quanto narra la leggenda, si accese una sigaretta e sorseggiò un whisky. In pedana cambiò tattica, meno attendista e più votata all’attacco, senza concedere tregua   all’avversario. Trionfò per 5-2, conquistando quel titolo così tanto inseguito e che quattro anni prima si era visto sfuggire in quell’indimenticabile spareggio tutto azzurro. Il Palazzo dei Congressi era tutto in piedi per festeggiarlo, mentre in prima fila c’era la signora Carla moglie del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

La festa, però, durò poco, Delfino dovette rientrare in azienda, in quanto i giorni di ferie erano esauriti. Lasciò Roma da vincitore, con quell’immensa nobiltà d’animo, che quarantotto anni dopo - a Pechino nel 2008 - Matteo Tagliariol onorò riportando in Italia quel titolo tanto ambito.